giovedì 15 dicembre 2011

Le dimensioni che contano (Democrito, Stringhe, Universo)

[Fonte: www.thefrontpage.it]:

Mario Giardini

Democrito, come tutti sanno, o dovrebbero, fu allievo di Leucippo e autore, insieme a lui della prima teorica atomica di sapore moderno che si conosca. Per i tempi in cui visse, circa venticinque secoli fa, i suoi concetti di atomo (i fisici di oggi parlerebbero della particella elementare che costituisce la materia dell’universo) e di spazio vuoto (cioè l’assenza di materia) erano certamente espressione di una mente geniale. La “natura” degli atomi di Democrito è quella di muoversi, incessantemente. Questo moto perenne spiega la continua trasformazione della materia, le sue forme fluide, il divenire continuo dell’universo. I concetti di atomo e spazio giunsero fino al ‘600 e in parte furono incorporati nella meccanica newtoniana. Gli atomi di Democrito sono concepiti sostanzialmente come sfere di raggio nullo. Dei punti, insomma.


Naturalmente la scienza del XX secolo, ed in particolare la teoria quantistica hanno modificato, e di molto, i concetti che spiegano (o almeno tentano) l’infinitamente piccolo. Fra i tanti nuovi concetti, per il nostro discorso di oggi due sono importanti. Il primo è che non esistono particelle elementari nel senso democriteo, cioè fisico, cioè con una esistenza stabile ed una individualità precisa. Le tante particelle elementari che si conoscono (muoni, gluoni, barioni, bosoni, ecc) sembrano essere più il veicolo che spiega le loro interazioni che non il prodotto delle medesime.
E comunque appare assai dubbio che ci sia, da qualche parte, una particella che sia equiparabile all’atomo di Democrito. E cioè che sia la più fondamentale, il componente ultimo della materia, oltre il quale non si può immaginare nulla di più piccolo.
Il secondo concetto è che queste particelle elementari non sono puntiformi, ma sono delle “stringhe”. Cioè elementi a due dimensioni che vibrano continuamente. Immaginate, per dirla alla buona, un pezzettino di filo da cucito di infinitamente corto, e di spessore tendente a zero.
I fisici moderni, negli ultimi decenni (compreso Einstein) sono andati alla costante ricerca di una “teoria del tutto”. Cioè una teoria che spieghi le quattro forze fondamentali che agiscono sulla materia: quelle forti (ad esempio le forze che tengono insieme nel nucleo dell’atomo i protoni), quelle deboli, le elettromagnetiche e la gravità.
Sono state proposte molte teorie che hanno alla loro base le stringhe. C’è un piccolissimo problema: tutte sono descritte da equazioni dove le dimensioni fisiche dell’universo sono o nove o dieci (più il tempo). Ora, tutti noi sappiamo (o crediamo di sapere) che in realtà le dimensioni fisiche dell’universo sono solo tre. Dove sono finite le altre sei o sette? Nessuno lo sa, nel senso che nessuno riesce a trovarle. Qualche giorno fa, per la prima volta, è stata presentata in Giappone, a Tsukuba, una teoria che ha il pregio di “incorporare” un meccanismo naturale che spiega il perché, pur avendo l’universo nove o dieci dimensioni spaziali, esso sembra esistere in sole tre.
Spiegare questo meccanismo è difficile. Diciamo che si sono immaginati i molti modi in cui le stringhe possono “interagire” tra di loro. Queste possibili interazioni sono state “sommate”, cioè rappresentate matematicamente per definire lo “stato” della materia. Si è visto che in alcuni casi le dimensioni fisiche della materia da nove o dieci si riducevano a tre. Ed era possibile formulare un modello dell’universo nei primi istanti dalla sua formazione. Non sto a tediarvi con dettagli matematici. La cosa interessante e promettente è che, a differenza di altre teorie dove le soluzioni delle equazioni che le descrivono sono impossibili o quasi da trovare, questo metodo ne consente il calcolo computerizzato perché si usano delle matrici. Anche se piccole (quelle usate andavano da 8×8 fino a 32×32 elementi), ci sono voluti due mesi di calcoli di alcuni super-computers per trovare le soluzioni.
Dove ci porteranno questi sviluppi è difficile dire. Certo un’unica teoria, che metta insieme la relatività e la quantistica sarebbe un bel passo avanti per la comprensione del meccanismo che ha portato alla nascita dell’universo. Basterà per rispondere alla domanda del perché esista, invece del nulla? Ne dubito molto.
Se devo essere sincero, per me il problema delle nove o dieci dimensioni fisiche di cui 6 o 7 sono sparite non mi è mai sembrato così fondamentale. Ieri per esempio passeggiavo sul lungomare, qui a Rio. E quel che vedevo modellato in tre dimensioni bastava e avanzava. Altroché, se bastava.

Mario Giardini

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