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martedì 29 maggio 2018

mercoledì 3 agosto 2016

Pascal.6 - canna pensante - l'Universo


Canna pensante – Non devo chiedere la mia dignità allo spazio ma al retto uso del mio pensiero. Non otterrei nulla di più col possesso delle terre; mediante lo spazio, l’universo mi circonda e mi inghiottisce come un punto; mediante il pensiero, io lo comprendo. (348)

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mercoledì 20 aprile 2016

E se l’Universo fosse un grande organismo vivente?


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Dal microbo più piccolo al mammifero più grande, l'uomo è convinto di riuscire a riconoscere la vita. Ma potrebbe esistere anche su scala molto più grande, diciamo a “livello cosmico”, 
in cui i pianeti fungono da cellule e i buchi neri da DNA dello spazio? 
I segreti del cosmo potrebbero risiedere nella biologia invece che nella fisica? 
Insomma, l'Universo è vivo? 



Cosa rende vivo un organismo? Cosa ci rende diversi da un sasso o da un robot?
È il battito del cuore? Sono i pensieri che abitano la nostra mente? O per il fatto che nasciamo, cresciamo e moriamo?
Alcuni scienziati hanno pensato che potremmo condividere questi aspetti con qualcosa di molto più grande: è possibile che l’intero cosmo sia un unico organismo vivente, nel quale viviamo e ci muoviamo?
Tutta la vita può essere fatta risalire ai pochi organismi unicellulari che esistevano nell’Archeano. Oggi, dopo circa 4 miliardi di anni, ci troviamo a condividere il pianeta con elefanti, balene e altre 8 milioni di specie eucariotiche.
Chiaramente, tutti gli esseri viventi sul nostro pianeta sono interconnessi, tanto da far pensare di essere tutti parte di un unico organismo vivente. Siamo come le centinaia di diversi tipi di cellule del nostro corpo che costantemente muoiono e si rinnovano? Facciamo parte di un organismo complesso più grande di noi?
Il primo in Occidente a concepire l’universo come un grande organismo fu il filosofo greco Anassagora che in opposizione al meccanicismo atomistico pensava all’esistenza di un Nous (mente) che organizzasse il cosmo risollevandolo dal caos originario. Ma l’idea dell’universo come organismo vivente è stata ampiamente formulata anche da Platone, poi dagli stoici, da Plotino e dal neoplatonismo.
Secondo la visione “organicista”, le strutture che compongono l’Universo, cioè galassie, buchi neri, quasar, stelle, nebulose, pianeti e noi compresi, sono da considerare come i tessuti di un gigantesco essere vivente, un po’ come le parti che compongono il nostro organismo.
Se è vero che una delle caratteristiche degli esseri viventi è quella di nascere, crescere, riprodursi e morire, questi aspetti sono più che plausibili anche per l’Universo:
il Big Bang è praticamente la venuta al mondo del cosmo (probabilmente da un universo antenato); il fatto che l’Universo si espanda significa semplicemente che cresce; in futuro, quando l’entropia si sarà equilibrata, l’Universo morirà come tutti gli altri esseri viventi.
E per quanto riguarda la riproduzione? Tutti gli esseri viventi hanno una caratteristica in comune: provengono da un altro organismo. Se il nostro Universo fosse vivo, avrebbe anch’esso un genitore? E, a sua volta, potrebbe dare vita ad un Universo figlio?
Il fisico teorico Lee Smolin, uno dei fondatori del Perimeter Institute for Theoretical Physics, sostiene la possibilità che il nostro Universo abbia già dato vita ad una intera famiglia di universi-figli nascosti al di là dell’orizzonte oscuro dei buchi neri.
«Le leggi di natura sono perfettamente sintonizzate, in modo che l’Universo possa ospitare la vita», spiega Smolin. «Immaginiamo cosa succederebbe se cambiassimo anche solo leggermente queste leggi: l’Universo non sarebbe più così ospitale. Resta un mistero il motivo per cui l’Universo è così accogliente nei confronti della biologia».
I cosmologi si scontrano da tempo con questo enigma chiamato “Perfetta Sintonizzazione”. Se una qualsiasi delle forze della natura fosse più forte o più debole di una percentuale inferiore all’1%, le stelle e le galassie non si formerebbero mai. Persino gli atomi non esisterebbero.
Per molti, questo è il segno che il nostro Universo è stato accuratamente plasmato dalla mano di un creatore che la concepito in modo da fargli ospitare la vita umana.
Smolin, tuttavia, cercava una spiegazione più osservabile, trovandone una non nella fisica, ma nella teoria biologica dell’evoluzione. «La selezione naturale spiega come le strutture intricate della vita si sviluppano progressivamente», commenta Smolin, chiedendosi se anche il nostro Universo così complesso sia il frutto di una versione cosmica dell’evoluzione biologica.
«L’Universo potrebbe avere una storia? Potrebbe avere degli antenati? Mentre si è evoluto nel corso della storia, potrebbero esserci state variazioni casuali delle leggi, e poi una selezione delle stesse, privilegiando quelle che introducevano le strutture più complesse?», si chiede Smolin. A suo parere, la “selezione naturale cosmologica” potrebbe essere la risposta: «è la migliore che abbia trovato finora!», ammette lo scienziato.
Perchè la Teoria della Selezione Naturale Cosmologica di Smolin possa funzionare, ci deve essere un meccanismo per cui un intero cosmo possa riprodursi e subire una mutazione come nella trasmissione del DNA.
Secondo Smolin, la risposta si trova nel centro impenetrabile dei buchi neri, dove le leggi della fisica conosciuta smettono di esistere, con il sopravvento di altre leggi relative alla gravità quantistica finora ignote. Il fisico teorico ritiene che quando una stella esplode lasciando il posto ad un buco nero, in quel momento avviene la nascita di un nuovo universo.
«La stella che ha creato il buco nero collassa, e poco prima di diventare infinitamente densa, rimbalza e ricomincia ad espandersi», spiega Smolin. «A quel punto, si creano nuove regioni di spazio tempo, sempre all’interno dell’orizzonte del buco nero, le quali potrebbero crescere e diventare grandi come ha fatto il nostro Universo dopo il Big Bang».
universi-figli
Dunque, il nostro Universo potrebbe essere un germoglio spuntato su un ramo di un gigantesco albero cosmico sempre in crescita. «Nel cosmo funziona come in biologia: esiste una popolazione di universi che generano una progenie attraverso i buchi neri», continua Smolin.
Ma questo non è l’aspetto più interessante della teoria di Smolin. Mentre studiava quali leggi della fisica permettono ad un piccolo universo di essere più prolifico, Smolin ha scoperto una misteriosa analogia tra l’albero genealogico cosmico e quello biologico.
«Perchè si formi un buco nero, occorre una stella molto grande. Inoltre, occorrono enormi nuvole di gas e polveri fredde, in modo che queste sostanze si trasformino in monossido di carbonio, quindi occorrono sia il carbonio che l’ossigeno, i due atomi essenziali per la formazione della vita», continua il ricercatore.
Questi due elementi sono presenti nell’universo in misura massiccia, quindi «la spiegazione per cui il cosmo ospita la vita non è altro che un effetto collaterale della sua stessa fertilità in termini riproduttivi».

La Vita del Cosmo

la-vita-del-cosmoLee Smolin
Secondo l’autore, la fisica contemporanea dovrebbe superare la vecchia impostazione newtoniana, e il pensiero fisico dovrebbe tener conto a tutti i livelli dei più recenti sviluppi teorici:
l’universo si comporta come se fosse soggetto alle leggi dell’evoluzione e della selezione naturale.
È tutto plastico, e le sue leggi non sono immutabili; esiste addirittura una “competizione tra universi possibili”, che dà come risultato la realtà in cui viviamo.

Se Smolin ha ragione, le leggi della fisica che conosciamo sono state accuratamente regolate in modo da mantenere fertile il cosmo per la sua riproduzione. Le stesse leggi rendono il nostro universo un luogo in cui la vita basata sulla chimica del carbonio può prosperare.
Seconto la Teoria della Selezione Naturale Cosmica, l’Universo in cui ci troviamo è un organismo vivente, e che quello della vita non è un fenomeno solo locale, ma anche scalare, cioè capace di manifestarsi non solo in diversi luoghi dell’Universo, ma anche su diverse scale di grandezza, tanto grandi da risultare a noi irriconoscibili.

In fin dei conti, siamo versioni in scala differente della stessa cosa.

sabato 19 dicembre 2015

GAYATRI MANTRA






GAYATRI MANTRA

Q
uesto mantra è stato trovato dal Rishi Vishwamitra nei Veda (1500-800 a.c. - Rg Veda III 62.10). Gayatri è la Madre dei sacri testi vedici di cui è considerata l’essenza. L’inno indirizzato all’energia del Sole (che simboleggia la Luce della Verità), alla Divinità Immanente e Trascendente, è considerato il più importante di tutti i mantra. Può essere cantano in qualsiasi momento e in ogni posto, ma l’alba e il tramonto sono i momenti migliori. Per avere efficacia deve essere ripetuto almeno tre volte; alcuni lo ripetono 108 o anche 1008 volte.
Il termine "Gayatri" proviene da “GAYAntam TRIyate iti”, che significa: "Ciò che preserva colui che lo recita". GAYA vuol dire Essere e insegna la Verità, il principio della vita. Gayatri ha 3 nomi: Gayatri, Savitri e Saraswathi. Gayatri è la madre dei sensi, Savitri è la madre del prana e significa Verità, Saraswathi presiede la Parola divina. Tutte e tre rappresentano la purezza del Pensiero, della Parola e del-l’Azione. E’ stato dato come Terzo Occhio (Ajna Chakra) per rivelare la visione interiore. Sviluppando questa visione si può realizzare il Brahman.
La Gayatri è lode, meditazione, preghiera (per la liberazione). Sotto lo stesso nome della Gayatri ci sono devozione, conoscenza e distacco.
In ogni cuore esiste lo stampo della Gayatri, che ha cinque facce: bhûr-bhuvah-svah, sono le tre dimensioni che stanno unite insieme per formare un solo volto; è la lode, l’adorazione. Tat è la seconda faccia; savitur-varenyam è la terza; bhargo-devasya-dhîmahi è la quarta (riguardano la meditazione); dhiyo-yo-nah-prachodayât è la quinta (la preghiera).
La Gayatri può essere tradotta in vari modi, perché molteplici sono i suoi significati spirituali. Ecco due versioni: la più sintetica e la più lunga. 

Meditiamo sul Fulgore Supremo dei tre universi.
Possa Esso illuminare la nostra coscienza. 


Supremo Divino, Tu sei il Creatore di quest’universo, della terra, dello spazio e del cielo.
Noi adoriamo Saviturh, quel raggiante splendore, la Tua pura forma,
 l'Origine di tutta la  creazione.
Noi meditiamo sulla Tua Divina radiosità. Noi Ti contempliamo.
Ispira i nostri pensieri, guida il nostro spirito, apri il nostro occhio interno,
 l'occhio della Saggezza.


Svelaci il volto del vero Sole Spirituale,
nascosto da un disco di luce dorata, 
affinche' possiamo conoscere la verita' 
e fare tutto il nostro dovere, 
mentre ci incamminiamo verso i tuoi Sacri Piedi”. 
A. A. Bailey, Raggi e Iniziazioni, pag. 395




Traduzione letterale
Om
Para Brahman, Suono primordiale


Bhur
Terra
Materia
Corpo, piano fisico
Bhuvah
Cielo
Vita
Vibrazione
Svah
Cosmo, Universo
Coscienza
Irradiazione, Saggezza
Tat
Paramatma, Dio o Brahman
Savitur
Quella Sorgente dalla Quale tutto è nato.

Varenyam
Degna di essere venerata


Bhargo
Radianza


Devasya
Realtà Divina


Dhimahi
Meditiamo


Dhiyo
Buddhi, Intelletto, Piano intuitivo


Yo
Il Quale, La Quale


Nah
Nostro


Prachodayat
Intelletto



giovedì 12 novembre 2015

Il Sistema Solare sta cambiando | Blog di ununiverso

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E’ notizia del 29 luglio 2015, viene rilevata una gigantesca aurora fuori dal nostro Sistema Solare.
Dati senza precedenti rivelano che il campo magnetico del Sole è aumentato del 230%.
Il nostro pianeta e il Sistema Solare stanno cambiando, qualcosa lo sta “colpendo”.
Stanno accadendo tante cose strane nello spazio esteriore come in quello interno.
Gli scienziati stanno scoprendo che il Sistema Solare, il Sole e la vita stessa, stanno mutando in modo mai visto prima.
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Michael Lockwood

Il Dott. Michael Lockwood, sta esaminando il Sole e riporta che dal 1901 il campo magnetico nella sua totalità si è rafforzato del 230%.
Il satellite della Terra, la Luna sta sviluppando un’atmosfera.
Si scopre inaspettatamente ghiaccio polare, su Mercurio, così come un campo magnetico intrinseco sorprendentemente forte.
Su Venere, si registra un aumento della luminosità aurorale del 2.500%, e sostanziali cambiamenti atmosferici globali in meno di 40 anni.
Su Marte si registra un ‘riscaldamento globale’, enormi temporali e la scomparsa delle calotte polari..
Su Giove, un’ aumento di oltre il 200% nella luminosità delle nuvole di plasma circostanti.
Saturno, registra un’importante diminuzione delle velocità delle correnti a getto equatoriale in solo 30 anni, accompagnata da una sorprendente ondata di raggi X provenienti dall'equatore.
Su Urano, grandi cambiamenti nella luminosità, aumento dell’attività globale delle nuvole.
Anche su Nettuno, aumento del 40% della luminosità atmosferica.
Su Plutone, aumento del 30% della pressione atmosferica malgrado si stia allontanando sempre di più dal Sole.
E sul nostro pianeta, la Terra, lo stiamo vedendo con i nostri occhi, sostanziali ed evidenti cambiamenti climatici e geofisici in tutto il mondo.
L’asse della Terra è cambiato. Si verificano sempre più spesso fenomeni meteorologici estremi.
Un aumento drammatico dell’indice dei terremoti e anche i vulcani entrano in eruzione con più frequenza.
Il plasma luminoso al limite più estremo del nostro Sistema Solare è aumentato recentemente di un 1000%.
Gli scienziati sono giunti alla conclusione che ci siamo spostati in una zona dello spazio che è diversa ed ha un livello di energia molto più alto.
Si stanno scoprendo cambi, che si stanno registrando nello spazio, che non si erano mai visti.
Quest’aumento di emissione di energia cambierà la natura di base di tutta la materia nel Sistema Solare.
Sta avvenendo un cambiamento climatico in tutto il Sistema Solare, stanno arrivando più raggi cosmici galattici del solito, sulla Terra.
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David Wilcock, autore e cineasta americano, ci dice che il nostro Sistema Solare sta entrando in una nuova zona di vibrazione è molto probabile che si stia dirigendo in una zona dello spazio in cui le vibrazioni sono molto più elevate.
Questo potrebbe essere legato alla Cintura Fotonica o essere solo una zona del Sistema Solare che infonde vibrazioni energetiche più elevate al nostro corpo, cosa che spiegherebbe il fatto che molti bambini siano nati con frammenti extra di DNA attivi.
Le vibrazioni saranno più alte sul pianeta. Per questo l’uomo dovrà elevare la sua vibrazione per poter esistere.
Segni di accelerazione quindi..un accelerazione brutale.
Fa parte dell’accelerazione globale che l’umanità sta sperimentando a tutti i livelli, perché non c’è stato mai un maggiore incremento nella popolazione, simultaneamente con un incremento, per esempio, nell'intensità sei terremoti e anche degli uragani.
Non c’è mai stata un’accelerazione esponenziale tanto intensa nella conoscenza, cioè, è assolutamente esponenziale.
Abbiamo praticamente accesso a tutta la conoscenza dell’umanità…
La cosa affascinante è che quest’accelerazione e tutto quello che sta succedendo qui, simultaneamente, per il poco che sappiamo, sta succedendo nel resto del Sistema Solare.
Sta avvenendo, a suo modo, quello che potremmo chiamare, perché alcuni pianeti si suppone che non abbiano atmosfera, grossi cambiamenti climatici.
C’è stata tutta un’accelerazione dei cambiamenti nell'ultimo secolo.
Stiamo attraversando un processo cosmico, simile a quello cui, alcuni scienziati, attribuiscono le anteriori estinzioni.
Secondo alcuni scienziati, come per esempio il geofisico russo Dmitriev, e molti altri, quello che dicono è che siamo in una zona del cosmo dove c’è un enorme flusso di particelle e che tutto questo ci porta ad una situazione, in maniera immediata, nella quale solo quelle specie di individui, o gruppi di individui, che siano capaci di realizzare i cambiamenti radicali che gli permettono di adattarsi alle condizioni mutevoli, saranno capaci di sopravvivere.
E questo tradotto in termini umani significa, o portiamo a termine una rivoluzione psicologica ora e ci muoviamo e incominciamo ad agire, a pensare, a sentire in un altro modo e rimetterci in sintonia con la Terra, o sarà la fine.
E’ quindi urgente eliminare la densità che ci domina, dovuta alla forte personalità, agli stati egoici, alle paure costanti che ci caratterizzano e lottare instancabilmente per vibrare in una frequenza più elevata basata sulla solidarietà, aiuto agli altri, affetto, serenità e tutti i valori umani che vengono dal cuore.
In questo modo saremmo in sintonia con questo cambiamento cosmico inter-dimensionale che si sta verificando nel nostro Sistema Solare e che ci sta portando all'inizio di una Nuova Era.
Di: Sergio T.
Tratto da: hackthematrix
FONTE:  Il Sistema Solare sta cambiando | Blog di ununiverso





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lunedì 19 ottobre 2015

Universo, chi ti ha creato? E quale sarà la tua fine?

La fisica quantistica ci spiega come l'Universo, creato dal nulla, può anche finire nel nulla


Valentina Balestri - 19/10/2015 

Universo, chi ti ha creato? E quale sarà la tua fine?

Sembra davvero incredibile che tutto ciò che conosciamo, il mondo in cui viviamo, il cielo che guardiamo, con tutte quelle stelle, brillanti e lontane, possa essere nato dal nulla

Sembra incredibile che l’essere umano non abbia un vero motivo di esistenza se non quello di scoprire quale questo motivo possa essereperché esiste l'uomo è una domanda che ogni essere umano si è sempre fatto e sempre si farà!

Se l'universo fosse una persona, se gli potessi parlare faccia a faccia, la prima cosa che gli chiederei è: Universo, chi ti ha creato? Come sei nato? Quale sarà la tua fine? Hai un padre? Oppure l'unica cosa che c'era prima di te era un incomprensibile "nulla"?
E, detto tra me e te, sai per caso anche perché l’uomo è stato creato


L'Universo dal Nulla
Le rivoluzionarie scoperte che hanno cambiato le nostre basi scientifiche
Estratto da "L'Universo dal nulla"

Quale sarà la fine dell’universo?
Se potessimo determinare la natura della materia oscura e la sua abbondanza, potremmo essere in grado di determinare come finirà l’universo
Quest’ultima possibilità sembrava la più eccitante di tutte, per cui inizierò da qui. Di fatto, mi sono dato alla cosmologia perché volevo essere la prima persona a sapere come sarebbe finito l’universo.

Ogni galassia contiene forse cento miliardi di stelle e insieme ad esse probabilmente centinaia di miliardi di pianeti e, forse, civiltà da tempo perdute.
Attualmente siamo virtualmente sicuri che la materia oscura (la cui esistenza, ripeto, è stata indipendentemente corroborata in una miriade di diversi contesti astrofisici, dalle galassie ai cluster di galassie) deve essere fatta di qualcosa di interamente nuovo, qualcosa che non esiste ordinariamente sulla Terra. Questo tipo di sostanza, che non è sostanza stellare, non è neanche sostanza terrestre. Ma è qualcosa!

L’Universo ha uno scopo?
Come ho già detto, il sogno di una persona è l’incubo di un’altra persona.
Ad alcuni può sembrare che un universo senza scopo o guida renda la vita stessa insensata.
Per altri, me incluso, un universo del genere è vivificante.
Rende il fatto di esistere ancora più stupefacente, e ci motiva a dare un significato alle nostre azioni personali e a sfruttare al massimo la nostra breve esistenza sotto il Sole, semplicemente perché siamo qui, dotati di coscienza e con l’opportunità di farlo.
Ciò che è accaduto è accaduto, ed è accaduto su una scala cosmica, e ciò che sta per accadere su quella scala accadrà, che ci piaccia o no. Non possiamo influenzare il primo caso ed è poco probabile che possiamo influenzare il secondo.

Perché esistiamo?
Quello che possiamo fare, noi esseri umani, tuttavia, è cercare di capire le circostanze della nostra esistenza.
Ho descritto in questo libro uno dei più notevoli viaggi di esplorazione che l’umanità abbia mai compiuto nella sua storia evolutiva. È una ricerca epica volta all’esplorazione e alla comprensione del cosmo su scale semplicemente sconosciute un secolo fa. Un viaggio volto alla scoperta di chi ha creato l'universo e come. Il viaggio ha spostato i limiti dello spirito umano, combinando la disponibilità a seguire l’evidenza dovunque potesse condurre con il coraggio di dedicare una vita a esplorare lo sconosciuto, pur sapendo perfettamente che lo sforzo avrebbe potuto non condurre da alcuna parte; in ultima analisi, tutto ciò richiede una mescolanza di creatività e persistenza per affrontare il compito spesso noioso del vagliare infinite equazioni o innumerevoli sfide sperimentali.

Perché c’è qualcosa piuttosto che nulla?
Abbiamo scoperto che tutte le indicazioni suggeriscono un universo che potrebbe, ed è plausibile che l’abbia fatto, sorgere da un nulla più profondo, che implica l’assenza dello spazio stesso, e un giorno potrebbe ritornare al nulla non soltanto attraverso processi comprensibili ma anche attraverso processi che non richiedono alcun controllo o direttiva esterni.
Ho esposto chiaramente le mie preferenze personali: che il nostro universo sia sorto dal nulla attualmente mi sembra di gran lunga l’alternativa intellettuale più convincente. A voi trarre le vostre conclusioni.


Senza la scienza, tutto è un miracolo.
Con la scienza, rimane la possibilità che nulla lo sia. 




FONTE:  Universo, chi ti ha creato? E quale sarà la tua fine?

domenica 11 ottobre 2015

Il complesso di Copernico - Le Scienze


Il complesso di Copernico

Con la teoria dell'eliocentrismo, la Terra sembra avere un assunto un ruolo anonimo nell'universo.
L'autore spiega perché non è così

di Caleb Scharf



Nel XVI secolo Niccolò Copernico spodestò la Terra dal centro dell'universo, dando un colpo definitivo non solo alle Sacre Scritture ma anche all'intima convinzione di ogni essere umano di vivere in un posto speciale del cosmo. Da allora, il nostro pianeta e i suoi abitanti sembrano sprofondati in un complesso copernicano di mediocrità. Dopotutto oggi sappiamo che la Terra orbita attorno a una delle centinaia di miliardi di stelle della Via Lattea, la nostra galassia, che a sua volta è una delle centinaia di miliardi di galassie dell'universo osservabile. Eppure questo ruolo anonimo del nostro pianeta potrebbe non essere giustificato, come spiega Caleb Scharf in Il complesso di Copernico, libro allegato a richiesta con "Le Scienze" di ottobre e in vendita nelle librerie per Codice Edizioni.

Non si tratta certo di rimettere la Terra su un trono cosmologico, ma di valutare alcune implicazioni di scoperte scientifiche può o meno recenti, che darebbero alla Terra uno status di "particolarità". Scopriamo un numero sempre più grande di esopianeti, ovvero pianeti in orbita a stelle che non siano il nostro Sole. Attualmente sono quasi 1900 i pianeti extrasolari la cui scoperta è stata confermata. Tuttavia, più studiamo questi sistemi stellari, più capiamo che il sistema solare non è poi così anonimo. La nostra stella non fa parte dei tipi più comuni di stelle, e le orbite dei pianeti che girano attorno al Sole sono oggi più circolari e più distanziate rispetto alla maggior parte degli altri sistemi stellari conosciuti. Un architetto di sistemi planetari, argomenta Scharf, direttore del Columbia Astrobiology Center della Columbia University, considererebbe il nostro sistema come un'eccezione; in una certa misura, lo catalogherebbe fuori dalla norma.

Altri elementi per dubitare dell'assoluta mediocrità della Terra riguardano la fisica. I valori di alcune costanti fondamentali della natura sembrano regolati su misura per consentire sia l'esistenza del nostro pianeta sia delle forme di vita che la abitano. Basterebbe una piccola modifica alla forza elettromagnetica per rendere di colpo impossibile la formazione delle strutture molecolari che sono alla base della complessità del cosmo, sottolinea Scharf, e basterebbe sempre una piccola modifica nella forza di gravità per rendere impossibile la formazione delle stelle e quindi la sintesi di elementi chimici pesanti, i semi della vita come la conosciamo, oppure per rendere obbligata la formazione di stelle mostruose che collasserebbero in tempi relativamente brevi e non lascerebbero alcuna eredità vitale. Se tutto questo non fosse già abbastanza, alcuni parametri cosmologici, come l'attuale tasso di nascita delle stelle, ormai in lento ma inesorabile declino, e l'azione della misteriosa energia oscura, che accelera l'espansione dell'universo, secondo l'autore portano a concludere che la nostra esistenza potrebbe coincidere con l'unico periodo nella storia in cui la natura dell'universo può essere dedotta in modo corretto osservando quello che ci circonda.

Siamo dunque noi esseri umani, e la Terra su cui viviamo, anonimi, mediocri abitanti del cosmo? Nessuno ha ancora la risposta definitiva e nemmeno Scharf si azzarda a risolvere la questione del nostro posto nell'universo. Magari in attesa che si appalesi una forma di vita extraterrestre intelligente con la quale eventualmente discutere l'argomento. Sempre che là fuori ci sia qualcuno.

domenica 13 settembre 2015

Così la fisica spiega l’inspiegabile origine dell’universo | Aleteia.org

Galassia cosmo


di Umberto Minopoli  
"Un po’ di scienza allontana da Dio ma molta scienza riconduce a lui”. Louis Pasteur, il padre della microbiologia, è stato il primo a formulare questa paradossale conclusione. Applicata alla cosmologia, lo studio delle origini e del destino dell’universo, ha la forza di una profezia verificata: la domanda su Dio è ridiventata una controversia nella cosmologia contemporanea, dopo esserne stata espulsa per quasi due secoli.
Al culmine di un avanzamento esponenziale delle conoscenze sul cosmo nella seconda metà del Novecento, la scienza è tentata da due suggestioni.
La prima è inquietata dal paradossale contrasto tra l’immensa progressione delle conoscenze dell’ultima metà del secolo e la portata delle domande inevase e irrisolte sull’universo: cosa è stato veramente il Big Bang? Perché riusciamo a spiegarci solo il 4 per cento della materia che vediamo? Come è iniziata veramente la vita cellulare?
Questa parte della scienza non se la sente ancora, dinanzi a tanta incertezza, di dichiarare inammissibile scientificamente l’ipotesi di disegno intelligente, l’ipotesi di Dio. “Molta scienza” ci riporta a domande fondamentali e senza risposta. Dio non è escluso.
Ma c’è una seconda suggestione, opposta, che ritiene invece che l’accumulo di conoscenza cosmologica degli ultimi settant'anni consenta finalmente all'umanità di dichiarare chiuse le domande su Dio. Ormai sappiamo quanto basta, ha scritto Stephen Hawking: gli interrogativi fondamentali della vita hanno risposte e noi siamo vicini alla verità sul Grande disegno: non c’è un disegnatore! Su questa convinzione è nata una cosmologia che ha avuto un successo straordinario nella letteratura divulgativa, con i bellissimi libri di Hawking, Lawrence Krauss, Brian Greene, Richard Dawkins e altri, dichiaratamente neoateisti, come li definisce Amir Aczel, matematico, fisico e impareggiabile divulgatore, nel suo libro “Why Science Does Not Disprove God”.
Perché “neo”? Perché la negazione di Dio, che questa cosmologia intende dichiarare, non fa leva sui tradizionali attrezzi dell’agnosticismo: trappole delle prove ontologiche, dubbi razionali, ingenuità del letteralismo biblico: Insomma tutto l’armamentario che tanto piace al nostro professor Odifreddi.
La cosmologia neoateista ritiene di disporre, addirittura, delle prove scientifiche dell’inesistenza di Dio e di essere vicina al Graal di una Teoria del Tutto (Hawking).
E’ davvero così? Esistono davvero argomenti scientifici che abilitino la pretesa neoateista? Le sue asserzioni in larghissima parte non sono sottoponibili alla verifica della prova e dell’osservazione, Anzi.
Vedremo come la sua pretesa finisce addirittura, per gli argomenti che adduce, per apparire più metafisica delle ipotesi teologiche che intende combattere, per dirla con Alex Vilenkin, fisico russo e uno dei padri della cosmologia quantistica.
Gli ultimi tre secoli potrebbero essere descritti, in termini di modelli cosmologici, come la progressiva liberazione dal dominio della magia e del racconto mitologico, sulla nascita e il funzionamento del mondo, per approdare a una cosmologia compiutamente scientifica.
Un superficiale sunto della storia moderna della cosmologia, vista dal lato del rapporto con la religione, ci darebbe tre modelli prevalenti e in successione tra loro.
Con la fine della spiegazione tolemaica e con le scoperte di Keplero, Newton e Galilei, il primo modello, nel Sei-Settecento, è la meravigliosa architettura barocca dell’universo meccanismo, del cosmo orologio. Regolato dalla legge universale della gravitazione fantasmatica di Newton, il cosmo è un ordine complicato e meccanico in cui un Grande orologiaio interviene per aggiustarne i movimenti, lubrificarne i meccanismi e correggerne gli ingranaggi. La magia dei miti dell’origine e il rigido schema tolemaico si trasfigurano nel cosmo regolato e ordinato in cui la figura del Grande meccanico orologiaio tiene la giovane cosmologia copernicana saldamente ancorata alla presenza del divino.
Con il secondo modello, la cosmologia dei Lumi, l’Orologiaio esce di scena e dalla trama del cosmo. Il divino precipita al rango delle spiegazioni antinomiche, metafisiche e contraddittorie denunciate nelle due “Critiche” di Immanuel Kant.
L’interpretazione del filosofo di Königsberg dominerà fino a tutto l’Ottocento. E fisserà i paradigmi dominanti della cosmologia scientifica della modernità:
oggetti e forze si muovono, sulla tela dello spazio e del tempo assoluti, governati unicamente da leggi deterministiche e dal causalismo meccanico di Newton. Il cosmo è decifrabile esclusivamente con prove, esperimenti e osservazioni tradotte nel linguaggio matematico. Nato da una “nebulosa primordiale”, intuisce Kant anticipando la scoperta dell’origine del sistema solare (tutto l’universo conosciuto del suo tempo), il cosmo illuminista si è evoluto nella figura dell’immenso e del sublime. Perfettamente comprensibile, per Kant, solo con i mezzi della scienza. Il resto è speculazione. Solo ciò che si può osservare si può descrivere. Solo ciò che è percepibile dai sensi è oggetto di scienza e pronunciabile nel linguaggio della scienza.
Nessuno spazio per il divino, per ordini nascosti o finalità intenzionali: le domande ammissibili, continua Kant, sono quelle circoscritte alla descrizione di ciò che c’è nello spazio e nel tempo. E lì Dio non appare. Non è il suo territorio, afferma Kant. E’ pura antinomia e contraddizione, per Kant, cercare Dio nei fenomeni del cosmo. Dio è oltre.
Cercarlo negli eventi fisici è non sense. Dio non è mens insita omnibus come volevano Bruno e Spinoza. E non è dato dire, con i mezzi dell’indagine naturalista, se sia mens super omnia. Dal cosmo dei Lumi scompare lo spazio per ipotesi di atto creativo e di presenza del sacro. E’ lo scacco della teologia. Dio diventa oggetto opaco e precluso ai sensi: non si tocca, non si vede, non se ne avvertono profumi. E’ pura speculazione. Il suo territorio si restringe a quello della morale o delle scommesse di Pascal.

Le galassie Antenne riprese dal telescopio spaziale
americano Hubble (foto Nasa/Esa/Hubble Heritage Team)

L’ottimismo e l’autosufficienza della fisica dei Lumi motivano la straripante utopia del marchese di Laplace: “Se esistesse un intelletto umano superiore, scrive orgoglioso il marchese di Laplace, che riuscisse a calcolare, con le attuali conoscenze della meccanica e della fisica, i moti e le direzioni di ogni corpo e di ogni forza che agisce nell'universo, sarebbe possibile spiegare passato, presente e futuro di ogni cosa”.
Aufklärung: la prima versione nella storia di un’agognata Teoria del Tutto. La cosmologia si laicizza. Diventa agnostica. E’ la giustapposizione kantiana e il definitivo divorzio tra scienza e fede. Che segnerà una lunga pagina della modernità. La morale del tempo è plasticamente fissata nel famoso apologo del perplesso Bonaparte, che sfogliando la prima edizione della “Exposition du système du monde” (1796) di Pierre Simon marchese di Laplace, l’opera più importante sulla meccanica celeste dopo i “Principia Mathematica” di Newton, chiede all’autore: “Non capisco, cittadino, come mai non abbiate fatto cenno all’azione del Creatore”. E poi, per inciso: “Eppure essa spiega molte cose”.
Cui Laplace replica sorpreso: “Cittadino Primo Console, non ho avuto bisogno di questa ipotesi”. La storia ha immortalato la risposta di Laplace. Il paradosso sarà che il tempo (e più scienza) ridarà dignità all'inciso del Bonaparte.
L’universo meccanicista, increato, deterministico e agnostico di Kant e Laplace evolverà nel modello del cosmo illuminista: infinito e statico, senza storia, meccanico, immoto nell'eternità. Bastevole a se stesso produce da sé, continuamente, la materia di cui ha bisogno. Questo modello di universo resisterà fino agli anni Venti del XX secolo. Poi vacillerà.
 Il cosmo è veramente infinito, statico ed eterno? Sarebbe bastato prestare più attenzione a una strana ed enigmatica domanda che aveva turbato, fin dal Seicento, menti come quella di Keplero, di Halley e di altri. E che aveva la forma del quesito ingenuo di un bambino o del delirio di un innamorato:
“Perché di notte il cielo è buio?”. Heinrich Wilhelm Olbers, medico tedesco e astronomo amatoriale, riprovò a formularla un anno prima della morte di Laplace: “Se l’universo fosse davvero infinito, statico ed eterno e visto che la luce ha velocità finita, quella delle stelle, di tutte le stelle, dovrebbe aver avuto tutto il tempo di raggiungerci. E allora perché, di notte, c’è il buio?”. Provate a smontare la logica stringente di un tale assunto.
La spiegazione verrà un secolo dopo, negli anni Venti e Trenta del XX secolo, appunto.
Un arruffato, confusionario e scapestrato impiegato di Berna aveva, letteralmente, spazzato via il cosmo meccanicista di Newton e ciò che di esso era passato nella cosmologia dei Lumi e nelle idee dell’Ottocento. Mettendo a soqquadro paradigmi e certezze del racconto cosmologico da Newton a Kant a Laplace. E sfidando il senso comune e le convinzioni più intuitive, popolari e radicate. Tutto era sottosopra nelle incredibili ma inoppugnabili affermazioni della relatività: lo spazio come tela e scenario assoluti, il tempo che scorre uguale per tutti, le cause che precedono gli effetti, la simultaneità degli eventi ecc.
Eppure la prodigiosa mente di Einstein era inciampata in un problema imbarazzante. Causato da un residuo di conservatorismo culturale. E da un maldestro tentativo di soluzione. Il mondo fantastico ma più reale e aderente alla realtà della relatività, ristretta e generale, era stupendamente raccontato da Einstein in un gruppo di equazioni tormentate, eleganti, ricche di fattori “misteriosi”: spazi curvi, ruolo della luce, nuove versioni del fattore tempo, una geometria non euclidea, e una matematica non lineare. Una meraviglia, complessa ma elegante, che spiegava il cosmo assai meglio di quanto non facesse la scarnificata, povera e lineare matematica di Newton.
Eppure le equazioni contenevano un baco. Avevano un problema: si sbilanciavano, portavano a risultati impossibili. In quelle equazioni l’universo non stava fermo. Rischiava di implodere o collassare. Non era statico e stabile come i moderni, Einstein compreso, pensavano che fosse. Prevalse un atto conservatore, insieme ingenuo e maldestro, di Einstein: la sua “più grande stupidaggine” come lui stesso la definirà. Nel tentativo di arrestare quelle equazioni e quell'universo che non stava fermo, che tendeva al collasso o evaporava negli abissi della morte termica, Einstein ricorse a una trovata, una soluzione ad hoc delle equazioni: la “costante cosmologica”, la chiamò. Aggiunse un numero alle sue formule. Un semplice numero: inspiegato, ineffabile, venuto dal nulla ma con le quantità giuste per stabilizzare l’universo.
Inserito nelle equazioni della relatività generale esso consentiva ai risultati matematici di consegnarci, di nuovo, l’universo statico e senza tempo della credenza illuminista. Il grande innovatore pensò, così, di riconciliarsi col tempo e con la logica. Ma era solo un trucco. E neanche elegante. Infatti scomparirà.
Grazie a una scoperta, quella forse più importante degli ultimi trecento anni: l’universo si espande. Edwin Hubble, l’astronomo americano che lo scoprì, dette il colpo mortale a una convinzione plurisecolare: l’immobilità del cosmo.
A un tasso costante e persino matematico, ogni attimo le galassie si allontanano le une dalle altre. Tra loro si crea sempre nuovo spazio. Il cosmo non è statico. Inesorabile. Olbers aveva, finalmente, una spiegazione.
Non c’era paradosso: il cielo di notte è buio perché le galassie si allontanano. E la luce delle stelle non fa in tempo a raggiungerci.
Fu un prete cattolico, astrofisico belga, Georges Lemaître, a intuire la sconvolgente portata della scoperta di Hubble. Egli ragionò: “Se l’universo si espande, vuol dire che se riavvolgessimo mentalmente all’indietro, come una pellicola rivista dalla fine all'inizio, quello che Hubble ha osservato, l’espansione, dovremmo esperire una contrazione”. Elementare! E dove finisce, indietro nel tempo, la contrazione? Dov'è che l’espansione comincia? Le equazioni di Einstein, finalmente liberate dalla mostruosità del numero ad hoc, provavano che
il film riavvolto dell’espansione di Hubble si concludeva con la contrazione del cosmo in un “punto”: ineffabile, senza dimensioni. Una singolarità. Era l’inizio del tutto. Al sacerdote cattolico non sembrò vero: “C’è allora scientificamente l’inizio!”, addirittura testato da equazioni matematiche! L’universo non solo non è statico ma ha un’origine indietro nel tempo:
“Chi ha messo lì quel punto? Da dove salta fuori un punto, una singolarità, da cui inizia un cammino, al posto del niente?”,
chiedeva trionfante Lemaître. E poteva concludere: lì, nel punto, ci sono le “carte di Dio”!
Il punto, l’inizio, sarà sarcasticamente chiamato da Fred Hoyle, un geniale diffidente, Big Bang. Non era un bang: era un punto che, all’improvviso, iniziò a dilatarsi, dando vita a un’espansione.
Che continua ancora oggi. E, persino, accelera. Il cosmo di Einstein, Hubble e Lemaître, quello del Big Bang, raccontava che l’universo ha una storia. Non è sempre esistito.
E’ nato da un punto che conteneva un’infinita energia che, per qualche ragione ha preso a dilatarsi, a farsi materia e a dare vita ai costituenti dell’universo.
Ovvio che, da allora, una domanda inevitabile cominciasse a inquietare la cosmologia scientifica: quale ragione fisica spiega il Big Bang? A che si deve l’enigmatica dinamica dell’inizio e dell’espansione? Perché il punto, la singolarità, prese improvvisamente a crescere e dilatarsi? Non c’è spiegazione fisica (almeno fino a Krauss e Hawking). Solo ipotesi.
Per la scienza, però, è tornata in campo la domanda che Kant riteneva un’antinomia, metafisica e contraddittoria: “Com’è nato tutto?”, perché c’è qualcosa e non il nulla? La cosmologia scientifica del Big Bang ridà dignità a dilemmi che gli illuministi (e sant’Agostino) avrebbero definito “speculazione”: cos’è, realmente, il Big Bang? Cosa c’era prima del “punto”? Dove porterà l’espansione di Hubble? Con il processo a Galileo la teologia si era distaccata dalla modernità. Con Kant e l’illuminismo aveva, addirittura, divorziato dalla scienza.
Con la fisica del Big Bang, il terzo modello della cosmologia della modernità, domande che si pensavano teologiche, quelle sull'origine e sulla fine, tornano a far capolino nella discussione cosmologica. E proprio nel momento, per dirla con Pasteur, in cui “molta scienza” era entrata, in progressione esponenziale, nella spiegazione dei fenomeni fisici. Relatività e scienza quantistica realizzeranno nella seconda metà del Novecento due imprese impensabili: ricostruiranno, con esattezza scientifica stupefacente, la storia dell’universo, la ricostruzione esatta, fisica e chimica, del film dell’evoluzione cosmica (13,7 miliardi di anni) fino al Big Bang e ai suoi primi istanti di vita; scenderanno nelle abissali profondità dell’atomo per scoprire i costituenti ultimi della materia e, persino, con le stupefacenti macchine del Cern, ricostruendo in laboratorio le impensabili energie del Big Bang. Per guardare dentro e da vicino l’inizio di tutto.
Sorge insomma un paradosso imprevisto dall'ottimismo illuminista: più scienza e fisica entrano nelle spiegazioni dell’universo, più domande emergono, più cresce l’opacità, l’ineffabilità della materia, l’inquietante dissimulazione dell’origine. Quel punto, l’inizio, quella singolarità non si lascia decifrare. Non solo. Più penetriamo gli abissi della materia e le profondità del cosmo, più inciampiamo in misteri disarmanti: conosciamo, ancora approssimativamente, solo il 4 per cento della materia di cui è fatto l’universo; misuriamo la presenza certa di un’energia oscura ma nulla sappiamo di essa (e servirebbe saperlo per declinare ipotesi sul futuro del cosmo); non sappiamo ancora come è emersa effettivamente la vita, ecc. Molta fisica, insomma, ci è ancora velata. Sulle cose significative del Tutto possiamo solo fare ipotesi, congetture, illazioni. Su quelle famose “carte di Dio” sembra si debba dire quello che Churchill pensava della Russia comunista: un mistero che cela un enigma che nasconde un segreto.


La nebulosa Farfalla (foto Nasa/Esa/Hubble Sm4 Ero Team)

Alcuni anni fa, in un libretto stupefacente, “Dio e la scienza”, duettando con i fratelli Bogdanov, astrofisici e istrioni televisivi, un po’ geni e un po’ lestofanti, nipoti dell’omonimo autore otzovista, amico-nemico di Lenin, Jean Guitton, forse il più eminente filosofo cristiano del nostro tempo, metteva a nudo le due lacune che, a suo dire, invalidavano l’ottimismo illuminista e la sua pretesa di realizzare, attraverso l’impresa scientifica, il programma di Nietzsche: far morire Dio.
La prima lacuna è, appunto, il mistero dell’origine, l’inizio del Big Bang. Guitton lo chiama, elegantemente, “vertigine d’irrealtà”: come si è prodotto? Da quali processi fisici ed energetici? Cosa c’era prima del primo istante? E’ il tempo oscuro del Big Bang. Si vaga nel buio.
E’ curioso: grazie alla fisica relativista sappiamo quasi tutto dell’evoluzione dell’universo in 13,7 miliardi di anni. Ma dell’inizio vero sappiamo poco, anzi nulla. La scienza si ferma, sorprendentemente, solo ad un attimo (in senso letterale) dal Bang. Non è veramente riuscita a penetrare l’inizio.
E’ costretta a fermarsi un po’ di tempo prima. Quanto tempo prima? Un attimo. La cui lunghezza e durata ci sono note: 10-43 secondi dopo l’inizio. Un muro. Si chiama “tempo di Planck”. E’ considerato in fisica la più piccola durata di tempo concepibile: miliardesime di miliardesime di miliardesime volte più piccola di un secondo (c’è anche una misura di Planck che riguarda l’estensione:
 10-33  centimetri: la più piccola dimensione concepibile).
Quando si giunge, con la ricostruzione della storia fisica dell’universo a questa distanza dal Bang, tutto si annebbia: la fisica che utilizziamo smette di funzionare, la matematica salta, le equazioni vacillano, le conoscenze fisiche diventano inservibili. Entra in campo la fisica quantistica, che riguarda ogni cosa microscopica, più piccola dell’atomo, con le sue stranezze. Ma in un modo che fa a cazzotti con la fisica relativistica. Che poi sarebbe quella che ci ha consentito di arrivare così vicini al Bang.
A 10-43 secondi dopo il Bang si manifesta un divieto. Una sorta di “censura cosmica” evita alla scienza di proseguire oltre e penetrare il momento vero dell’inizio. E’ il mistero più grande del Big Bang: il tempo di Planck! Non è incredibile? Della storia cosmica di 13,7 miliardi di anni siamo riusciti a ricostruire quasi tutto tranne quel microscopico tempo di 10-43 secondi.
Cosa succede lì? Possiamo solo congetturare
La fisica ipotizza che lì funzioni un mondo diverso da quello che conosciamo: il tempo e lo spazio sono intrecciati tra loro e non sono distinti; le quattro forze che governano l’universo conosciuto (forte, debole, gravitazionale ed elettromagnetica) sono tutt'uno; le dimensioni non sono quattro (altezza, lunghezza, larghezza e tempo) ma infinite. L’universo del tempo di Planck è un vero guazzabuglio. Definito dai fisici una “schiuma” in cui tutto è confuso e indefinito, avvolge ancora la vera conoscenza del Big Bang.
Direte: ma si tratta di una frazione di tempo così minuscola! Com'è possibile che contenga eventi significativi? E invece.
Non dimenticate che, in quella frazione di tempo, gli eventi sono quantistici. Il tempo non è quello macroscopico che conosciamo. Non è ancora distinto dallo spazio, non scorre, non prosegue inesorabile come una freccia, non è lineare come lo misuriamo coi nostri orologi.
Al tempo di Planck, nella frazione 
di 10-43 secondi, attimo ed eternità non sono distinti, così come non lo sono passato, presente e futuro.
Quel tempo minuscolo, insomma, è anche immenso. Può essere davvero successo di tutto. E avendo a disposizione tutto il tempo per succedere. Speculazione? Non tanto. Il tempo di Planck è un problema fisico reale. Entra negli esperimenti quantistici. E’ una misura effettiva. Che funziona nelle prove quantistiche. E che inquieta i fisici: non si accorda con la relatività. Lasciando così la fisica monca. E irrita i cosmologi: eleva un muro di opacità, mistero e ignoranza sulla vera dinamica del Big Bang. E, soprattutto, lascia spazio a possibili, disturbanti ipotesi creazioniste.
Per Guitton, c’è una seconda lacuna della cosmologia scientifica. Lui la chiama il “miracolo matematico” o enigma delle coincidenze. L’universo esibisce una strana particolarità: le sue leggi appaiono perfettamente decifrabili e traducibili per noi. Ma solo grazie a un particolare: l’esistenza in natura di alcune costanti, numeri inspiegabili, adimensionali e immotivati che combinati tra loro ci rendono i costituenti della materia e le forze che li fanno stare insieme.
Insomma esistiamo grazie a quei numeri. Se anche uno di loro fosse solo leggermente diverso dal valore che ha… noi non ci saremmo. Ad esempio: se la “costante di struttura fine” (la misura dell’intensità delle interazioni elettromagnetiche) fosse solo leggermente diversa da 1/137 (un numero primo e senza decimali) la luce non interferirebbe con la materia e il mondo sarebbe opaco e informe; se la massa del protone non fosse esattamente 1.836,153 quella dell’elettrone o se le cariche dei quark (le particelle costitutive di protoni e neutroni) non fossero esattamente speculari e opposte a quelle degli elettroni, gli atomi non si formerebbero; se la costante gravitazionale di Newton non fosse esattamente pari a 6,67384 moltiplicata per 10-11, ogni corpo fuggirebbe nel cielo da ogni altro e non ci sarebbero stelle e pianeti. E così per altri parametri e costanti in natura.
Da dove vengono fuori numeri così coincidenti? Come può essersi verificato questo misterioso tuning? Può essere frutto del caso? Della lotteria di eventi prodotti solo dalla probabilità? Certo che no. La probabilità che una combinazione plurima vincente di tante costanti, sintonizzate tra loro, si sia realizzata per caso, nel “breve” tempo dell’evoluzione cosmica dal Big Bang, equivale a… zero.
Solo un numero infinito di lanci, in un tempo infinito, della pallina della roulette cosmica avrebbe consentito di realizzare combinazioni così precise di numeri. No. Il caso non spiega! Guitton ha argomenti solidi: o si ipotizza un “miracolo matematico” o non abbiamo spiegazioni. Dilemmi urticanti per la cosmologia ateista. 
Come ci si può atteggiare dinanzi a essi? In due modi: alla maniera di Einstein. Se il cosmo presenta ancora zone d’ombra, dilemmi e misteri, è lecito pensare che ciò avviene perché esistono variabili nascoste, ribatteva Einstein a Bohr e agli ortodossi delle “stranezze” quantistiche, e la scienza non è ancora arrivata a scoprirle.
Un ragionevole esempio di sobrietà scientifica. Hawking, Krauss, Greene e Dawkins hanno sposato la tesi opposta: la realtà non presenta variabili nascoste. Il microcosmo è, realmente, controintuitivo. L’evidenza quantistica non si raggiunge con lo sperimentalismo “classico”. Se è coerente con la “stranezza” intima degli assunti quantistici, una teoria può essere dichiarata vera. Opportunamente interpretata, la fisica dei quanti consente ipotesi accettabili per spiegare, insieme, il mistero dell’origine e quello delle coincidenze. La prova dell’inesistenza di Dio è, rassicurano i neoateisti, a portata di mano. Un irragionevole esempio di eccesso intellettuale. Che, forse, prima o poi, porterà a far fioccare premi Nobel secolarizzati.
Due sono le fascinose e stravaganti ipotesi che la cosmologia neoateista ha ideato per produrre la prova. La prima è la fluttuazione quantistica. Che dovrebbe spiegare l’inizio del Big Bang.
Secondo Lawrence Krauss (“L’universo dal nulla”) la fisica quantistica ha svelato il meccanismo per cui possono darsi fenomeni privi di causa: eventi che sorgono, letteralmente, dal nulla. Effettivamente c’è in fisica quantistica un fenomeno accertato: si chiama “pair production”. Afferma che in uno spazio vuoto può manifestarsi, senza causa apparente, una coppia di particelle, prima “virtuali” e poi “reali”, che sembrano emergere dal niente. Si chiama fluttuazione quantistica del vuoto.
Attenzione: del vuoto, non del nulla. Per la fisica nulla e vuoto non sono sinonimi. Il nulla è banalmente il niente. Il vuoto è, invece, un oggetto fisico reale. Non è il niente. E’ un qualcosa. In fisica quantistica il vuoto è, in realtà, un pieno: di campi di forze e di energia, potenziale e latente. E dunque invisibile. Attraverso la fluttuazione quantistica questa energia potenziale si trasforma, per via della formula  
E=mc2 e senza una causa osservabile o un evento scatenante, in energia cinetica di particelle reali.
Dal vuoto è nato qualcosa. Dal vuoto, appunto. Non dal nulla. Nella fase del tempo di Planck questo può essere successo: che dalle fluttuazioni di un vuoto ricchissimo di energia potenziale si sia prodotto qualcosa.
Quella di Krauss, scrive Amir Aczel, è una “meravigliosa bugia”, un trucco ingenuo per motivare la non necessità scientifica di ipotesi creazioniste: il mondo può essere emerso dal niente, dal nulla. E invece no.
L’energia non si crea dal nulla. All'attimo del Big Bang non poteva esserci il nulla. Preesisteva qualcosa: energia potenziale! Dal nulla non nascono fiori. Ma allora siamo al punto di partenza: chi ha messo lì quell'energia? Come si è prodotto quel potenziale? Krauss non ci fa fare passi avanti. Il dilemma dell’origine resta.
La seconda prova, immaginata dalla cosmologia neoateista, è la teoria del multiverso. Essa dovrebbe liquidare, ad avviso dei suoi sostenitori, il dilemma delle coincidenze. Se nel caso della teoria di Krauss, del qualcosa dal nulla, si trattava di una “meravigliosa bugia” qui impattiamo una vera bizzarria metafisica.
Anche in questo caso i cosmologi neoateisti distorcono, forzano e strumentalizzano un’effettiva, ma reale e verificata, stranezza quantistica: la teoria dei “molti cammini”, secondo la definizione di Richard Feynman, uno dei padri più geniali della fisica quantistica. L’esperimento più enigmatico della fisica quantistica, e quello più noto e praticato, è l’esperimento della doppia fenditura. Esso prova il carattere ambivalente della luce: insieme onda e particella. Lanciate un fotone di luce o una particella subatomica verso uno schermo con su incisa una doppia fenditura. Da dove passa la particella? Da quale fenditura? Il risultato dell’esperimento non lascia dubbi: il fotone o la particella mostrano, inequivocabilmente, di essere passati da entrambe le fenditure. Pazzesco. Come ha fatto la particella a scegliere?
Non ha scelto, afferma Feynman: ha semplicemente percorso istantaneamente tutti i cammini a essa consentiti: è passata da entrambe le fenditure e, anche, da nessuna di esse. Tutti i cammini possibili si sono sovrapposti, dice Feynman. Com’è stato possibile? Ipotesi: essendo un’onda, la particella (pensate a un’onda del mare) non è in un punto preciso, ma si distribuisce su uno spazio esteso. Esperisce, così, tutti i cammini che le sono consentiti, in quanto onda, dalle sue misure: lunghezza, frequenza, altezza. E’ così? Non si sa. Ma è una spiegazione. Che fanno i neoateisti?
Estrapolano questa ipotesi del mondo subatomico e delle sue enigmatiche stranezze e la applicano al mondo macroscopico. Traendone una conclusione bizzarra e metafisica: l’universo intero e tutti gli eventi che in esso avvengono si comportano come una singola particella di luce o di materia: messo davanti alla decisione di una scelta, l’equivalente macroscopico della doppia fenditura, non sceglie! Semplicemente: percorre tutti i cammini a disposizione. Come? Biforcandosi, moltiplicandosi, realizzando ogni possibilità a disposizione. A ogni istante le versioni dell’universo si moltiplicano. In un numero infinito.
Ci sono, secondo i teorici del multiverso, infinite versioni reali di ognuno di noi in universi lontani o vicinissimi (compattati in dimensioni sconosciute) che non si toccano. Infinite versioni di noi, reali e coscienti. Pensateci: fosse vero avremmo realizzato la vita eterna.
Ovviamente non abbiamo indizi o segnali di esistenza di tali universi. Essi non sono osservabili in alcun modo. C’è solo da credere.
Che significa il multiverso per il dilemma delle coincidenze? Semplice. Non c’è più dilemma. Esse non sono dovute al caso e, tanto meno, a un miracolo. Noi osserviamo solo le costanti, i numeri, le combinazioni che, nell'infinita produzione del multiverso, si sono realizzate qui consentendoci di esistere. Ma ogni altra versione dei numeri si è realizzata da altre parti. Non c’è tuning e non c’è il caso.
Decisamente un’ipotesi “dispendiosa”, la definisce Samir Aczel. E decisamente più metafisica dell’ipotesi creazionista.

[Tratto da Il Foglio del 29/6/2015]

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