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domenica 2 aprile 2017

Il Bramito dei Cervi

Risultati immagini per cervi che lottano


Nei boschi del nord stava per arrivare l'autunno con i suoi meravigliosi colori.
La vita si preparava al ciclo stagionale e metteva le basi per il risveglio primaverile. 
Nell'aria si sentivano i canti degli uccelli che si preparavano a migrare, il vento frusciava fra le foglie e si mischiava al mormorio cristallino delle acque dei ruscelli e forte risuonava per le valli il bramito dei cervi che combattevano per avere il privilegio di creare nuova vita. 
Un pellegrino solitario attraversava quei luoghi. 
Si fermò al limitare di una radura,  si appoggiò al bastone per osservare due cervi che combattevano per la supremazia sul branco e, guardando un gruppo di cerve che brucavano lì vicino con fare quasi indifferente, si ricordò del suo passato di pastore.
I cervi lottavano ormai da tanto tempo e nessuno dei due sembrava prevalere. 
Videro l'uomo. Si fermarono, poi lentamente gli si avvicinarono per far decidere a lui chi fosse il più forte. 
Il pellegrino li osservò con calma e si ricordò degli arieti del suo gregge che lottavano per la supremazia.
Prese un po' di tempo per riflettere e dopo disse:
"E' giusto che chi comanda un gruppo sia il più forte ma non basta, oltre alla forza bisogna avere altre qualità.
Dovete dimostrare di essere anche il più intelligente perché dovrete guidare il gruppo sul giusto sentiero ma, ancor di più dovrete essere anche il più saggio perché dovrete fare il bene di tutto il gruppo e non solo affermare la propria forza e la propria intelligenza.
Dovete conoscere la vita e i suoi misteri per far si che sia essa che si affermi e non solo il proprio potere."
Detto ciò, sorrise, accarezzò i due cervi e riprese il suo cammino. 

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lunedì 11 febbraio 2013

L'Arte della Spada: la scelta del successore (New)

Vi preghiamo di leggere con attenzione e di fermarVi 
a riflettere quando Vi verrà richiesto.
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Prima Parte
Ouverture
Un grande maestro di spada giapponese del XVI secolo, che non aveva mai conosciuto sconfitta, era giunto al crepuscolo della sua vita e, dopo aver molto riflettuto, aveva deciso di ritirarsi e di nominare un successore. La tradizione voleva che scegliesse uno dei suoi tre figli che studiavano con lui fin dall’infanzia.
Egli, nella sua lunga vita, aveva praticato vari stili finché non era giunto a elaborarne uno proprio che aveva chiamato: “l’arte di vincere senza combattere” o “l’arte di combattere senza armi”.
Molti erano venuti a sfidarlo. Uno dei suoi sistemi preferiti per scoraggiare i provocatori era di portarli nel suo giardino e, davanti ai loro occhi, con un sol colpo di spada, recideva di netto un ramo di ciliegio in fiore di cui faceva poi loro dono. Di solito questo espediente bastava a scoraggiare il candidato che, constatando che neanche uno dei petali era caduto dal ramo, capiva di non avere la minima chance: tale impresa presupponeva infatti una precisione e una velocità senza uguali.
Il maestro per scegliere con obiettività e imparzialità il successore pensò di sottoporre i figli ad una prova che avrebbe avuto anche il vantaggio di evitare gelosie tra i fratelli.
Il maestro invitò un caro confratello, grande maestro di spada anch’egli, per chiedere consiglio. Pensarono a quale prova sottoporli, valutando vantaggi e svantaggi e che fosse anche d’insegnamento visto l’incarico importante che doveva assumere il prescelto.
Alla fine sorridendo optarono per un marchingegno ispirato dagli utensili del tè.
Così organizzarono la prova.
I tre fratelli furono pregati di aspettare in giardino finché non fossero stati chiamati uno per volta.
Il maestro chiamò per primo il figlio maggiore.
Questi salì di corsa i gradini e stava per aprire la porta per entrare, quando si fermò di colpo: aveva avvertito qualcosa di strano, sentiva nell’aria una minaccia! A forza di pratica aveva sviluppato un sesto senso. Alzò la testa e attraverso la carta di riso della porta vide l’ombra di una ciotola sospesa sulla porta. Abbozzò un sorriso, introdusse il manico del suo ventaglio tra la porta e lo stipite e poi, pian piano, aprì la porta senza fare cadere la ciotola. Alla fine l’afferrò ed entro fiero nella stanza tenendola fra le mani.
Il padre sorrise e tentennò la testa, come fece pure l’altro maestro, quindi invitò il primo figlio a chiudere la porta e a rimettere la ciotola al posto di prima.
Chiamò, quindi, il secondo figlio. Questi, che era rimasto con l'altro in giardino e non aveva visto niente,  si precipitò di corsa e aprì di slancio la porta, ma, con riflesso fulmineo, schivò la ciotola e la presa al volo. Anche lui entrò nella stanza tenendo il recipiente tra le mani, orgoglioso della sua prodezza.
Richiusa nuovamente la porta e rimessa a posto la ciotola, fu la volta di chiamare il terzo figlio. Anch'egli arrivò con foga, aprì la porta e rimase stupefatto nel sentirsi arrivare una ciotola sulla testa. Ma, prima che questa, dopo averlo colpito sul cranio, rimbalzasse per terra, sguainò velocemente la sua spada e la tranciò di netto. Ringuainò tutto soddisfatto la spada e anche lui si mise vicino ai suoi fratelli.
Allora il maestro si rivolse al suo confratello e gli chiese:
- "Quale dei miei figli, secondo te, è il più degno di succedermi?"
- "Sono tutti è tre dei formidabili artisti della spada - rispose il saggio amico - ma colui che è più degno di succederti è..."
FermateVi adesso un attimo, Vi prego,
a riflettere e provate a rispondere Voi.
Chi venne scelto per la successione e perché?

Seconda Parte La Risposta
Allora il maestro si rivolse al suo confratello e gli chiese:
"Quale dei miei figli, secondo te, è quindi più degno di succedermi?"
Il saggio amico, dopo aver chiuso gli occhi ed essere rimasto in silenzio per alcuni secondi, rispose:
"Il tuo terzo figlio, nonostante la sua prova mirabolante, non è adatto. Quando ha sguainato la spada era ormai troppo tardi: in un vero combattimento sarebbe stato già ucciso. Non è stata forse la ciotola a colpirlo per prima? E, soprattutto, perché spaccare quel prezioso utensile? Se la doveva prendere, piuttosto, con se stesso."
"Il secondo figlio ha ancora molta strada da fare: ha reagito bene, però si è lasciato sorprendere. Non ha saputo prevedere, il che denota una mancanza di maturità: un maestro deve avere lo spirito sempre all'erta."
"Il primo figlio ha dimostrato di essere già un maestro. E' il degno successore della vostra scuola, poiché non ha avuto bisogno di combattere per vincere. Non è forse “l’arte di vincere senza combattere” o “l’arte di combattere senza armi” il nome che avete dato al vostro stile? Questo il senso ammirevole e sorprendente della vostra arte della spada."
Il vecchio maestro sorrise, si alzò e, con il suo stile inconfondibile, sguainò la spada, tranciò di netto un ramo di ciliegio in fiore, senza far cadere neanche un petalo e, prima che cadesse per terra, lo prese al volo e, con un lieve inchino, lo donò al suo caro confratello.
La vera battaglia,
il vero combattimento,
la vera vittoria
è con noi stessi.
*
Se non avete indovinato non prendetevela.
Provate piuttosto a capire come affrontate voi le situazioni.

Se invece ci avete azzeccato non inorgoglitevi troppo.

Ma cercate di chiarirVi come avete operato per indovinare.
Se non avete risposto spero che almeno ci abbiate riflettuto un po'.
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Ma la storia, inaspettatamente, ha degli sviluppi
(non previsti nel racconto di Pascal Fauliot)
stimolati dai commenti dei lettori del blog.
Terza Parte
La Decisione
Ma il Maestro, dopo aver avuto il parere del confratello, cosa decise?
Si, perché, non è detto che la risposta del confratello sia poi stata la decisione del Maestro. 
Il racconto lo da per scontato, ma potrebbe non essere così.
Infatti la decisione potrebbe sia seguire il parere del confratello oppure essere diversa, oppure…
Ancora un altro quesito?!
Se non vi annoiate a rispondere agli indovinelli e ad attivare le vostre capacità ragionative e intuitive vi invito a dare un’altra domanda:
Cosa decise il Maestro?
Affidò ai figli la successione della scuola di spada? A chi affidò la successione?
Bene! Buona riflessione, meditazione, intuizione, buon allena-mente
e, se volete, lasciate la vostra  ipotesi nei commenti.
Qui sotto, finalmente, la soluzione definitiva!
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Quarta Parte
Finale
Il Maestro allora, salutò il confratello e i suoi tre figli  e si ritirò nel bosco a meditare.  Dopo un periodo che per i figli pare sia stato interminabile, ritornò e li chiamò a sé e li invitò a sedersi e a prendere una tazza di tè.
Rimase in silenzio e concentrato mentre si occupava della cerimonia.
I fratelli osservavano con ammirazione la calma e l'eleganza operativa del vecchio genitore ma in cuor loro si agitavano vari pensieri.
- Chi avrà scelto?
- Sarò io? 
- E, se non sarò io, cosa farò?
Il genitore-maestro, come leggendo nelle loro menti, porse una tazza di tè a ognuno,  ne prese una per sé, si sedette e dopo un profondo respiro disse:
"Cari figli e cari allievi. Voglio aprirvi il mio cuore. Il mio caro confratello ha analizzato il vostro comportamento e ha espresso il suo giudizio. Ma io, dentro di me, sentivo che mancava qualcosa…
Io, è vero, devo trovare il degno successore alla scuola, ma voi tre, oltre che miei allievi, siete anche i miei figli e io non voglio creare occasione di discordia tra di voi.
È vero, il primo è il più adatto a succedermi, ma ognuno di voi ha delle qualità che possono essere utili alla conduzione della Scuola.
Quindi ho deciso così:
Lascio la Scuola a tutti e tre insieme.
Voi dirigerete la Scuola insieme. Prenderete le decisioni all’unanimità. Valuterete insieme cosa sarà meglio per la Scuola. Ma avrete funzioni diverse. Il Terzo istruirà i principianti e dirigerà le cose pratiche della Scuola. Il Secondo allenerà coloro che stanno nella fase intermedia e dirigerà l’accoglienza e  le relazioni. Il Primo guiderà coloro che stanno in una fase avanzata e dirigerà i progetti della Scuola indicando gli obiettivi. Ogni ciclo di tre anni le funzioni saranno scambiate a turno tra di voi.
Adesso finite il vostro tè.
I ragazzi, ormai uomini, si guardarono tra di loro e sorrisero. 
Si sentivano in pace con se stessi e con il vecchio padre.
Il Maestro si alzò, salutò i figli - allievi ormai maestri - e si allontanò verso il bosco.
I figli abbracciandosi si dissero che il loro padre-maestro aveva fatto di tutto per lasciare la situazione nel modo migliore.
Fra di loro non ci sarebbe così stata occasioni di gelosie o di rivalità. Tutti potevano collaborare insieme esprimendo e sviluppando le proprie qualità e imparando l’uno dall’altro.
Si dice che questa Scuola esista tuttora in Giappone e che abbia influito, nel tempo, sulla comprensione e realizzazione dei gruppi di lavoro che ancora oggi sono di esempio nel mondo.
E che in alcune nuove Comunità ci si ispiri ai principi di collaborazione, cooperazione, di riconoscimento e sviluppo delle propri più alte qualità e di ricoprire più delle funzioni utili al gruppo e coordinate e armonizzate tra di loro.
Crediamo che questi sono i principi che porteranno l’umanità verso la prossima evoluzione.
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Liberamente tratto, in parte, da:
“Il maestro Bokuden e i suoi tre figli”, Racconti dei saggi del Giappone, Pascal Fauliot, L’Ippocampo, Milano 2009
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Per i Commenti vedi:
- L'Arte della Spada: 1 Ouverture (dell' 1 giugno 2010)















































domenica 3 febbraio 2013

Le famiglie di anime si posizionano (Le Passeur) (09)

D'accordo con Urantia-Gaia pubblichiamo...

Le famiglie di anime si posizionano

Dal Traghettatore (Le Passeur).
Per molti di coloro che si sono risvegliati in questi ultimi anni o in questi ultimi mesi e che hanno affrontato un sincero lavoro di guarigione dal proprio ego, due delle leggi naturali di armonia, la sincronicità e l’abbondanza, si applicano con un’accelerazione constante che ha fatto un salto in avanti queste ultime settimane. Quelli avranno notato fino a che punto i desideri formulati in sé trovano una risposta sempre più rapida e a che punto le sincronicità si moltiplicano, specialmente per quanto riguarda gli incontri  fatti  e le informazioni che li raggiungono. Le famiglie di anime si completano ogni giorno un po’ di più, nella semplicità di ritrovi gioiosi, senza bisogno di fare molto ne di organizzare delle comunità. I tempi sono cambiati,  ciò che importa, è che la connessione inizi di nuovo sul piano terrestre tra le anime, che il legame fisico nell’incarnazione sia stato ristabilito.
E’ una vera rete energetica che si crea tra gli esseri, ognuno di loro ha il proprio posto geografico da qualche parte. Questa “rilegatura” è importante. Abbiate spesso nel cuore e nei vostri pensieri coloro che rivedete come sempre conosciuti, poiché sono loro che avete incrociato dopo tante vite. Questo mantiene in coscienza una rete sui piani sottili, che ha la sua importanza nello scenario in gioco.
E’ importante essere molto attenti ai segni che ci circondano e contribuiscono a informarci personalmente. I diversi piani si avvicinano, ciò significa che le dimensioni stanno per compenetrarsi sempre di più, ciò crea intorno a noi delle aperture discrete la maggior parte del tempo, sono tanti accessi ai livelli di informazioni inusuali. Questa discrezione implica un’attenzione particolare, ma chiunque è attento non può ignorare queste aperture, anche se si avverano  talvolta molto fugacemente. Ma mano che passeranno i mesi, c’è da scommettere che l’accesso a questi piani si stabilizzerà e sarà molto più evidente per un numero maggiore di persone. Queste aperture sono l’espressione della multidimensionalità di cui abbiamo spesso parlato e verrà un momento in cui realizzeremo con stupore con quali parti (al plurale) giochiamo, in parallelo su alcuni di questi piani.
E’ ovviamente una percezione che turberà profondamente quelli che non hanno la minima idea di ciò che significa e non sono familiarizzati neppure soltanto con l’idea dell’esistenza di questi altri livelli di realtà. L’esperienza potrà essere traumatizzante per loro e provocare un numero alto di “menti che vanno in tilt”. Rassicurare sarà la parola d’ordine e l’esempio di qualcuno di sereno, in questa nuova percezione della realtà, sarà un balsamo per gli esseri disorientati.
Queste aperture danno un colore che prefigura la natura del mondo diversificato, che sarà il nostro molto presto. Vivere al di fuori dalla quarantena che ci fu imposta significa non solo frequentare di nuovo collettivamente – e non solo in modo eccezionale – degli esseri e dei piani che non solo si armonizzeranno tra di loro, ma bisogna che l’uomo riprendi il pieno senso delle sue responsabilità di essere vivente che emette ininterrottamente delle energie, tra l’altro sotto forme di pensieri ed emozioni, che hanno un impatto su tutte le altre forme di vita e su ogni piano che ci sono legati su diversi livelli. E’  l’incoscienza di tutto ciò che ha reso necessaria finora la messa in quarantena del nostro mondo.
Dall’incoscienza del giovane cane pazzo che rovescia tutto ciò che incontra sul suo passaggio, stiamo per passare alla coscienza vasta del nostro ambiente grazie a una percezione aumentata di quest’ultimo e alla conoscenza delle leggi fondamentali che dirigono la vita nell’universo. Molto semplicemente ci  sottometteremo poiché sapremo  profondamente che sono giuste e piene di amore. Sarà l’inizio di una saggezza che ci è mancata a lungo.
Nel frattempo, l’onda che sta arrivando deve liberare un mondo per permette che ne nasca uno nuovo, non può essere diversamente. Come l’ho detto in un precedente articolo, niente si costruirà sulle ceneri del vecchio mondo. Nelle strutture, ciò che sarà stato cancellato lo sarà perché non sarà in grado di adattarsi a ciò che viene, ciò che non sarà cancellato avrà la capacità di adattarsi e di evolvere. Lo stesso, per gli esseri umani, quelli la cui vibrazione non può adattarsi, partiranno. Per essere chiaro, queste partenze corrispondono al desiderio delle anime di reincarnarsi in condizioni pressappoco simili a quelle della terra, che avranno lasciato per completare la propria esperienza, certe in mondi di dualità, altre nei mondi unificati ma con vibrazioni più basse di quelle della nuova terra. In ogni modo, presto o tardi, ognuno evolve risalendo verso la fonte come il salmone nel torrente. E’ il grande mistero della vita, possa rimanere tale.
Non pensate che su sette miliardi di esseri umani, non ce ne siano che abbiano fatto altre scelte delle vostre. E’ logico e non aiuterà nessuno aggiungere del pathos alla situazione, quando arriverà il momento di constatare delle onde di partenze importanti. Una volta che le scelte sono state fate al livello dell’anima dei destini da seguire durante la transizione, sono stati decisi da ognuno secondo ciò che c’è di meglio per la propria evoluzione personale. E’ ciò che non bisogna perdere di vista. Se ci sono lacrime, che siano illuminate dalla coscienza di tutto ciò e dalla certezza che quelli che hanno delle affinità, si rivedranno molto presto, in un’altra maniera e con un altro livello di coscienza.
Per quanto riguarda Gaia non sarà mai più ciò che è stata durante questa lunga età delle tenebre vissuta al nostro fianco, la cosmogonia indiana la nomina il “Kali Yuga”. L’avvento di un’età d’oro è un evento considerevole di cui non ci è tuttora possibile capire la giusta misura. Tutt’al più, negli istanti di percezione privilegiata, c’è in fondo al nostro cuore il profumo discreto di una vecchia memoria che ci ricorda in un modo sottile cose già vissute durante questi tempi di felicità. Questo lontano profumo ha tuttavia il potere di placare in un modo potente i nostri cuori. Immaginate un po’ ciò che sarà la piena coscienza ritrovata in quest’Eldorado.
I tempi a venire saranno fonte di elettroshock nell’umanità incosciente, soprattutto non versate nell’idea diffusa dalle religioni di un qualsiasi castigo. Ciò che sopraggiungerà sarà il frutto della legge della risonanza e nient’altro. All’ora del punto zero degli orologi, le energie emesse dall’insieme dell’umanità tornano come un boomerang. In mezzo al collettivo, ciò che ognuno è oggi determinerà la forza e la qualità di energia che riceverà. Come è stato detto e ridetto più volte, ognuno andrà dove lo porta la propria vibrazione e tutto sarà giusto così. Questi shock non genereranno soltanto paura, avranno innanzitutto la capacità di innescare una presa di coscienza. Ed è ciò che sarà per molti indecisi. Bellissime cose si profilano all’orizzonte di questo breve periodo in cui tutto vacillerà. Aprite le braccia con leggerezza e trovate il vostro equilibrio naturale senza timore di cadere. Sapete ciò che va via, sapete ciò che arriva e sapete che ne fate parte dall’inizio alla fine.
Fraternamente,
© Il Traghettatore – 07.09.2011 – Tradotto da Stéphanie - Versione originale francese
http://www.urantia-gaia.info > La riproduzione di quest’articolo è autorizzata a condizione di non associarlo a fini commerciali, di rispettare l’integralità del testo e di citare la fonte.

venerdì 4 gennaio 2013

In gruppo, da soli…

Spesso in gruppo
si dicono e si fanno cose
che da soli
non si direbbero e non si farebbero mai.

Spesso da soli
si dicono e si fanno cose
che in gruppo
non si direbbero e non si farebbero mai.


mercoledì 11 aprile 2012

Perché un'associazione spirituale viva (di Massimo Scaligero)

 

Quasi mezzo secolo fa, nel 1963, veniva data alle stampe una delle opere più intense e luminose di Massimo Scaligero: Dell’Amore Immortale.
Nata da una profonda esperienza personale e interiore, l’opera è dedicata all’Amore spirituale e a tutti coloro che consapevolmente o inconsciamente vi anelano, e contiene due appendici di enorme importanza per comprendere il significato e la grandezza dell’opera del Maestro:
- La fonte di questo insegnamento e
- Perché un’associazione spirituale viva.
Se nella prima vengono indicati ai discepoli i rischi dell’intellettualismo e della ‘sistemazione dialettica’ della Via spirituale - che non è sapere, anche se passa attraverso la mediazione del sapere, ma è movimento interiore dell’anima umana individuale che si desta - nella seconda, riportata integralmente qui di seguito, viene messo in guardia chiunque voglia intraprendere la via dell’indagine spirituale insieme ad altri ricercatori, sui pericoli e gli inganni in agguato in ogni forma di associazionismo spirituale o presunto tale.
Un testo nato da intime e dolorose esperienze personali, ancor oggi attualissimo. Un prezioso decalogo per chi riconosca che un lavoro comune fondato sulla fedeltà allo Spirito e sulla fraternità verso i propri compagni di percorso, non può che essere “l’esperimento di una relazione umana tra esseri che già unisca una sintonia secondo il superumano”.

Prefazione di Piero Cammerinesi

PERCHÉ UN’ASSOCIAZIONE SPIRITUALE VIVA
da Dell’Amore Immortale
di Massimo Scaligero

Perché un’associazione scientifico-spirituale viva, le occorre ogni giorno la materia prima che ne giustifichi l’esistenza: lo spirito. Quando questo venga meno, l’associazione può sussistere solo in quanto qualcosa che non è lo spirito ne prende il posto, tuttavia continuando a operare come fosse lo spirito. Anzi, allora appunto opera con la sicurezza propria a tutto ciò che si fonda sulla propria esteriore organizzazione
L’associazione è l’esperimento di una relazione umana tra esseri che già unisca una sintonia secondo il superumano. Poiché l’associazione consegue al riconoscimento concorde di un’ascesi, proprio per questo non può essere il presupposto dell’attività ascetica.
L’organizzazione non può prevalere sull’idea. Il modo di organizzarsi non deve condizionare il lavoro spirituale, non deve essere ciò che suscita le coesioni o i contrasti spirituali. Il modo di organizzarsi fa parte dell’attività spirituale, nella misura in cui si attui come ricerca della forma esteriore, e non come ciò che possa indicare o determinare i valori. Compito difficile, richiedendo la presenza del conoscere di cui ci si ritiene portatori per il fatto dell’associarsi: onde ininterrottamente la modalità esteriore venga distinta dal contenuto interiore.
Le coesioni e i contrasti, infatti, dandosi come moti dell’anima, non possono che riferirsi ai temi della conoscenza e alle forme dell’ascesi: non dovrebbero mai impegnare lo spirito e condurlo a tensioni inferiori. Ma se questo avvenga, avviene per essere conosciuto, e conosciuto per essere superato, per virtù di slanci più profondi, che sono momenti ulteriori dell’ascesi che si persegue.

La modalità organizzativa in quanto tale esige soltanto soluzioni logiche, in ordine a intese che siano forme della basale intesa interiore. Se la modalità organizzativa suscita contrasti, non va commesso l’errore di credere che il motivo sia appunto il modo dell’organizzarsi, ma occorre avvertire che nell’ordine spirituale qualcosa non va, e soltanto il riveduto rapporto con esso può illuminare il senso delle divergenze. Le quali dovrebbero essere contemplate come segno dell’ulteriore lavoro spirituale, non come ciò che deve divenire valore spirituale: non come ciò che deve determinare movimento ulteriore dell’associazione.
Ma è chiaro che un simile rapportare il fatto al pensiero intuitivo - che è l’insegnamento della Filosofia della Libertà - può essere il compito di orientatori secondo lo spirito. E non sempre gli organizzatori, i propagatori e i dialettici sono coloro in cui lo spirito esprime il suo potere di orientamento.
Si tratta del fatto associativo più difficile, perché non può avere basi nel mondo che esiste, ma in quello che verrà, ossia fuori del mondo che già esiste. Basi che vanno ogni giorno ricreate, essendo puramente interiori; mentre le associazioni ordinarie sono possibili su basi che sono il passato dell’umanità, la società quale già è, il mondo già fatto, la necessità esistenziale, la natura.

Un’associazione spirituale è un organismo invisibile che si proietta sul piano visibile come forza risolutrice dei contrasti propri alla relazione egoica: contrasti che sono previsti, anzi necessari come materia dell’opera unificatrice, e come sostanza dinamica dell’azione associativa.
Ma avviene sempre che la relazione egoica prevalga, e imiti lo spirituale, per sussistere in quanto stato di fatto egoico in veste spirituale: che è l’unificazione astratta, organizzativa o accademica, propria alle associazioni profane. Ciò si verifica per l’affievolimento delle coscienze, in quanto l’insegnamento originario venga via via trasformato in formule, in regole, in sentenze, in nozioni particolari, di cui si fanno propinatrici persone che furono vicine al “maestro” e che assumono la funzione di maestri riguardo ai nuovi venuti, trasmettendo qualcosa che vorrebbe valere come un insegnamento più riservato e più efficace di cui si presumono depositari: con ciò distraendo il discepolo dal contatto con il vero insegnamento: che può vivere soltanto in quanto divenga esperienza, e come tale produca la continuità inestinguibile.
Ciò che può essere insegnato deve produrre tale continuità: non può essere accademica filiazione, bensì il fiorire di un ramo dell’albero sempre verde.
L’insegnamento originario non patisce organizzazione scolastica o accademica, che non sia mediazione di continuo riconosciuta, e perciò o superata o estinta: di continuo ricreata dall’intimo come un ideare inesauribile. Onde l’organizzazione abbia l’esistenza unicamente giustificata dalla presenza di ciò che deve essere organizzato.

Allorché l’organizzazione presume impersonare l’idea, per cui la sistemazione e la formulazione esteriore tendono a valere nella loro astratta determinazione come il segno tangibile dell’idea, questa è stata smarrita, e un altro contenuto opera al suo luogo. Si agisce riguardo alla dottrina originaria secondo il “realismo” proprio al sapere attuale, a cui sono sufficienti la sistemazione logica e l’astratto apprendimento perché le sue verità siano trasmesse, essendo “cose”, non idee viventi.

L’associazione spirituale si inizia per lo spirito e, a un dato momento, prevalendo in essa gli organizzatori, diviene inavvertitamente condizione allo spirito. O si è in essa o non si è nello spirito, come se lo spirito fosse luogo, accademia, situazione esteriore. È l’ideale di coloro che identificano lo spirito con un fare spirituale, come se vi fosse un fare che potesse essere vero fuori dallo spirito.

In un organismo spirituale, l’idea in quanto vivente, ossia in quanto forza formatrice, giustifica la forma: altrimenti la forma è già alterazione dello spirituale, proprio perché forma ortodossa, fedele ai dettami custoditi come principi, come tradizione; in cui non la libertà determina il lavoro associativo, ma la legge, che dovrebbe riguardare solo il modo associativo. La legge, che ha sempre la facies della moralità, non la moralità.
Il mondo esteriore ha bisogno di leggi, regole, istituzioni: sono quelle leggi che, invecchiando mentre l’uomo cammina, costituiscono la forza dei “farisei” di ogni tempo, e il motivo della lotta ideale dei pochi che in ogni epoca tendono a rinnovarle, pur obbedendo ad esse.

Diversa è la situazione di un’associazione spirituale, dato che la sua regola è per un incontro umano che rifletta l’incontro interiore: non contempla la mera convivenza esteriore.
Essa è un evento sovrasensibile a cui si intende dare supporto umano. Vi confluiscono due forze: uno “spontaneo” impulso a incontrarsi, e la determinazione cosciente nello sperimentare lungo il tempo l’incontro. A questa esperienza si tenta dare organizzazione esteriore: giusta, necessaria in quanto sia sempre il convergere delle due forze accennate.

A differenza che nell’associazione ordinaria, nella quale il principio o la regola dell’associarsi vengono dedotti dal fatto associativo, nell’associazione spirituale questo è la conseguenza di un lavoro interiore e, riguardo a ciò che presenta di contingente e di umano, diviene materia di un cosciente sperimentare. In tal senso esso può essere regolato da uno statuto di volta in volta rinnovabile, e le cui idee sono il segno della relazione morale conseguita. È tuttavia un regolamento che riguarda unicamente le modalità dell’associarsi, fuori della pretesa che esso valga a determinare il significato o il valore del lavoro spirituale.

La società essendo anzitutto una “fratellanza invisibile”, non è detto che la società visibile la incarni veramente, essendo questa una meta, non un punto di partenza. Non dovrebbe commettersi l’errore di credere che la società sia vera solo per il fatto che esiste: il suo esistere è appunto il limite che l’idea, in quanto viva presenza, risolve. Altrimenti si cade nell’astrattezza della moderna sociologia, per la quale il dato di fatto è il principio dell’indagine, ignorando l’attività interiore che pone il dato di fatto, e consente l’indagine: onde la realtà sociale è ridotta al suo più pedestre livello, ossia a meno di ciò che essa stessa è come esperienza sensibile.
Non dovrebbe essere commesso l’errore di credere vera la società esistente, vera potendo essere soltanto quella che si fa e dovrà farsi. Non può essere vera quella la cui organicità sia reale in quanto conforme allo statuto, per cui chi è in ordine con lo statuto è in ordine anche spiritualmente.

Un’associazione spirituale non può che essere accordo di anime secondo l’esigenza della libertà attuata come momento vivente del pensiero. Ma anche in tal caso l’accordo non è qualcosa di già fatto, bensì da farsi. L’aspirazione alla libertà è un evento che va attuandosi: non è un fatto, o una cosa che si abbia una volta per tutte: è la creazione sempre nuova, perché ogni volta rivelante il suo segreto.
Principio per la cui inosservanza anche i migliori si perdono, anche i migliori divengono meccanizzatori dello spirituale.

L’associarsi è un tendere a coltivare lo spirito di comunità, in quanto si sia individui singolarmente operanti per lo spirito. La cooperazione individuale è la vita dell’associazione: così la fraternità coltivata nell’esperienza della comunità diventa potenza dell’individualità, perché è la prova obiettiva dell’egoismo. L’essere insieme con gli altri e dimenticare se stessi, attuando ciò non per diminuzione di coscienza di sé bensì per suo ampliamento, è la più alta educazione dell’“io”: dato che ordinariamente l’essere insieme di gruppi o crocchi o associazioni, è sempre inevitabilmente per il denominatore comune inferiore. Sempre ciò che v’è di più basso li unisce.

Il pericolo è perciò l’inversione del reale processo unitivo, ossia il ricadere nell’“anima di gruppo”: quella che caratterizza le associazioni profane e i partiti: nei quali occorre la rinuncia alla libertà interiore perché si dia la partecipazione degli individui, e in tal senso il loro accordo. (I partiti e le associazioni profane, su un piano di ingenuo realismo o di esteriore primitivismo, sia pure intellettualmente brillanti, preparano oscuramente un impulso alla comunità, mediante la cooperazione di esseri non ancora realmente pronti all’esperienza cosciente dell’individualità e della libertà: impulso la cui interna positività può essere assunta concretamente dallo “Spirito del tempo” ( “l’Antico dei giorni” della Bhagavad Gitâ - ove questo possa operare attraverso i preparatori delle vere comunità).
Onde seria è la responsabilità dell’associazione spirituale che venga meno all’impegno per cui è sorta, in quanto non fornisce al mondo che si va organizzando in gruppi, in associazioni, in comunità, il modello che gli urge: anzi, ne imiti inconsapevolmente l’interno modo di associarsi: politico, diplomatico, fatto di abili combinazioni di coesioni e di consensi.

Il movimento esoterico deve essere la condizione del movimento associativo. Quando coloro che presumono dirigerlo non sono qualificati ad attuare un simile rapporto, è inevitabile che il contrasto interno si verifichi nella forma di contrasto umano.
La ragione per cui un’associazione spirituale possa avere contrasti interni andrebbe riconosciuta come la conseguenza dell’intendimento dei suoi componenti di superare tutto ciò che possa presentarsi come contrasto dovuto al fatto dell’associarsi.
Il contrasto è sempre il segno di ciò che deve essere conosciuto, e che si chiedeva di conoscere come ciò che va superato: esso non può che essere risolto da soluzioni esteriori come separazioni o alleanze: forme di una crisi che non si sa cogliere nel mondo delle idee. Crisi di metodo, o della formazione interiore, crisi della giusta ispirazione, o della comunione con l’insegnamento originario.
Ma le soluzioni esteriori sembrano superare la crisi, la quale permane sotto lo strato degli accomodamenti, delle dichiarazioni di fraternità, delle riprese accademiche, delle conferenze, delle manifestazioni ridondanti di fasto attivistico-organizzativo e di spirituale esibizione.

Quando si ritrova l’accordo che è il fittizio accordo, perché fondato non sull’intesa spirituale ritrovata attraverso il sacrificio e la conoscenza, bensì su accomodanti compromessi, ossia su coesioni che sembrano interiori ma sono mondane, su accostamenti umani che non sono segni di incontro spirituale ma di egoico interesse: un simile accordo sarebbe meglio che non ci fosse.
È l’accomodamento della natura umana, assetata di soddisfazione spirituale, bramosa di incensare e di essere incensata: l’accordarsi della natura, mediante le forme dialettiche capaci di rivestirne le tendenze, con ciò che dal basso domina il mondo attuale. È l’accordo secondo convenienza.

Quando la “conformizzazione” è in atto, e la volontà individuale automatizzata dall’insegnamento accademico, i soci tengono allo statuto - a quello già esistente o a quello da riformare - come a ciò che è più importante: per poter dipendere da esso, per essere in una regola a cui conformare l’organizzazione che, in quanto insieme di membri, viene considerata organismo spirituale. Sempre per la tentazione di fissare lo spirito come una cosa che possa tenersi in mano e non abbia a sfuggire, e sia riferibile a un luogo, a una sede, a un gruppo, a un conferenziere che porga le verità come oggetti palpabili e conservabili.

La materia della scienza spirituale viene allora scambiata per l’idea che in tale materia si esprime come nella contingente sua forma: il sapere viene preso per il conoscere. Non si è teso a vivere nel moto di pensiero che si è proiettato in quella forma: impegno che non va richiesto ai principianti e ai meno provveduti, ma certamente a coloro che presumono dirigere l’associazione.

Ora avviene che proprio i meno provveduti riguardo a tale esigenza, in quanto più provveduti del “realismo” o senso organizzativo della cosa, o della materia scambiata per l’idea, i più provveduti di quel patente sapere che persuade gli ingenui o i primitivi, epperò del talento pratico e dialettico richiesto dal profano modo di associarsi del mondo attuale, dov’è richiesto tutto fuorché una gerarchia dei valori: avviene che proprio costoro prendano le redini del movimento.

Quando i dirigenti di una presunta associazione spirituale tengono alla loro funzione di dirigenti e ad avere le fila del movimento, e giungono perfino ad adoperarsi per conseguire ciò, e inoltre si impegnano a provvedere a tutte le manifestazioni esteriori e accademiche che convincano riguardo alla verità o alla necessità del loro insegnamento, cercando di smorzare le voci discordi e di documentare di volta in volta l’immancabile buona riuscita delle manifestazioni, secondo uno stile politico ormai generalmente invalso: è chiaro che il movimento che essi dirigono non è più movimento spirituale ma qualcosa in cui è in atto l’alterazione del contenuto originario, in una forma più seria che quella materialistica, svolgendosi sotto l’insegna dello spirito. Nella veste del sovramateriale, esso è lo stesso movimento dialettico del materialismo: che suscita sentimenti di fede, non atti di pensiero; emozioni personali, non idee; visionarismo, non visione; nozioni e argomentazioni, non conoscenza: la conoscenza non potendosi disgiungere dalla libertà.

È il surrogato dello spirito che, affermato, propagato e voluto con la facile volontà con cui si tende alle cose fisiche, dona anche forze. Ma sono forze che potenziano l’ego. Forze con le quali si acquisisce autorità sui nuovi discepoli, ai quali si insegna la libertà dialettica, ma si toglie la libertà, perché li si vincola con una serie di norme, sentenze, doveri, rivelazioni, formule di un’ortodossia avuta in retaggio e fissata una volta per tutte, per giudicare chi sia o non sia nella cittadella dello spirito.
Donde uno stato inconsapevole di presunzione nei riguardi degli altri, nei riguardi di dottrine o correnti che non si è avuto neppure la correttezza di conoscere: e una mania di convertire il prossimo in quanto si presume essere portatori di ciò che può migliorarlo. Mentre solo il nostro miglioramento, se è vero, può migliorarlo.

Nell’associazione spirituale, il mondo dei semplici, degli umili o degli sprovveduti - quello che va ordinariamente a costituire la massa di manovra dei politicanti di tutte le correnti - può essere aiutato soltanto da coloro che abbiano il coraggio della fedeltà all’idea originaria e perciò attingano all’inesauribile.
Perché il bene è l’idea che si attua e il male l’idea che non si attua. Il male è il fatto che vuole operare in luogo dello spirito, ed apparire il bene afferrabile: come cosa. Che sarà sempre illusoriamente afferrata.
Il male è tutto ciò che come fatto, istituzione, organizzazione e natura, opera in luogo dell’idea originaria, in quanto il suo essere fatto si traduce immediatamente in valore interiore per via di forze che di esso consentono all’uomo soltanto l’apparire sensibile. Mentre l’apparire è il limite di un movimento ab interiore, che lo spirito dovrebbe riconoscere come proprio: non il limite che condiziona lo spirito.

Un’associazione spirituale che creda di operare spiritualmente in quanto spaziale e temporale fatto associativo, è già un’associazione contro lo spirito. Essa non può fare lo spirito, bensì lo spirito fare di essa qualcosa. Non possono essere gli organizzatori esteriori dell’associazione i produttori dello spirito che giustifichi l’organizzazione, ma solo esseri che coltivino l’iniziazione, con ciò essendo i veri organizzatori: non condizionati né dall’appartenere all’associazione né dal non appartenervi: soprattutto non affetti dalla brama di essere dirigenti dell’associazione.
L’associazione deve avere il suo corpo, il suo organamento, la sua vita esteriore: ma l’associazione che si coltiva nell’invisibile, non quella per la quale la determinazione visibile sia divenuta ragion d’essere.

In verità, lo spirito non soffre obbligazioni, o schemi umani: esso è come “il vento che non si sa dove vada né d’onde spiri”: per cui là dove la norma e la legge non gli chiudano il varco, ma siano la norma e la legge che esso ogni volta esige e crea, esso è presente per una consequenzialità estremamente semplice. Là dove trova ostruzione, esso non potendo passare, cerca altre vie.
Non avendo passaggi obbligati, il suo sentiero è quello dell’infinita libertà.

Il male è l’idea che non si attua, il bene l’idea che si attua. Il male è l’idea che si finge attuata: il fatto che si scambia per l’idea, e il relativo modo di pensare e operare di cui tale scambio ha bisogno: cioè l’attivismo, che sostituisce l’attività del pensiero.
Onde il gruppo, o l’associazione, ritorna il gruppo o l’associazione non afferrabile realiter: esso si ricostituisce con coloro che permangono fedeli all’idea primamente intuita. Esso può anche affiorare come gruppo visibile che fuori dell’accademia svolge la sua opera, non definendosi, non tagliando né facendo ponti, non cercando alleanze né contrasti: lasciando liberi nella loro decisione coloro che hanno bisogno di segni esteriori per conoscere termini o confini dello spirito.

Il gruppo o i gruppi si riformano secondo incontri dell’anima e comunioni individuali: si riaffermano anche come organismi esteriori, per virtù del loro ritrovare la forma invisibile. Essi sono l’associazione spirituale che, per esistere, non ha bisogno della determinazione esteriore: ma perciò la sua determinazione esteriore può essere la forma visibile dello spirito: onde l’associarsi non sia il modo di sfuggire lo spirito. Perché soltanto dove lo spirito non viene sfuggito è la fraternità.

L’associarsi, come fatto esteriore, è già un moto di fuga dallo spirito da cui sorge: che dallo spirito deve essere ripercorso perché sia effettivamente il suo movimento. Onde sia il moto della fraternità da cui muove, non la finzione della fraternità, in cui immediatamente cade. Che per ora è il livello in cui la fraternità sta lottando per sbocciare nel mondo.

Massimo Scaligero

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[Riceviamo da Vittorio e volentieri pubblichiamo]


giovedì 5 maggio 2011

FESTA DELLA LUCE – WESAK 2011

FESTA DELLA LUCE – WESAK 2011
Sappiamo che il periodo del Wesak è di interesse capitale per il progresso dell’Umanità e che dal 1936 il Buddha e il Cristo sono in stretta comunicazione, “collaborando per suscitare nel genere umano la ricettività all’emanazione di una forza spirituale, che stornerebbe l’attuale andata di angustia, depressione e incertezza, inaugurando un’era di pace e cultura spirituale” (A. Bailey, Trattato dei Sette Raggi, Vol. 2, 684). Sappiamo, inoltre, che il Buddha attualmente svolge una funzione speciale di mediatore interplanetario e, in virtù di tale funzione (proprio durante i giorni del Wesak), tenterà di mettere certe Entità spirituali in rapporto con la Gerarchia terrestre.
Come Aspiranti e Ricercatori Spirituali sappiamo anche che siamo chiamati a collaborare a questo Piano di Pace e di Luce, ognuno secondo le proprie capacità: da un lato la Gerarchia Spirituale ha cercato di imprimere quel Piano nelle menti degli uomini e trasmettere il potere e la comprensione necessari per il lavoro previsto, e dall’altro, come Aspiranti Spirituali, abbiamo il compito di tentare di rispondere e manifestare nelle nostre azioni e nei nostri rapporti ciò che abbiamo intuito sul piano spirituale. Potremmo dire che, in questo modo, siamo reciprocamente impegnati, nel rapporto con la Gerarchia Spirituale, per realizzare il Piano Divino sulla terra.
Si tratta, evidentemente, di un impegno molto grande e importante che va inteso correttamente, nell’ambito delle nostre capacità di comprensione e di dono di noi stessi agli altri, ai quali offrire un esempio e un’occasione per stabilire rapporti di sempre maggiore e più autentica Reciprocità.

Il termine “Reciproco” deriva dal latino Reciprocus, composto di Recus (“Addietro”), e Procus (Avanti).
Questo termine, pertanto, sembra descrivere un moto oscillatorio, in Avanti e Indietro, che tende ad unire, e che va, dunque, in direzione dell’Uno: indica una spirale, che può andare verso il basso, o verso l’alto (l’Uno).
L’Uno è l’elemento divino, che per l’Uomo è rappresentato dal Piano Spirituale, cioè dal mondo delle creature Deviche.
Lo spazio che la spirale della Reciprocità deve aprire è il Cuore di un rapporto, nella vibrazione del quale può incontrare l’Uno, cioè il Deva del rapporto.
Pertanto, possiamo intendere la Reciprocità come quel processo di graduale e consapevole indebolimento dei meccanismi delle personalità in gioco, in favore della costruzione di un’energia unica, che nasce dalla fusione delle Coscienze in rapporto: il Cuore del rapporto appunto.

La Creazione che si genera non è valutabile in termini di “mio”, o “tuo”, ma solo in termini di “Noi”: c’è una perdita progressiva dell’individualità, che rappresenta sia il massimo timore della personalità, che la massima aspirazione della Coscienza.
Se siamo ancora identificati con la nostra personalità (ovvero con le sue forme) la Reciprocità regola unicamente la vita della forma, nei suoi scambi interni ed esterni ed è utile solo se temporanea (come nella simbiosi di una madre con un bambino piccolo).
Laddove cominciamo ad identificarci con la nostra Coscienza, la Reciprocità comincia a regolare l’afflusso dell’energia spirituale nella vita di un essere umano e nei suoi rapporti. In questo caso, la forma perde il suo potere di presa ed il Cuore del Rapporto assume un potere di attrazione nuovo e potente.
Allora, il Gruppo comincia a contare più della singola personalità, del suo potere, dei suoi interessi e dei suoi rapporti.
E’ il momento in cui nasce la Funzione di Servizio, ovvero la consapevolezza, messa al Servizio del Gruppo, delle qualità che possono essere offerte per il Bene Comune.

Più la personalità si apre, attraverso il dolore, alle note del Cuore, più la Coscienza (capacità di utilizzare la Ragione) si radica in un essere umano. L’espansione della Coscienza si raggiunge con la progressiva rinuncia al desiderio.
Alcuni desideri sono così potenti e intensi che non riusciamo ad affrontarli in una sola incarnazione: ne indeboliamo sempre più la presa, fino a giungere ad una totale e completa rinuncia.
Come sappiamo bene, la personalità impiega tecniche raffinatissime di mimetizzazione, per negare questi nodi e seppellirli nell’inconscio.

Costruire rapporti orientati alla Reciprocità vuol dire fondare rapporti in cui Cuore e Mente siano uniti, nella massima elevazione dei nostri Sentimenti, connessa con i nostri Pensieri luminosi, orientati ai valori dello Spirito, e offerti al rapporto.
Nella Reciprocità si crea uno spazio geometrico, che non appartiene né a me, né all’altro, ma è nutrito dalle nostre due Coscienze, impegnate in un rapporto; la Reciprocità crea un Centro magnetico, che si colloca in una zona precisa dello spazio ed è tanto più irradiante, quanto più è centrato sulle più elevate necessità evolutive delle Coscienze impegnate in quel rapporto.

Possiamo allora immaginare che, quando l’Umanità avrà trasformato, nella maggioranza dei Rapporti, gli elementi di conflitto in Rapporti di Reciprocità, avrà costruito una grande rete di energia, vibrante ed espansiva, costituita da una moltitudine di Cuori vibranti e orientati sempre più verso la Fratellanza e l’Amore.


venerdì 11 giugno 2010

ETICA Vivente 1991-93 [A] Intenzionalità Anima

Parole di Sergio
(Appunti dai Seminari 1991-93 [A] a cura di Resalvato)



Concentrazione puntiforme della coscienza di gruppo; completa e assoluta convergenza anche nell’estroversione della vita quotidiana. Focalizzarsi sul Compito. Uso della mente per la creazione della N. E.
Ciò che conta è la focalizzazione dell’attenzione sul proposito, sull’obiettivo comune.
Intenzionalità: Spostare l’attenzione, l’interesse, dal mondo esterno a quello interno, da quello concreto a quello sottile, da quello inferiore a quello superiore, da quello visibile a quello invisibile. Non mescolarli: viverli come due binari, separati. Continuare la vita della personalità, costruendo la vita dello spirito, senza che siano in contrapposizione.
Distinguere fra personalità e anima: la personalità non è detto che esprima sempre l’anima.

Utilizzare l’afflusso energetico non per la personalità ma per e nel Servizio.

Il compito di Servizio può essere duplice, triplice (punti magnetici):
1) Costruire se stessi;
2) contribuire alla costruzione di un Gruppo;
3) occuparsi di una iniziativa (attività esterna).
Tutto questo attraverso la meditazione, la condivisione (individuale e di gruppo).

Dare la propria energia a favore di “chi sta servendo il mondo”.
La vita della personalità e quella dello Spirito hanno due direzioni opposte, non conciliabili. “Dare a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio.”

Chi è che fa crescere la coscienza? E’ l’anima non la personalità. E’ la nostra coscienza che produce gli eventi. E’ la nostra anima che ci ha portato qua.

Nell’Aspirante permane un dualismo fra anima e personalità. Nel Discepolo si raggiunge un certo equilibrio tra interno ed esterno.
L’energia, a livello della personalità va guidata; a livello dell’anima va affidata.
Differenza tra attivismo e attrazione: mettere i poli nella massima tensione, contenerla e quindi coniugare i due estremi in un terzo elemento che li contenga entrambi (sintesi).
L’integrazione della personalità è il coordinamento di tre energie diverse: fisica, emotiva, mentale.

Bisogna evitare di lasciare il campo sguarnito. Non lasciare un vuoto che può essere riempito da energie disarmoniche e disgregatrici.
Comunicazioni utili al fine di costruire una fratellanza spirituale.
Non lasciarsi condizionare dalle abitudini.
I rapporti di coppia, familiari, sono ostacolanti per la coscienza di gruppo.
Tenersi saldi e procedere.
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