Tratto da:
Karlheinz Deschner,
Il gallo cantò ancora,
Storia critica della Chiesa,
Libro I,
Massari Editore, Bolsena 2006
Karlheinz Deschner,
Il gallo cantò ancora,
Storia critica della Chiesa,
Libro I,
Massari Editore, Bolsena 2006
ASCLEPIO e CRISTO
Il culto di Asclepio ebbe vasta diffusione, e le guarigioni miracolose da lui operate nel tempio di Epidauro, fin dall'inizio del V secolo a.C., erano conosciute in tutto il mondo. Il tempio era meta di pellegrinaggio come oggi è Lourdes, ma non così comodo e facilmente raggiungibile. Oltre che portentose liberazioni da tenie, pidocchi, ernie e simili, i paralitici camminavano, i ciechi riacquistavano la vista, i muti la parola e persino i calvi si allontanavano con folte chiome (ibid.). Asclepio guariva non solo i mali del corpo, ma anche quelli dell'anima. Da sempre medico e divinità guaritrice, divenne, come in seguito Gesù, un Salvatore e un Soccorritore in tutte le situazioni critiche dell'esistenza, un Redentore insomma. Sul suo altare troneggiava in lettere cubitali la parola Sotér (= Salvatore), e rimase fino ad epoca profondamente cristianizzata il rifugio soprattutto delle persone colte. Molti sostennero di averlo veduto in carne ed ossa e di essere stati testimoni oculari dei suoi benefici (1).
Non pochi miracoli compiuti da Gesù nella narrazione biblica si rifanno ad Asclepio. La straordinaria affinità dell'opera miracolosa di entrambi viene sottolineata dal teologo Carl Schneider con efficacissima sintesi:
«Come Asclepio, Gesù guarisce tendendo o imponendo le mani, con un dito che tocca le membra inferme oppure con un altro contatto col malato. Come in Asclepio, la fede e la guarigione sono quasi sempre strettamente congiunte; talvolta vien guarito anche uno che non crede. Anch'egli, come Gesù, esige il ringraziamento della persona guarita. Un cieco guarito da Asclepio vede per prima cosa degli alberi, come un uomo miracolato da Gesù. Entrambi guariscono zoppi, muti, malati lontani, paralitici, che se ne vanno coi lettuccio in spalla; nessuno dei due fa distinzioni fra ceti sociali, fra giovani e vecchi, ricchi e poveri, uomini e donne, schiavi e liberi, amici e nemici. A tali guarigioni vanno poi aggiunte operazioni miracolose sulla natura: Asclepio, Serapide, Gesù placano le tempeste. Asclepio resuscitò sei morti, con particolari identici agli analoghi atti di Gesù in occasioni simili: la presenza di numerosi testimoni, il sospetto degli scettici che si tratti di morti apparenti, ai resuscitati viene dato del cibo. Gesù assume gli stessi titoli di Asclepio: è Medico per eccellenza, Signore sulle potenze del male, Salvatore» (2)
Il culto di Asclepio ebbe vasta diffusione, e le guarigioni miracolose da lui operate nel tempio di Epidauro, fin dall'inizio del V secolo a.C., erano conosciute in tutto il mondo. Il tempio era meta di pellegrinaggio come oggi è Lourdes, ma non così comodo e facilmente raggiungibile. Oltre che portentose liberazioni da tenie, pidocchi, ernie e simili, i paralitici camminavano, i ciechi riacquistavano la vista, i muti la parola e persino i calvi si allontanavano con folte chiome (ibid.). Asclepio guariva non solo i mali del corpo, ma anche quelli dell'anima. Da sempre medico e divinità guaritrice, divenne, come in seguito Gesù, un Salvatore e un Soccorritore in tutte le situazioni critiche dell'esistenza, un Redentore insomma. Sul suo altare troneggiava in lettere cubitali la parola Sotér (= Salvatore), e rimase fino ad epoca profondamente cristianizzata il rifugio soprattutto delle persone colte. Molti sostennero di averlo veduto in carne ed ossa e di essere stati testimoni oculari dei suoi benefici (1).
Non pochi miracoli compiuti da Gesù nella narrazione biblica si rifanno ad Asclepio. La straordinaria affinità dell'opera miracolosa di entrambi viene sottolineata dal teologo Carl Schneider con efficacissima sintesi:
«Come Asclepio, Gesù guarisce tendendo o imponendo le mani, con un dito che tocca le membra inferme oppure con un altro contatto col malato. Come in Asclepio, la fede e la guarigione sono quasi sempre strettamente congiunte; talvolta vien guarito anche uno che non crede. Anch'egli, come Gesù, esige il ringraziamento della persona guarita. Un cieco guarito da Asclepio vede per prima cosa degli alberi, come un uomo miracolato da Gesù. Entrambi guariscono zoppi, muti, malati lontani, paralitici, che se ne vanno coi lettuccio in spalla; nessuno dei due fa distinzioni fra ceti sociali, fra giovani e vecchi, ricchi e poveri, uomini e donne, schiavi e liberi, amici e nemici. A tali guarigioni vanno poi aggiunte operazioni miracolose sulla natura: Asclepio, Serapide, Gesù placano le tempeste. Asclepio resuscitò sei morti, con particolari identici agli analoghi atti di Gesù in occasioni simili: la presenza di numerosi testimoni, il sospetto degli scettici che si tratti di morti apparenti, ai resuscitati viene dato del cibo. Gesù assume gli stessi titoli di Asclepio: è Medico per eccellenza, Signore sulle potenze del male, Salvatore» (2)
ERACLE e CRISTO
Quasi tutti conoscono le antiche saghe riguardanti Eracle, ma ne esiste anche una figura filosofica e una pratica religiosa, note e diffuse in Siria, in Grecia, a Roma e sul Reno ai tempi di Gesù.
Come il Gesù della Bibbia, Eracle venne perseguitato fin dalla culla e morì pronunciando le parole «È compiuto», come Gesù nel racconto di Giovanni (Jh. 19, 30), mentre la terra tremò e si spaccò e caddero le tenebre (tutti motivi ricorrenti in occasione della dipartita d'un dio, verificatisi, ad esempio, anche alla morte di Cesare) (3). E alla fine Eracle, come Romolo, Henoch e altri 4, fu innalzato al cielo per cogliere dal padre divino il premio delle proprie fatiche. Non solo, ma il diretto responsabile della sua morte, si impiccò, pentito e sconvolto, come Giuda.
La somiglianza fra il mito di Eracle e la figura di Cristo fu spesso oggetto di attenzione, ma l'esistenza di una filiazione diretta dal primo fu scoperta per la prima volta dal filologo Friedrich Pfister (5). Qui ci limiteremo a tracciare i parallelismi principali, senza prendere in considerazione la dettagliatissima analisi condotta da Pfister.
Quasi tutti conoscono le antiche saghe riguardanti Eracle, ma ne esiste anche una figura filosofica e una pratica religiosa, note e diffuse in Siria, in Grecia, a Roma e sul Reno ai tempi di Gesù.
Come il Gesù della Bibbia, Eracle venne perseguitato fin dalla culla e morì pronunciando le parole «È compiuto», come Gesù nel racconto di Giovanni (Jh. 19, 30), mentre la terra tremò e si spaccò e caddero le tenebre (tutti motivi ricorrenti in occasione della dipartita d'un dio, verificatisi, ad esempio, anche alla morte di Cesare) (3). E alla fine Eracle, come Romolo, Henoch e altri 4, fu innalzato al cielo per cogliere dal padre divino il premio delle proprie fatiche. Non solo, ma il diretto responsabile della sua morte, si impiccò, pentito e sconvolto, come Giuda.
La somiglianza fra il mito di Eracle e la figura di Cristo fu spesso oggetto di attenzione, ma l'esistenza di una filiazione diretta dal primo fu scoperta per la prima volta dal filologo Friedrich Pfister (5). Qui ci limiteremo a tracciare i parallelismi principali, senza prendere in considerazione la dettagliatissima analisi condotta da Pfister.
Circa la storia della sua nascita è possibile riscontrare le coincidenze che seguono:
1) Come Amfitrione, il padre umano di Eracle, vive a Micene con la vergine Alcmena, così Giuseppe, il padre umano di Gesù, vive a Nazareth con la vergine Maria; come Amfitrione si astiene da Alcmena fino alla divina concezione, così fa anche Giuseppe.
2) Come Amfitrione migra da Micene a Tebe insieme ad Alcmena, così Giuseppe trasmigra con Maria da Nazareth a Betlemme;
3) Come Eracle non viene messo al mondo nel luogo di residenza di Amfitrione, Micene, ma a Tebe alla fine del suo viaggio, allo stesso modo Gesù non viene generato a Nazareth, residenza di Giuseppe, ma a Betlemme, meta del suo viaggio.
4) Come Eracle viene chiamato talvolta «l'Argivo» per il luogo d'origine del padre, così Gesù viene talora chiamato «il Nazareno», per la patria d'origine di Giuseppe.
Intorno agli eventi della sua giovinezza si possono rintracciare le analogie seguenti:
1) Come Era apprende da Zeus che il rampollo della sua schiatta diverrà re, sì ch'ella lo perseguita, così Erode apprende dai Magi della nascita di un re e perseguita il nuovo nato.
2) Come Eracle, a causa della paura della madre, viene esposto e quindi ripreso, così Gesù viene condotto in Egitto e poi riportato indietro a causa dei timori dei genitori.
3) Come Eracle prima dell'inizio della sua attività pubblica si reca in solitudine, così fa anche Gesù;
4) Come Eracle cade nelle tentazioni, la stessa cosa accade a Gesù. Come ad Eracle vengono mostrati dalla cima di una montagna i domìni del re e del tiranno, così Gesù viene condotto dal tentatore sulla cima d'un monte e vede tutti i regni della terra. E come Eracle, anche Gesù supera la tentazione.
E anche l'attività della loro vita di adulti presenta analogie sorprendenti:
1) Eracle obbedisce agli ordini del padre divino, come Gesù; e come Eracle vede confermata la sua missione dall'Oracolo, così Gesù dalla bocca del Profeta:
2) Eracle e Gesù lasciano entrambi il padre e la madre.
3) Come per Eracle, anche per Gesù il cammino dell'esistenza è una vita costellata di sofferenze.
4) Eracle cammina sulle acque, ascende in cielo, viene chiamato redentore e benefattore dell'umanità, esattamente come Gesù.
5) Se per Eracle l'impresa più grande è il superamento della morte, la medesima cosa vale anche per Gesù.
2) Eracle e Gesù lasciano entrambi il padre e la madre.
3) Come per Eracle, anche per Gesù il cammino dell'esistenza è una vita costellata di sofferenze.
4) Eracle cammina sulle acque, ascende in cielo, viene chiamato redentore e benefattore dell'umanità, esattamente come Gesù.
5) Se per Eracle l'impresa più grande è il superamento della morte, la medesima cosa vale anche per Gesù.
Il ritratto filosofico di Eracle venne delineato già nel V secolo a.C. e via via arricchito e idealizzato dai cinici e dagli stoici: sappiamo che già intorno al 500 a.C. Eracle, il figlio di Dio, viene invocato quale intermediario degli uomini presso la divinità. E all'epoca di Gesù esiste una religione di Eracle, che costituisce il più sublime modello etico per le personalità più eminenti, diventando l'ideale del saggio e del salvatore del mondo.
Soprattutto nelle due tragedie di Seneca, Hercules furens e Hercules Oetaeus, che ne riflettono l'immagine tradizionale, Eracle viene indicato come il grande Benefattore, il Pacificatore dell'umanità intera e specialmente il Redentore del mondo e l'autentico Figlio di Dio, il «Salvatore del mondo». Egli reca la salvezza persino nel mondo sotterraneo, vincendo le forze demoniache: «L'orrida morte è spezzata; Tu hai vinto il Regno della Morte». Innalzato dal divino Padre per le sue azioni, a lui raccomanda morendo il proprio spirito: «Accogli, ti prego, il mio spirito fra gli astri... Ecco, il Padre mi chiama e apre il cielo. Vengo, Padre mio, vengo». Nel Vangelo di Luca leggiamo: «Allora Gesù gridò: "Padre, nelle tue mani raccomando lo spirito mio"» (Lc. 23, 46).
Soprattutto nelle due tragedie di Seneca, Hercules furens e Hercules Oetaeus, che ne riflettono l'immagine tradizionale, Eracle viene indicato come il grande Benefattore, il Pacificatore dell'umanità intera e specialmente il Redentore del mondo e l'autentico Figlio di Dio, il «Salvatore del mondo». Egli reca la salvezza persino nel mondo sotterraneo, vincendo le forze demoniache: «L'orrida morte è spezzata; Tu hai vinto il Regno della Morte». Innalzato dal divino Padre per le sue azioni, a lui raccomanda morendo il proprio spirito: «Accogli, ti prego, il mio spirito fra gli astri... Ecco, il Padre mi chiama e apre il cielo. Vengo, Padre mio, vengo». Nel Vangelo di Luca leggiamo: «Allora Gesù gridò: "Padre, nelle tue mani raccomando lo spirito mio"» (Lc. 23, 46).
Particolarmente sorprendenti appaiono le corrispondenze fra la religione di Eracle e il Vangelo di Giovanni che, essendo il Vangelo canonico più recente, contiene più degli altri un patrimonio concettuale pagano, come dimostreremo più avanti anche in relazione alla religione di Dioniso.
Nei tre Vangeli più antichi il discepolo prediletto non è ai piedi della croce, e nemmeno la madre di Gesù: le donne osservano «da lontano».
In Luca leggiamo: «Tutti (!) i suoi conoscenti stavano lontani» (6). In aperto contrasto con questo racconto, nel Vangelo di Giovanni il discepolo prediletto e la madre di Gesù si trovano sotto la croce, come alla morte di Eracle sono presenti la madre e il discepolo prediletto Hyllos!
E non basta. La voce di Eracle che sale in cielo suona: «...non piangere, o madre ... ormai, io vado in cielo»; in Giovanni il Cristo risorto dice: «Donna, perché piangi? ... Io ritorno dal Padre mio» (Jh. 20, 15 sgg.). E il Cristo di Giovanni spira pronunciando le stesse parole di Eracle: «È compiuto». E ben prima dell'Eroe del Quarto Vangelo, Eracle aveva la denominazione di «Logos», e nella religione di Eracle si recitava: «Perché il Logos è qui non per nuocere o per punire, ma per salvare», che corrisponde alle parole di Giovanni: «Perché Dio non ha inviato il figlio per giudicare il mondo, bensì affinché sia salvato per opera sua» (Schneider, Geistesgeschichte 1, 142).
Nei tre Vangeli più antichi il discepolo prediletto non è ai piedi della croce, e nemmeno la madre di Gesù: le donne osservano «da lontano».
In Luca leggiamo: «Tutti (!) i suoi conoscenti stavano lontani» (6). In aperto contrasto con questo racconto, nel Vangelo di Giovanni il discepolo prediletto e la madre di Gesù si trovano sotto la croce, come alla morte di Eracle sono presenti la madre e il discepolo prediletto Hyllos!
E non basta. La voce di Eracle che sale in cielo suona: «...non piangere, o madre ... ormai, io vado in cielo»; in Giovanni il Cristo risorto dice: «Donna, perché piangi? ... Io ritorno dal Padre mio» (Jh. 20, 15 sgg.). E il Cristo di Giovanni spira pronunciando le stesse parole di Eracle: «È compiuto». E ben prima dell'Eroe del Quarto Vangelo, Eracle aveva la denominazione di «Logos», e nella religione di Eracle si recitava: «Perché il Logos è qui non per nuocere o per punire, ma per salvare», che corrisponde alle parole di Giovanni: «Perché Dio non ha inviato il figlio per giudicare il mondo, bensì affinché sia salvato per opera sua» (Schneider, Geistesgeschichte 1, 142).
Centotrentacinque anni prima che Pfister dimostrasse scientificamente la dipendenza della figura evangelica di Gesù da una biografia cinico-stoica di Eracle, in uno di quegli Inni geniali, per lungo tempo considerati documento di uno spirito ottenebrato, Hölderlin definì Cristo «fratello di Eracle». Hölderlin colse in modo visionario e fantastico anche il rapporto fra il mito di Dioniso e quello di Gesù, come del resto faranno anche Schelling e Nietzsche (7).
DIONISO e CRISTO
Dioniso - si ricordi la discendenza del Cristo biblico - è figlio di Zeus e di una donna mortale: la madre Semele, durante la gravidanza, fu entusiasta dell'evento, come Maria in Luca. E come la gioia di Semele si trasmise agli altri così anche quella di Maria (8).
Dioniso fu un apportatore di gioia, ma anche un dio che soffre, muore e risorge dalla morte: a Delfi veniva additata persino la sua tomba (9).
Dioniso fu un apportatore di gioia, ma anche un dio che soffre, muore e risorge dalla morte: a Delfi veniva additata persino la sua tomba (9).
La religione dionisiaca fu diffusa dapprima nel mondo mediterraneo, dove già a partire dall'VIII secolo a.C. ebbe grande rilevanza in Grecia (10).
In tutte le più importanti città elleniche furono innalzati in suo onore numerosi templi; ma anche a Roma, già nel 186 a.C., contava settemila seguaci (11). Divenne la divinità preferita del mondo antico: dall'Asia alla Spagna fu adorato con feste e processioni sfarzose, durante le quali il suo simulacro veniva portato in giro su un crivello (anche altri dei, molti secoli prima di Cristo, venivano collocati in cesti sacri simili a quello - il lichnon - per esempio Zeus ed Ermes (12), rappresentati in fasce distesi su una greppia.
Ma l'entusiasmo per Dioniso era particolarmente sentito e abbracciava tutti i ceti sociali, a differenza di altri misteri. All'inizio del V secolo Nonno di Panopolis scrisse un poema in 28 libri in onore del dio, il componimento epico più ampio dell'antichità. Ben presto il suo nome divenne tanto popolare, che, come dice il Wilamowitz, nemmeno i vescovi si vergognarono di portarlo (13).
In tutte le più importanti città elleniche furono innalzati in suo onore numerosi templi; ma anche a Roma, già nel 186 a.C., contava settemila seguaci (11). Divenne la divinità preferita del mondo antico: dall'Asia alla Spagna fu adorato con feste e processioni sfarzose, durante le quali il suo simulacro veniva portato in giro su un crivello (anche altri dei, molti secoli prima di Cristo, venivano collocati in cesti sacri simili a quello - il lichnon - per esempio Zeus ed Ermes (12), rappresentati in fasce distesi su una greppia.
Ma l'entusiasmo per Dioniso era particolarmente sentito e abbracciava tutti i ceti sociali, a differenza di altri misteri. All'inizio del V secolo Nonno di Panopolis scrisse un poema in 28 libri in onore del dio, il componimento epico più ampio dell'antichità. Ben presto il suo nome divenne tanto popolare, che, come dice il Wilamowitz, nemmeno i vescovi si vergognarono di portarlo (13).
Anche l'autore del Quarto vangelo è stato influenzato dalla figura di Dioniso.
Come il Cristo giovanneo, qualche secolo prima Dioniso era stato medico, Figlio di Dio in forma umana, Dio che muore e risorge, Dio dello «Spirito», della Profezia; come il Vangelo di Giovanni, il culto di Dioniso conosceva già la «Purificazione», la trasformazione del dolore in gioia (Jh. 15, 2; 16, 20 sgg.).
Come il Cristo del Vangelo giovanneo, già Dioniso era strettamente collegato al vino: Oineo di Etolia pare sia stato il primo a ottenere dal dio la vite, divenendo il creatore della viticoltura etolica. Uno dei titoli più noti di Dioniso, «la Vite», venne da Giovanni attribuito a Cristo, «la Vera Vite» (in un altro scritto cristiano del principio del II secolo egli è definito «la santa Vite di Davide») (14). In una diffusa rappresentazione antica su terracotta, Dioniso bambino appare nell'atto di nascere da una vite. E nel Medioevo, Cristo viene rappresentato appeso a un tralcio, come mostra un'efficace raffigurazione sul portale della Chiesa del castello di Valere, Sitten (Svizzera).
Anche per altri aspetti sono rilevanti gli influssi dell'arte dionisiaca; la vite è collegata strettamente a entrambe le divinità, Dioniso bambino è disteso dentro un cesto sacro come il Gesù bambino nella mangiatoia, esiste un Dioniso barbato e uno imberbe come esiste un Cristo con la barba e uno senza (15). Anche il miracolo delle Nozze di Cana, la trasformazione dell'acqua in vino, era già stato compiuto da Dioniso, come testimonia Euripide (ca. 480-406 a.C.) nella descrizione dei misteri bacchici nella tragedia Le Baccanti, e fu quindi attribuito anche a Gesù (16). Il villaggio di Cana, secondo Giovanni uno dei centri dell'attività pubblica di Gesù in Galilea, stranamente non viene neppure menzionato negli altri tre Vangeli più antichi.
Il Vangelo di Giovanni trae l'espressione per la Comunione: «Chi non mangia la mia carne e non beve il mio sangue» (Jh. 6, 53) dal culto di Dioniso; essa non si trova né in Paolo né in Gesù, ma è nella religione dionisiaca che il dio penetra nel corpo dei suoi adoratori (Eurip., Bacch. 300 sg.). Nel mito di Dioniso i Titani fanno a pezzi il fanciullo divino e ne divorano le membra; e nel tumulto orgiastico del suo culto le Menadi lacerano e mangiano carne cruda (omofagia), per raggiungere l'immortalità in una comunione sacramentale col dio.
In realtà, il Sacramento aveva un significato per la vita anteriore alla morte, ma la sua vera efficacia doveva manifestarsi solo dopo la morte: le medesime concezioni ricompariranno poi nella comunione cristiana. E c'è ancora un elemento in comune piuttosto importante: come il Prometeo Incatenato nel Caucaso, Licurgo e Marsia, anche Dioniso appartiene alla categoria degli dèi crocifissi; consta che le comunità seguaci di Dioniso, già molto prima dell'era volgare, venerassero il dio crocifisso, sopra una tavola d'altare con ampolle di vino. Secondo il teologo Hermann Raschke, la crocifissione di Gesù non sarebbe che una forma evolutiva della crocifissione di Dioniso. Per quanto tale ipotesi possa essere confutabile, vale tuttavia la pena di riassumere la posizione del Raschke:
«Dioniso a cavallo di un asino - nella religione dionisiaca l'asino è l'animale simbolo della pace - Dioniso in nave, Signore del mare, Dioniso e i fichi disseccati, Dioniso e la vite, la gogna e la sofferenza del dio, Dioniso la cui carne viene mangiata e il cui sangue viene bevuto, e ancora l'Orfeo bacchico sulla croce, sono sufficienti queste rapide indicazioni per riconoscere che il contenuto mitico del Vangelo è interamente percorso da motivi dionisiaci» (18).
Come il Cristo giovanneo, qualche secolo prima Dioniso era stato medico, Figlio di Dio in forma umana, Dio che muore e risorge, Dio dello «Spirito», della Profezia; come il Vangelo di Giovanni, il culto di Dioniso conosceva già la «Purificazione», la trasformazione del dolore in gioia (Jh. 15, 2; 16, 20 sgg.).
Come il Cristo del Vangelo giovanneo, già Dioniso era strettamente collegato al vino: Oineo di Etolia pare sia stato il primo a ottenere dal dio la vite, divenendo il creatore della viticoltura etolica. Uno dei titoli più noti di Dioniso, «la Vite», venne da Giovanni attribuito a Cristo, «la Vera Vite» (in un altro scritto cristiano del principio del II secolo egli è definito «la santa Vite di Davide») (14). In una diffusa rappresentazione antica su terracotta, Dioniso bambino appare nell'atto di nascere da una vite. E nel Medioevo, Cristo viene rappresentato appeso a un tralcio, come mostra un'efficace raffigurazione sul portale della Chiesa del castello di Valere, Sitten (Svizzera).
Anche per altri aspetti sono rilevanti gli influssi dell'arte dionisiaca; la vite è collegata strettamente a entrambe le divinità, Dioniso bambino è disteso dentro un cesto sacro come il Gesù bambino nella mangiatoia, esiste un Dioniso barbato e uno imberbe come esiste un Cristo con la barba e uno senza (15). Anche il miracolo delle Nozze di Cana, la trasformazione dell'acqua in vino, era già stato compiuto da Dioniso, come testimonia Euripide (ca. 480-406 a.C.) nella descrizione dei misteri bacchici nella tragedia Le Baccanti, e fu quindi attribuito anche a Gesù (16). Il villaggio di Cana, secondo Giovanni uno dei centri dell'attività pubblica di Gesù in Galilea, stranamente non viene neppure menzionato negli altri tre Vangeli più antichi.
Il Vangelo di Giovanni trae l'espressione per la Comunione: «Chi non mangia la mia carne e non beve il mio sangue» (Jh. 6, 53) dal culto di Dioniso; essa non si trova né in Paolo né in Gesù, ma è nella religione dionisiaca che il dio penetra nel corpo dei suoi adoratori (Eurip., Bacch. 300 sg.). Nel mito di Dioniso i Titani fanno a pezzi il fanciullo divino e ne divorano le membra; e nel tumulto orgiastico del suo culto le Menadi lacerano e mangiano carne cruda (omofagia), per raggiungere l'immortalità in una comunione sacramentale col dio.
In realtà, il Sacramento aveva un significato per la vita anteriore alla morte, ma la sua vera efficacia doveva manifestarsi solo dopo la morte: le medesime concezioni ricompariranno poi nella comunione cristiana. E c'è ancora un elemento in comune piuttosto importante: come il Prometeo Incatenato nel Caucaso, Licurgo e Marsia, anche Dioniso appartiene alla categoria degli dèi crocifissi; consta che le comunità seguaci di Dioniso, già molto prima dell'era volgare, venerassero il dio crocifisso, sopra una tavola d'altare con ampolle di vino. Secondo il teologo Hermann Raschke, la crocifissione di Gesù non sarebbe che una forma evolutiva della crocifissione di Dioniso. Per quanto tale ipotesi possa essere confutabile, vale tuttavia la pena di riassumere la posizione del Raschke:
«Dioniso a cavallo di un asino - nella religione dionisiaca l'asino è l'animale simbolo della pace - Dioniso in nave, Signore del mare, Dioniso e i fichi disseccati, Dioniso e la vite, la gogna e la sofferenza del dio, Dioniso la cui carne viene mangiata e il cui sangue viene bevuto, e ancora l'Orfeo bacchico sulla croce, sono sufficienti queste rapide indicazioni per riconoscere che il contenuto mitico del Vangelo è interamente percorso da motivi dionisiaci» (18).
MITRA e CRISTO
Mitra, il dio della Luce celeste, è una personificazione del Sole. Il suo culto, originario della Persia e dell'India, nel III secolo a.C. era già diffuso in Egitto. Quasi contemporaneamente al Cristianesimo, penetrò poi nell'Impero Romano, facendo numerosi proseliti con grande rapidità soprattutto fra i soldati, i mercanti e gli schiavi, estendendosi in Nord Africa, in Spagna, in Gallia, in Germania e persino in Britannia. Il punto di irraggiamento della religione di Mitra fu la Cilicia, patria di Paolo, dov'era penetrata quasi cent'anni prima di lui. Gli studiosi hanno accertato tutta una serie di corrispondenze fra la sua predicazione e i culti mitraici.
Mitra discese dal cielo e si racconta che alla sua nascita fu adorato dai pastori, che gli recarono in dono le primizie dei greggi e dei frutti della terra. In seguito ascese in cielo, venne posto sul trono accanto al dio del Sole, cioè, divenne partecipe della sua onnipotenza, e infine fu parte di una Trinità. Si credeva, inoltre, che un giorno sarebbe tornato a suscitare e a giudicare i morti (19).
Mitra era il demiurgo fra cielo e terra, fra dio e l'umanità: era l'Uomo-dio, il Redentore del mondo e il Salvatore. Era anche «colui che nacque dalla pietra» (20), come Cristo, a sua volta definito «la Pietra» (19), concomitanza già notata dai più antichi apologeti della Chiesa (Just. Tryph. 70, 1 sgg.; 78, 15), e come Pietro, sempre accostato all'immagine del gallo e delle chiavi, entrambi simboli del dio del Sole.
Il giorno consacrato al dio del Sole era il dies solis (ted. Sonntag; ingl. Sunday), celebrato in modo particolare nel culto di Mitra come primo giorno della settimana, e in seguito definito «il giorno del Signore» (dies dominica) dai cristiani, per i quali in origine tutti i giorni della settimana erano egualmente dedicati al Signore. Intorno alla metà del III secolo, Origene insisteva sul fatto che per il perfetto cristiano tutti i giorni sarebbero dovuti essere giorni del Signore. E ancora nel IV secolo, nel Cristianesimo la domenica non conosceva la cessazione dell'attività lavorativa, nemmeno nei monasteri di più stretta osservanza: la Domenica fu introdotta da Costantino con una legge del 321.
Mitra discese dal cielo e si racconta che alla sua nascita fu adorato dai pastori, che gli recarono in dono le primizie dei greggi e dei frutti della terra. In seguito ascese in cielo, venne posto sul trono accanto al dio del Sole, cioè, divenne partecipe della sua onnipotenza, e infine fu parte di una Trinità. Si credeva, inoltre, che un giorno sarebbe tornato a suscitare e a giudicare i morti (19).
Mitra era il demiurgo fra cielo e terra, fra dio e l'umanità: era l'Uomo-dio, il Redentore del mondo e il Salvatore. Era anche «colui che nacque dalla pietra» (20), come Cristo, a sua volta definito «la Pietra» (19), concomitanza già notata dai più antichi apologeti della Chiesa (Just. Tryph. 70, 1 sgg.; 78, 15), e come Pietro, sempre accostato all'immagine del gallo e delle chiavi, entrambi simboli del dio del Sole.
Il giorno consacrato al dio del Sole era il dies solis (ted. Sonntag; ingl. Sunday), celebrato in modo particolare nel culto di Mitra come primo giorno della settimana, e in seguito definito «il giorno del Signore» (dies dominica) dai cristiani, per i quali in origine tutti i giorni della settimana erano egualmente dedicati al Signore. Intorno alla metà del III secolo, Origene insisteva sul fatto che per il perfetto cristiano tutti i giorni sarebbero dovuti essere giorni del Signore. E ancora nel IV secolo, nel Cristianesimo la domenica non conosceva la cessazione dell'attività lavorativa, nemmeno nei monasteri di più stretta osservanza: la Domenica fu introdotta da Costantino con una legge del 321.
Per approfondire Mitra ved.:
- culto-di-mitra
- culto-di-mitra
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Non c'è dubbio che il destino del Cristo biblico, insieme a un'ampia rielaborazione e utilizzazione di «profezie» veterotestamentarie, venne plasmato soprattutto sul modello delle divinità redentrici ellenistiche Asclepio, Eracle, Dioniso e Mitra. Cristo, figlio di Dio, come già tutti quelli che lo avevano preceduto, discende dal cielo, guarisce, aiuta, soffre, muore e risorge dopo tre giorni.
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Note: Non le ho inserite perché poco utilizzabili. Chi fosse interessato può trovarle nei link indicati sotto le Fonti.
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Fonti:
- http://apocalisselaica.net/
- Karlheinz_Deschner
- Deschner K., Il gallo cantò ancora-Storia critica della Chiesa
- Massari Editore
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Osservazioni:
I dati raccolti da Deschner e i confronti sono molto utili. Le conclusioni nei confronti della Chiesa sono, solo in parte, condivisibili. Le interpretazioni delle analogie possono essere varie. Per esempio le analogie fra i vari "Salvatori" non è detto che si debbano leggere solo come manipolazioni operate dalla chiesa per fini non nobili, ma per il fatto stesso che si riscontrano in un arco di tempo molto ampio e molto prima della nascita della chiesa, vuol dire che rispondono ad una esigenza umana che, si può dire, sia sempre esistita. Ogni essere, ogni uomo-dio, sintetizza in sé aspetti di esseri che l'hanno preceduto. E Gesù Cristo lo dice esplicitamente: "Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento" (Matteo 5, 17). Quindi Gesù Cristo si può vedere come la sintesi dei Salvatori che sono venuti prima di Lui. E, si può ipotizzare (facilmente) che, altri ne verranno in futuro e saranno anche loro la sintesi di quelli precedenti.
Molti sono stati i Salvatori del mondo, che presentano analogie con il Cristo e che qui non vengono esaminati (es. Osiride, che comparve per la prima volta a Busiris, dove prese il posto del dio-pastore Andjeti assimilandone tutti gli attributi, e che morì e resuscitò) e molti, è intuibile, ce ne saranno. Forse non si creeranno più tante chiese, ma si dovrà cercare di rispondere alle esigenze di spiegazioni "religioso-scientifiche" che stanno sviluppandosi nell'umanità.
Link:
- Chi è, cos'è il CRISTO
.:.
Vabbeh, allora dillo che lo fai apposta a farmi i post che mi piacciono. Ecco.
RispondiElimina@ Alma (Ecco). Mi fai sorridere. Grazie. Faccio i post ap-post...
RispondiEliminaOgni tanto seguo i link di Giulia e approdo a questo blog... bel post, molto interessante. Secondo me però vale la pena di chiedersi perché, tra "profeti così simili", a migliaia di anni di distanza Gesù Cristo è forse la figura principale della civiltà occidentale, e gli altri nella migliore delle ipotesi degli eroi della Disney. O perché Maometto, che miracoli non ne face poi tanti, ha avuto così tanto successo. L'impressione mia, così su due piedi, è che quel che fa la differenza è il messaggio rivoluzionario e collettivo: Asclepio, Eracle, Dioniso e Mitra salvavano gli individui e non si interessavano della società; Cristo e Maometto volevano cambiare il mondo, e imbrigliando la fede della masse ci sono riusciti, cambiando poi anche gli individui che componevano la comunità dei fedeli. Forse al giorno d'oggi, come ai tempi del tardo Impero romano, sopravvalutiamo il potere l'individuo rispetto alla sua necessità di integrazione con il resto dei suoi simili? Domandone... :D
RispondiEliminaMi scuso per la riflessione peso, ma mi è venuta in mente stamane durante una cerimonia atea d'inumazione... sono momenti in cui uno si fa queste domande.
@:::: (Ogni tanto seguo...). Numero le risposte per mia necessità di ordine:
RispondiElimina1) Il Cristo , secondo me, è la figura principale perché (come dico nel post) sintetizza in sé lo sviluppo spirituale precedente.
2) Per quanto riguarda Maometto ti posso solo dire che potrebbe essere legato ai "Raggi": Cristo "Amore-Saggezza, Maometto "Devozionale-Idealista".
3) Per quanto riguarda il rapporto individuo-società, sono d'accordo sull'imbrigliare-orientare la fede (devozione-idealismo). Cambiando la propria coscienza si contribuisce a cambiare la società, la cultura, la vita. I cambiamenti indivuiduali possono essere più veloci e anche improvvisi. La Società evolve o per progressione o per rivoluzione , ma il ritmo è più lento di quello individuale.
E' proprio un domandone, ma sono proprio quelle domande che preferisco.
4) La rilflesione è pesante perché le risposte pur essendo "semplici" in essenza sono "pesanti" per la nostra coscienza umana, perché ci risultano difficili da mettere in pratica, facciamo fatica a cambiare: da qui, secondo me, il peso che avvertiamo. Ma condividendo il processo, la percezione del peso diminuisce.
5) Puoi dirmi qualcosa sulla "cerimonia atea d'inumazione"?
Grazie per queste domande, riflessioni così impegnative.
L'impegno è sostegno al regno della crescita. L'Im-Pegno è una garanzia, una promessa di crescita.
@::: (Ogni tanto seguo...) 2. Una aggiunta.
RispondiEliminaBisogna distinguere fra:
- a) gli Esseri, le Coscienze evolute;
- b) gli individui che incarnano queste Coscienze;
- c) i miti, le leggende, le storie, le fedi, le religioni derivate da questi esseri, (creati dai seguaci, non dagli Esseri- Eroi-Salvatori);
- d) le istituzioni che preservano nel tempo le religioni, le fedi, ecc.con tutte le imperfezioni del caso.
- e) le nostre coscienze (ognuna al proprio livello) che cercano di capire e utilizzarne qualcosa per la propria crescita.
Da notare che anche gli scritti su queste Coscienze, sono sempre dovuti a seguaci che hanno cercato di preservare e tramandare gli insegnamenti e le testimonianze di questi Esseri, scrivendo con il proprio linguaggio, le prorprie capacità e il proprio livello di coscienza e quindi di interpretazione. Scritti "ispirati" ma comunque storicizzati, contestualizzati.
Hai proprio ragione c'è molto, molto da dire e da riflettere.
Grazie Resalvato della risposta.
RispondiEliminaHo usato la parola inumazione in un lapsus, intendevo cremazione. E' ancora un po' pesante per me e preferisco non raccontare nei dettagli. Ho assistito a un rito funerario cinese, basato sulla tradizione confuciana, quindi priva di qualunque riferimento spirituale o divino. Ci sono degli elementi taoisti ma ormai svuotati di significato metafisico e inclusi nella "tradizione" del rito. Preciso che il defunto e i suoi familiari sono atei.
Vedere il corpo di una persona che conoscevo, e consideravo parte della mia famiglia, infilato in un forno crematorio, estratto dopo un'ora e mezza e riposto in un'urna, senza nessun "contorno" che cercasse di dare un senso alla sua morte, e sapendo che chi avevo attorno non ne trovava nessuno, mi ha scosso molto. Non credevo possibile affrontare un passaggio tanto "importante" della vita senza inventarsi qualcosa, qualunque cosa, per darsi una speranza di continuazione o una giustificazione metafisica. Ci sto ancora riflettendo sul come facciano i cinesi a vederla così, e sul come la mia reazione emotiva sia sintomatica di un background culturale pesante, che condivido con gli altri occidentali e che emerge solo in situazioni di confronto con altre culture diverse.
@ ::: (Ho usato la parola...) Grazie per i chiarimenti. Anche io credo che - bisogna inventarsi qualcosa. Io propenderei per dei semplici rituali simbolici ispirati al ciclo della vita.
RispondiEliminaNotavo, inoltre, l'utilità del confronto con altre culture perché fa emergere di più le nostre convinzioni e può essere un modo per contribuire ad una cultura planetaria universale nel rispetto della diversità nell'unità.
Grazie.