Da un articolo di Jacopo Fo [Fonte]
Per concludere, vorrei chiarire che, in realtà, quest’idea del cambiamento profondo e rapido non è mia. A partire dagli anni ’70, diversi gruppi di brillanti psicologi iniziarono a mettere in dubbio l’efficacia delle psicoterapie che durano anni.
Watzlawick raccolse le sue idee rivoluzionarie nei libri Istruzioni per rendersi infelici, divertentissimo, e Change (scritto con Weakland e Fisch).
Richard Bandler ha scritto Usare il cervello per cambiare.
Per spiegare meglio questo approccio, ecco come Bandler affrontò la situazione di un bimbo gravemente traumatizzato perché, mentre stava giocando in un covone di fieno, ne aveva presa una manciata dove c’era dentro un serpente. Lo spavento era stato tale che il bambino non era più riuscito a dormire e aveva difficoltà a mangiare.
Bandler si era fatto raccontare il fatto dal bambino e subito aveva esclamato:
“Ecco chi era quel bambino! Ma lo sai che è appena andato via un serpentello che era terrorizzato perché mentre stava giocando in un covone di fieno un mostro enorme lo aveva afferrato, gli aveva urlato in faccia e lo aveva lanciato lontanissimo?”.
Il bambino sbarrò gli occhi e poi scoppiò a ridere. Guarito.
Sempre Bandler, nel suo libro Usare il cervello per cambiare, racconta di come “disattivò” un padre autoritario che aveva trascinato nel suo studio la figlia adolescente e ribelle “per farla curare”. Mentre era lui che aveva bisogno di cure.
Bandler lo vede entrare come una furia nel suo studio, mentre tira per il braccio la ragazzina ed esclama:
“C’è qualcosa che non va?”.
Il padre risponde: “Questa ragazza è una puttanella”.
“Non mi serve una puttana; perché me l’ha portata?”
Ecco un'interruzione degna di questo nome.
Questo genere di battuta iniziale è la mia preferita; con una battuta del genere, si può veramente mandare uno in corto circuito. Se subito dopo gli si rivolge una qualsiasi domanda, non riuscirà mai più a tornare là da dove era partito.
“No, no! Non è questo che volevo dire...”
“Chi è questa ragazza?”
“Mia figlia”.
“Lei ha costretto sua figlia a prostituirsi!!!”
“No, no! Lei non capisce...”
“E l'ha portata qui, da me! Che schifo!”
“No, no, no! Ha capito male”.
Quest'uomo, che era entrato urlando e ringhiando, adesso mi sta supplicando di capirlo.
Ha completamente cambiato prospettiva: ora non aggredisce più sua figlia, ma si sta difendendo.
Nel frattempo, sua figlia, in cuor suo, si sta facendo matte risate. La scena la diverte moltissimo.
“Beh, cosa vuole che io faccia, allora? Cos'è che vuole?”
Lui allora comincia a spiegarmi cosa voleva.
Quando ha finito, dico:
“Lei l'ha portata qui tenendole un braccio piegato dietro la schiena, e l'ha sballottata qua e là. Questo è esattamente il modo in cui vengono trattate le prostitute; ecco cosa le sta insegnando a fare”.
“Beh, io voglio costringerla a...”.
“Oh, 'costringerla'... insegnarle che gli uomini controllano le donne sbatacchiandole qua e là, comandandole a bacchetta, storcendo loro un braccio dietro la schiena e costringendole a fare cose che non vogliono fare. E' così che fanno i protettori. Le resta soltanto da chiederle dei soldi in cambio”.
“No, io non sto facendo questo. E' lei che va a letto col suo ragazzo”.
“Si è fatta pagare?”
“No”.
“Lo ama?”
“E' troppo giovane per poter amare”.
“Forse che non amava lei, suo padre, già da piccolissima?”
Ecco che prende forma l'immagine di lei piccolissima, seduta sulle ginocchia del babbo. Con un'immagine del genere si può mettere nel sacco qualsiasi padre autoritario.
“Mi permetta di farle una domanda. Guardi sua figlia... Non vuole che riesca a provare il sentimento dell'amore, e che viva il comportamento sessuale come una cosa piacevole? La morale di oggi non è più quella di una volta, e lei può benissimo non condividerla. Ma le piacerebbe forse che l'unico modo in cui sua figlia imparasse ad avere rapporti con gli uomini fosse lo stesso che ha avuto con lei, quando l'ha fatta entrare in questa stanza qualche minuto fa? E che aspettasse i venticinque anni per sposare qualcuno che la picchiasse, la sbatacchiasse, la maltrattasse e la costringesse a fare cose che non vuole fare?”
A questo punto il padre non sa più cosa pensare, e allora è il momento di colpire duro. Lo guardi diritto negli occhi, e gli dici:
“Non è forse meglio che sua figlia impari ad avere dei rapporti d'amore... anziché imparare a far propria la moralità del primo uomo capace di costringerla a fare ciò che lui vuole? I protettori fanno proprio questo".
Provate a trovare una via d'uscita. Non ce ne sono. Il suo cervello non aveva più modo di tornare indietro al punto di prima. E lui non poteva più comportarsi come un protettore. Non importa se si costringe qualcuno a fare o a non fare qualcosa di “buono” o di “cattivo” che sia. E' il fatto stesso di costringerlo che gli inculca l’abitudine a farsi controllare in qualche modo.
Ma a questo punto il padre autoritario non sa più cosa fare. Ha smesso di fare quel che faceva prima, ma non ha niente da sostituirvi.
Devo suggerirgli qualcosa da fare; potrebbe per esempio insegnare a sua figlia qual è il modo in cui un uomo deve comportarsi nei confronti di una donna. Perché allora, se l'esperienza che sua figlia vive con il suo ragazzo è insoddisfacente, lei la interromperà.
L'ho messo nel sacco. Sapete cosa significa? Adesso lui deve costruire una solida relazione positiva con sua moglie, ed essere gentile con gli altri membri della famiglia, e fare in modo che sua figlia stia meglio con loro che con quel tizio che le ronza intorno. Che ve ne sembra, come coazione?"
A me sembra un ottimo procedimento.
Immagini: Richard Bandler; Paul Watzlawick
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