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venerdì 11 maggio 2012

Osservare l'odio

Leggiamo un brano di Krishnamurti:


"Nessuno ti può insegnare ad amare. Se si potesse insegnare l’amore i problemi del mondo sarebbero molto semplici, no?...
Non è facile imbattersi nell’amore. È invece facile odiare e l’odio può accomunare le persone...
Ma l’amore è molto più difficile. Non si può imparare ad amare: quello che si può fare è osservare l’odio e metterlo gentilmente da parte.

Non metterti a fare la guerra all’odio, non star lì a dire che cosa orribile è odiare gli altri. Piuttosto, invece, vedi l’odio per quello che è e lascialo cadere... La cosa importante è non lasciare che l’odio
 metta radici nella tua mente. Capisci? La tua mente è come un terreno fertile e qualsiasi problema, solo che gli si dia tempo a sufficienza, vi metterà radici come un’erbaccia e dopo farai fatica a tirarla via. Invece, se tu non lasci al problema il tempo di metter radici, allora non sarà possibile che esso cresca e finirà, piuttosto, con l’appassire. Ma se tu incoraggi l’odio e dai all’odio il tempo di mettere radici, di crescere e di maturare, allora l’odio diventerà un enorme problema. Al contrario, se ogni volta che l’odio sorge tu lo lasci passare, troverai che la mente si fa sensibile senza diventare sentimentale. E perciò conoscerà l’amore".
In un passo evangelico Gesù dice:
"Non resistete al male" (Mt 5, 39).
Tutto questo è in piena consonanza con la nostra pratica meditativa. Si medita anche per eliminare la nostra vergognosa abitudine a fare della nostra mente un terreno fertile all'odio, nel quale esso attecchisce, si moltiplica e ci domina.
È un esercizio che il buon meditante porta sempre con sé, anche fuori dalla nostra sala di meditazione. Una buona pratica qui conduce ad una buona pratica là fuori, e viceversa: ricordiamoci sempre questa regola evidente a tutti coloro i quali meditano già da un po' di tempo.
Facciamo un esempio. Sono in autobus, seduto in un posto non riservato ad anziani o a persone con difficoltà motorie. Dentro l'autobus c'è molta gente, tutti i posti a sedere sono occupati e anche le persone in piedi sono di un certo numero. Entra una signora anziana, con evidenti difficoltà nel destreggiarsi; si guarda in giro in cerca di un posto libero, io la noto e le lascio la mia sedia. La signora si siede senza ringraziarmi. Bene: cosa succede a questo punto? Nella stragrande maggioranza dei casi, nasce in me un moto di stizza, di antipatia per quella donna. Diciamolo pure: odio. Siamo abituati ad associare questa parola a grandi eventi, alla guerra, a relazioni veramente conflittuali. Ma è da queste piccole situazioni che l'odio si genera in noi; è qui che comincia a sedimentare in noi questo automatismo. Dunque mi accorgo che spesso e volentieri anche le azioni apparentemente più morali, più giuste, tante volte sono dei piccoli ricatti camuffati, dei do ut des: io faccio questa buona azione, ma dall'altra parte ci deve essere un tornaconto. Ti faccio un piacere? Bene, ma te lo devo fare pagare in un modo o nell'altro: attendo un tuo ringraziamento o un tuo gesto di piena riconoscenza. Faccio qualcosa che viene considerato moralmente elevato? Allora mi aspetterò un riconoscimento da parte di qualcuno, la famiglia, gli amici, la società, le persone che mi circondano.
Invece se vogliamo sviluppare la qualità della benevolenza e della equanimità, due aspetti molto importanti nella pratica della meditazione, bisogna cercare di svincolarci da tutto ciò.
È essenziale partire da queste piccole situazioni - che piccole poi non sono! - per poi procedere verso questioni più pesanti: è come sollevare i pesi, si inizia dal poco e poi, quando si è dovutamente allenati, si aggiungono altri chili al nostro bilanciere. Dunque, quando il seme dell'ira, dell'odio sta subdolamente facendo ingresso nella nostra mente, noi ci fermiamo, lo osserviamo, creiamo uno spazio vuoto attorno a lui, ed esso in brevissimo tempo scomparirà. Anche qui, come nella pratica meditativa, molto importante è non giudicare il male che fa capolino, ma solo osservarlo in modo distaccato, senza valutarlo in alcun modo. Lo stato subito seguente a questa operazione sarà qualcosa simile ad una quieta soddisfazione, un pacificato piacere: non ci siamo fatti ingabbiare dalla nostra reazione automatica che genera in noi odio al presentarsi di una certa situazione nella quale ci veniamo a trovare; siamo riusciti a svincolarci da un funzionamento puramente meccanico della nostra persona, abbiamo consapevolmente osservato e mutato il nostro stato. Si fa in noi quindi chiara la sensazione che su questa via, se perseguita, non si può che giungere ad estirpare un'abitudine malefica e sostituirla con un'abitudine benefica.
Ogni giorno si presentano innumerevoli occasioni per esercitarsi in questo modo. Davanti ad ognuna di esse abbiamo due possibilità: o continuare ad essere succubi delle circostanze, comportandoci come delle macchine che a certi input danno sempre certi output; oppure svegliarci dal nostro sonno, scegliendo un percorso di liberazione dalla nostra angusta situazione. Cosa scegliamo?



« C'è una rivoluzione che dobbiamo fare se vogliamo sottrarci all'angoscia, ai conflitti e alle frustrazioni in cui siamo afferrati. Questa rivoluzione deve cominciare non con le teorie e le ideologie, ma con una radicale trasformazione della nostra mente. »
(J. Krishnamurti, Di fronte alla vita)

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