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mercoledì 20 aprile 2016

E se l’Universo fosse un grande organismo vivente?


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Dal microbo più piccolo al mammifero più grande, l'uomo è convinto di riuscire a riconoscere la vita. Ma potrebbe esistere anche su scala molto più grande, diciamo a “livello cosmico”, 
in cui i pianeti fungono da cellule e i buchi neri da DNA dello spazio? 
I segreti del cosmo potrebbero risiedere nella biologia invece che nella fisica? 
Insomma, l'Universo è vivo? 



Cosa rende vivo un organismo? Cosa ci rende diversi da un sasso o da un robot?
È il battito del cuore? Sono i pensieri che abitano la nostra mente? O per il fatto che nasciamo, cresciamo e moriamo?
Alcuni scienziati hanno pensato che potremmo condividere questi aspetti con qualcosa di molto più grande: è possibile che l’intero cosmo sia un unico organismo vivente, nel quale viviamo e ci muoviamo?
Tutta la vita può essere fatta risalire ai pochi organismi unicellulari che esistevano nell’Archeano. Oggi, dopo circa 4 miliardi di anni, ci troviamo a condividere il pianeta con elefanti, balene e altre 8 milioni di specie eucariotiche.
Chiaramente, tutti gli esseri viventi sul nostro pianeta sono interconnessi, tanto da far pensare di essere tutti parte di un unico organismo vivente. Siamo come le centinaia di diversi tipi di cellule del nostro corpo che costantemente muoiono e si rinnovano? Facciamo parte di un organismo complesso più grande di noi?
Il primo in Occidente a concepire l’universo come un grande organismo fu il filosofo greco Anassagora che in opposizione al meccanicismo atomistico pensava all’esistenza di un Nous (mente) che organizzasse il cosmo risollevandolo dal caos originario. Ma l’idea dell’universo come organismo vivente è stata ampiamente formulata anche da Platone, poi dagli stoici, da Plotino e dal neoplatonismo.
Secondo la visione “organicista”, le strutture che compongono l’Universo, cioè galassie, buchi neri, quasar, stelle, nebulose, pianeti e noi compresi, sono da considerare come i tessuti di un gigantesco essere vivente, un po’ come le parti che compongono il nostro organismo.
Se è vero che una delle caratteristiche degli esseri viventi è quella di nascere, crescere, riprodursi e morire, questi aspetti sono più che plausibili anche per l’Universo:
il Big Bang è praticamente la venuta al mondo del cosmo (probabilmente da un universo antenato); il fatto che l’Universo si espanda significa semplicemente che cresce; in futuro, quando l’entropia si sarà equilibrata, l’Universo morirà come tutti gli altri esseri viventi.
E per quanto riguarda la riproduzione? Tutti gli esseri viventi hanno una caratteristica in comune: provengono da un altro organismo. Se il nostro Universo fosse vivo, avrebbe anch’esso un genitore? E, a sua volta, potrebbe dare vita ad un Universo figlio?
Il fisico teorico Lee Smolin, uno dei fondatori del Perimeter Institute for Theoretical Physics, sostiene la possibilità che il nostro Universo abbia già dato vita ad una intera famiglia di universi-figli nascosti al di là dell’orizzonte oscuro dei buchi neri.
«Le leggi di natura sono perfettamente sintonizzate, in modo che l’Universo possa ospitare la vita», spiega Smolin. «Immaginiamo cosa succederebbe se cambiassimo anche solo leggermente queste leggi: l’Universo non sarebbe più così ospitale. Resta un mistero il motivo per cui l’Universo è così accogliente nei confronti della biologia».
I cosmologi si scontrano da tempo con questo enigma chiamato “Perfetta Sintonizzazione”. Se una qualsiasi delle forze della natura fosse più forte o più debole di una percentuale inferiore all’1%, le stelle e le galassie non si formerebbero mai. Persino gli atomi non esisterebbero.
Per molti, questo è il segno che il nostro Universo è stato accuratamente plasmato dalla mano di un creatore che la concepito in modo da fargli ospitare la vita umana.
Smolin, tuttavia, cercava una spiegazione più osservabile, trovandone una non nella fisica, ma nella teoria biologica dell’evoluzione. «La selezione naturale spiega come le strutture intricate della vita si sviluppano progressivamente», commenta Smolin, chiedendosi se anche il nostro Universo così complesso sia il frutto di una versione cosmica dell’evoluzione biologica.
«L’Universo potrebbe avere una storia? Potrebbe avere degli antenati? Mentre si è evoluto nel corso della storia, potrebbero esserci state variazioni casuali delle leggi, e poi una selezione delle stesse, privilegiando quelle che introducevano le strutture più complesse?», si chiede Smolin. A suo parere, la “selezione naturale cosmologica” potrebbe essere la risposta: «è la migliore che abbia trovato finora!», ammette lo scienziato.
Perchè la Teoria della Selezione Naturale Cosmologica di Smolin possa funzionare, ci deve essere un meccanismo per cui un intero cosmo possa riprodursi e subire una mutazione come nella trasmissione del DNA.
Secondo Smolin, la risposta si trova nel centro impenetrabile dei buchi neri, dove le leggi della fisica conosciuta smettono di esistere, con il sopravvento di altre leggi relative alla gravità quantistica finora ignote. Il fisico teorico ritiene che quando una stella esplode lasciando il posto ad un buco nero, in quel momento avviene la nascita di un nuovo universo.
«La stella che ha creato il buco nero collassa, e poco prima di diventare infinitamente densa, rimbalza e ricomincia ad espandersi», spiega Smolin. «A quel punto, si creano nuove regioni di spazio tempo, sempre all’interno dell’orizzonte del buco nero, le quali potrebbero crescere e diventare grandi come ha fatto il nostro Universo dopo il Big Bang».
universi-figli
Dunque, il nostro Universo potrebbe essere un germoglio spuntato su un ramo di un gigantesco albero cosmico sempre in crescita. «Nel cosmo funziona come in biologia: esiste una popolazione di universi che generano una progenie attraverso i buchi neri», continua Smolin.
Ma questo non è l’aspetto più interessante della teoria di Smolin. Mentre studiava quali leggi della fisica permettono ad un piccolo universo di essere più prolifico, Smolin ha scoperto una misteriosa analogia tra l’albero genealogico cosmico e quello biologico.
«Perchè si formi un buco nero, occorre una stella molto grande. Inoltre, occorrono enormi nuvole di gas e polveri fredde, in modo che queste sostanze si trasformino in monossido di carbonio, quindi occorrono sia il carbonio che l’ossigeno, i due atomi essenziali per la formazione della vita», continua il ricercatore.
Questi due elementi sono presenti nell’universo in misura massiccia, quindi «la spiegazione per cui il cosmo ospita la vita non è altro che un effetto collaterale della sua stessa fertilità in termini riproduttivi».

La Vita del Cosmo

la-vita-del-cosmoLee Smolin
Secondo l’autore, la fisica contemporanea dovrebbe superare la vecchia impostazione newtoniana, e il pensiero fisico dovrebbe tener conto a tutti i livelli dei più recenti sviluppi teorici:
l’universo si comporta come se fosse soggetto alle leggi dell’evoluzione e della selezione naturale.
È tutto plastico, e le sue leggi non sono immutabili; esiste addirittura una “competizione tra universi possibili”, che dà come risultato la realtà in cui viviamo.

Se Smolin ha ragione, le leggi della fisica che conosciamo sono state accuratamente regolate in modo da mantenere fertile il cosmo per la sua riproduzione. Le stesse leggi rendono il nostro universo un luogo in cui la vita basata sulla chimica del carbonio può prosperare.
Seconto la Teoria della Selezione Naturale Cosmica, l’Universo in cui ci troviamo è un organismo vivente, e che quello della vita non è un fenomeno solo locale, ma anche scalare, cioè capace di manifestarsi non solo in diversi luoghi dell’Universo, ma anche su diverse scale di grandezza, tanto grandi da risultare a noi irriconoscibili.

In fin dei conti, siamo versioni in scala differente della stessa cosa.

sabato 19 dicembre 2015

GAYATRI MANTRA






GAYATRI MANTRA

Q
uesto mantra è stato trovato dal Rishi Vishwamitra nei Veda (1500-800 a.c. - Rg Veda III 62.10). Gayatri è la Madre dei sacri testi vedici di cui è considerata l’essenza. L’inno indirizzato all’energia del Sole (che simboleggia la Luce della Verità), alla Divinità Immanente e Trascendente, è considerato il più importante di tutti i mantra. Può essere cantano in qualsiasi momento e in ogni posto, ma l’alba e il tramonto sono i momenti migliori. Per avere efficacia deve essere ripetuto almeno tre volte; alcuni lo ripetono 108 o anche 1008 volte.
Il termine "Gayatri" proviene da “GAYAntam TRIyate iti”, che significa: "Ciò che preserva colui che lo recita". GAYA vuol dire Essere e insegna la Verità, il principio della vita. Gayatri ha 3 nomi: Gayatri, Savitri e Saraswathi. Gayatri è la madre dei sensi, Savitri è la madre del prana e significa Verità, Saraswathi presiede la Parola divina. Tutte e tre rappresentano la purezza del Pensiero, della Parola e del-l’Azione. E’ stato dato come Terzo Occhio (Ajna Chakra) per rivelare la visione interiore. Sviluppando questa visione si può realizzare il Brahman.
La Gayatri è lode, meditazione, preghiera (per la liberazione). Sotto lo stesso nome della Gayatri ci sono devozione, conoscenza e distacco.
In ogni cuore esiste lo stampo della Gayatri, che ha cinque facce: bhûr-bhuvah-svah, sono le tre dimensioni che stanno unite insieme per formare un solo volto; è la lode, l’adorazione. Tat è la seconda faccia; savitur-varenyam è la terza; bhargo-devasya-dhîmahi è la quarta (riguardano la meditazione); dhiyo-yo-nah-prachodayât è la quinta (la preghiera).
La Gayatri può essere tradotta in vari modi, perché molteplici sono i suoi significati spirituali. Ecco due versioni: la più sintetica e la più lunga. 

Meditiamo sul Fulgore Supremo dei tre universi.
Possa Esso illuminare la nostra coscienza. 


Supremo Divino, Tu sei il Creatore di quest’universo, della terra, dello spazio e del cielo.
Noi adoriamo Saviturh, quel raggiante splendore, la Tua pura forma,
 l'Origine di tutta la  creazione.
Noi meditiamo sulla Tua Divina radiosità. Noi Ti contempliamo.
Ispira i nostri pensieri, guida il nostro spirito, apri il nostro occhio interno,
 l'occhio della Saggezza.


Svelaci il volto del vero Sole Spirituale,
nascosto da un disco di luce dorata, 
affinche' possiamo conoscere la verita' 
e fare tutto il nostro dovere, 
mentre ci incamminiamo verso i tuoi Sacri Piedi”. 
A. A. Bailey, Raggi e Iniziazioni, pag. 395




Traduzione letterale
Om
Para Brahman, Suono primordiale


Bhur
Terra
Materia
Corpo, piano fisico
Bhuvah
Cielo
Vita
Vibrazione
Svah
Cosmo, Universo
Coscienza
Irradiazione, Saggezza
Tat
Paramatma, Dio o Brahman
Savitur
Quella Sorgente dalla Quale tutto è nato.

Varenyam
Degna di essere venerata


Bhargo
Radianza


Devasya
Realtà Divina


Dhimahi
Meditiamo


Dhiyo
Buddhi, Intelletto, Piano intuitivo


Yo
Il Quale, La Quale


Nah
Nostro


Prachodayat
Intelletto



domenica 13 settembre 2015

Così la fisica spiega l’inspiegabile origine dell’universo | Aleteia.org

Galassia cosmo


di Umberto Minopoli  
"Un po’ di scienza allontana da Dio ma molta scienza riconduce a lui”. Louis Pasteur, il padre della microbiologia, è stato il primo a formulare questa paradossale conclusione. Applicata alla cosmologia, lo studio delle origini e del destino dell’universo, ha la forza di una profezia verificata: la domanda su Dio è ridiventata una controversia nella cosmologia contemporanea, dopo esserne stata espulsa per quasi due secoli.
Al culmine di un avanzamento esponenziale delle conoscenze sul cosmo nella seconda metà del Novecento, la scienza è tentata da due suggestioni.
La prima è inquietata dal paradossale contrasto tra l’immensa progressione delle conoscenze dell’ultima metà del secolo e la portata delle domande inevase e irrisolte sull’universo: cosa è stato veramente il Big Bang? Perché riusciamo a spiegarci solo il 4 per cento della materia che vediamo? Come è iniziata veramente la vita cellulare?
Questa parte della scienza non se la sente ancora, dinanzi a tanta incertezza, di dichiarare inammissibile scientificamente l’ipotesi di disegno intelligente, l’ipotesi di Dio. “Molta scienza” ci riporta a domande fondamentali e senza risposta. Dio non è escluso.
Ma c’è una seconda suggestione, opposta, che ritiene invece che l’accumulo di conoscenza cosmologica degli ultimi settant'anni consenta finalmente all'umanità di dichiarare chiuse le domande su Dio. Ormai sappiamo quanto basta, ha scritto Stephen Hawking: gli interrogativi fondamentali della vita hanno risposte e noi siamo vicini alla verità sul Grande disegno: non c’è un disegnatore! Su questa convinzione è nata una cosmologia che ha avuto un successo straordinario nella letteratura divulgativa, con i bellissimi libri di Hawking, Lawrence Krauss, Brian Greene, Richard Dawkins e altri, dichiaratamente neoateisti, come li definisce Amir Aczel, matematico, fisico e impareggiabile divulgatore, nel suo libro “Why Science Does Not Disprove God”.
Perché “neo”? Perché la negazione di Dio, che questa cosmologia intende dichiarare, non fa leva sui tradizionali attrezzi dell’agnosticismo: trappole delle prove ontologiche, dubbi razionali, ingenuità del letteralismo biblico: Insomma tutto l’armamentario che tanto piace al nostro professor Odifreddi.
La cosmologia neoateista ritiene di disporre, addirittura, delle prove scientifiche dell’inesistenza di Dio e di essere vicina al Graal di una Teoria del Tutto (Hawking).
E’ davvero così? Esistono davvero argomenti scientifici che abilitino la pretesa neoateista? Le sue asserzioni in larghissima parte non sono sottoponibili alla verifica della prova e dell’osservazione, Anzi.
Vedremo come la sua pretesa finisce addirittura, per gli argomenti che adduce, per apparire più metafisica delle ipotesi teologiche che intende combattere, per dirla con Alex Vilenkin, fisico russo e uno dei padri della cosmologia quantistica.
Gli ultimi tre secoli potrebbero essere descritti, in termini di modelli cosmologici, come la progressiva liberazione dal dominio della magia e del racconto mitologico, sulla nascita e il funzionamento del mondo, per approdare a una cosmologia compiutamente scientifica.
Un superficiale sunto della storia moderna della cosmologia, vista dal lato del rapporto con la religione, ci darebbe tre modelli prevalenti e in successione tra loro.
Con la fine della spiegazione tolemaica e con le scoperte di Keplero, Newton e Galilei, il primo modello, nel Sei-Settecento, è la meravigliosa architettura barocca dell’universo meccanismo, del cosmo orologio. Regolato dalla legge universale della gravitazione fantasmatica di Newton, il cosmo è un ordine complicato e meccanico in cui un Grande orologiaio interviene per aggiustarne i movimenti, lubrificarne i meccanismi e correggerne gli ingranaggi. La magia dei miti dell’origine e il rigido schema tolemaico si trasfigurano nel cosmo regolato e ordinato in cui la figura del Grande meccanico orologiaio tiene la giovane cosmologia copernicana saldamente ancorata alla presenza del divino.
Con il secondo modello, la cosmologia dei Lumi, l’Orologiaio esce di scena e dalla trama del cosmo. Il divino precipita al rango delle spiegazioni antinomiche, metafisiche e contraddittorie denunciate nelle due “Critiche” di Immanuel Kant.
L’interpretazione del filosofo di Königsberg dominerà fino a tutto l’Ottocento. E fisserà i paradigmi dominanti della cosmologia scientifica della modernità:
oggetti e forze si muovono, sulla tela dello spazio e del tempo assoluti, governati unicamente da leggi deterministiche e dal causalismo meccanico di Newton. Il cosmo è decifrabile esclusivamente con prove, esperimenti e osservazioni tradotte nel linguaggio matematico. Nato da una “nebulosa primordiale”, intuisce Kant anticipando la scoperta dell’origine del sistema solare (tutto l’universo conosciuto del suo tempo), il cosmo illuminista si è evoluto nella figura dell’immenso e del sublime. Perfettamente comprensibile, per Kant, solo con i mezzi della scienza. Il resto è speculazione. Solo ciò che si può osservare si può descrivere. Solo ciò che è percepibile dai sensi è oggetto di scienza e pronunciabile nel linguaggio della scienza.
Nessuno spazio per il divino, per ordini nascosti o finalità intenzionali: le domande ammissibili, continua Kant, sono quelle circoscritte alla descrizione di ciò che c’è nello spazio e nel tempo. E lì Dio non appare. Non è il suo territorio, afferma Kant. E’ pura antinomia e contraddizione, per Kant, cercare Dio nei fenomeni del cosmo. Dio è oltre.
Cercarlo negli eventi fisici è non sense. Dio non è mens insita omnibus come volevano Bruno e Spinoza. E non è dato dire, con i mezzi dell’indagine naturalista, se sia mens super omnia. Dal cosmo dei Lumi scompare lo spazio per ipotesi di atto creativo e di presenza del sacro. E’ lo scacco della teologia. Dio diventa oggetto opaco e precluso ai sensi: non si tocca, non si vede, non se ne avvertono profumi. E’ pura speculazione. Il suo territorio si restringe a quello della morale o delle scommesse di Pascal.

Le galassie Antenne riprese dal telescopio spaziale
americano Hubble (foto Nasa/Esa/Hubble Heritage Team)

L’ottimismo e l’autosufficienza della fisica dei Lumi motivano la straripante utopia del marchese di Laplace: “Se esistesse un intelletto umano superiore, scrive orgoglioso il marchese di Laplace, che riuscisse a calcolare, con le attuali conoscenze della meccanica e della fisica, i moti e le direzioni di ogni corpo e di ogni forza che agisce nell'universo, sarebbe possibile spiegare passato, presente e futuro di ogni cosa”.
Aufklärung: la prima versione nella storia di un’agognata Teoria del Tutto. La cosmologia si laicizza. Diventa agnostica. E’ la giustapposizione kantiana e il definitivo divorzio tra scienza e fede. Che segnerà una lunga pagina della modernità. La morale del tempo è plasticamente fissata nel famoso apologo del perplesso Bonaparte, che sfogliando la prima edizione della “Exposition du système du monde” (1796) di Pierre Simon marchese di Laplace, l’opera più importante sulla meccanica celeste dopo i “Principia Mathematica” di Newton, chiede all’autore: “Non capisco, cittadino, come mai non abbiate fatto cenno all’azione del Creatore”. E poi, per inciso: “Eppure essa spiega molte cose”.
Cui Laplace replica sorpreso: “Cittadino Primo Console, non ho avuto bisogno di questa ipotesi”. La storia ha immortalato la risposta di Laplace. Il paradosso sarà che il tempo (e più scienza) ridarà dignità all'inciso del Bonaparte.
L’universo meccanicista, increato, deterministico e agnostico di Kant e Laplace evolverà nel modello del cosmo illuminista: infinito e statico, senza storia, meccanico, immoto nell'eternità. Bastevole a se stesso produce da sé, continuamente, la materia di cui ha bisogno. Questo modello di universo resisterà fino agli anni Venti del XX secolo. Poi vacillerà.
 Il cosmo è veramente infinito, statico ed eterno? Sarebbe bastato prestare più attenzione a una strana ed enigmatica domanda che aveva turbato, fin dal Seicento, menti come quella di Keplero, di Halley e di altri. E che aveva la forma del quesito ingenuo di un bambino o del delirio di un innamorato:
“Perché di notte il cielo è buio?”. Heinrich Wilhelm Olbers, medico tedesco e astronomo amatoriale, riprovò a formularla un anno prima della morte di Laplace: “Se l’universo fosse davvero infinito, statico ed eterno e visto che la luce ha velocità finita, quella delle stelle, di tutte le stelle, dovrebbe aver avuto tutto il tempo di raggiungerci. E allora perché, di notte, c’è il buio?”. Provate a smontare la logica stringente di un tale assunto.
La spiegazione verrà un secolo dopo, negli anni Venti e Trenta del XX secolo, appunto.
Un arruffato, confusionario e scapestrato impiegato di Berna aveva, letteralmente, spazzato via il cosmo meccanicista di Newton e ciò che di esso era passato nella cosmologia dei Lumi e nelle idee dell’Ottocento. Mettendo a soqquadro paradigmi e certezze del racconto cosmologico da Newton a Kant a Laplace. E sfidando il senso comune e le convinzioni più intuitive, popolari e radicate. Tutto era sottosopra nelle incredibili ma inoppugnabili affermazioni della relatività: lo spazio come tela e scenario assoluti, il tempo che scorre uguale per tutti, le cause che precedono gli effetti, la simultaneità degli eventi ecc.
Eppure la prodigiosa mente di Einstein era inciampata in un problema imbarazzante. Causato da un residuo di conservatorismo culturale. E da un maldestro tentativo di soluzione. Il mondo fantastico ma più reale e aderente alla realtà della relatività, ristretta e generale, era stupendamente raccontato da Einstein in un gruppo di equazioni tormentate, eleganti, ricche di fattori “misteriosi”: spazi curvi, ruolo della luce, nuove versioni del fattore tempo, una geometria non euclidea, e una matematica non lineare. Una meraviglia, complessa ma elegante, che spiegava il cosmo assai meglio di quanto non facesse la scarnificata, povera e lineare matematica di Newton.
Eppure le equazioni contenevano un baco. Avevano un problema: si sbilanciavano, portavano a risultati impossibili. In quelle equazioni l’universo non stava fermo. Rischiava di implodere o collassare. Non era statico e stabile come i moderni, Einstein compreso, pensavano che fosse. Prevalse un atto conservatore, insieme ingenuo e maldestro, di Einstein: la sua “più grande stupidaggine” come lui stesso la definirà. Nel tentativo di arrestare quelle equazioni e quell'universo che non stava fermo, che tendeva al collasso o evaporava negli abissi della morte termica, Einstein ricorse a una trovata, una soluzione ad hoc delle equazioni: la “costante cosmologica”, la chiamò. Aggiunse un numero alle sue formule. Un semplice numero: inspiegato, ineffabile, venuto dal nulla ma con le quantità giuste per stabilizzare l’universo.
Inserito nelle equazioni della relatività generale esso consentiva ai risultati matematici di consegnarci, di nuovo, l’universo statico e senza tempo della credenza illuminista. Il grande innovatore pensò, così, di riconciliarsi col tempo e con la logica. Ma era solo un trucco. E neanche elegante. Infatti scomparirà.
Grazie a una scoperta, quella forse più importante degli ultimi trecento anni: l’universo si espande. Edwin Hubble, l’astronomo americano che lo scoprì, dette il colpo mortale a una convinzione plurisecolare: l’immobilità del cosmo.
A un tasso costante e persino matematico, ogni attimo le galassie si allontanano le une dalle altre. Tra loro si crea sempre nuovo spazio. Il cosmo non è statico. Inesorabile. Olbers aveva, finalmente, una spiegazione.
Non c’era paradosso: il cielo di notte è buio perché le galassie si allontanano. E la luce delle stelle non fa in tempo a raggiungerci.
Fu un prete cattolico, astrofisico belga, Georges Lemaître, a intuire la sconvolgente portata della scoperta di Hubble. Egli ragionò: “Se l’universo si espande, vuol dire che se riavvolgessimo mentalmente all’indietro, come una pellicola rivista dalla fine all'inizio, quello che Hubble ha osservato, l’espansione, dovremmo esperire una contrazione”. Elementare! E dove finisce, indietro nel tempo, la contrazione? Dov'è che l’espansione comincia? Le equazioni di Einstein, finalmente liberate dalla mostruosità del numero ad hoc, provavano che
il film riavvolto dell’espansione di Hubble si concludeva con la contrazione del cosmo in un “punto”: ineffabile, senza dimensioni. Una singolarità. Era l’inizio del tutto. Al sacerdote cattolico non sembrò vero: “C’è allora scientificamente l’inizio!”, addirittura testato da equazioni matematiche! L’universo non solo non è statico ma ha un’origine indietro nel tempo:
“Chi ha messo lì quel punto? Da dove salta fuori un punto, una singolarità, da cui inizia un cammino, al posto del niente?”,
chiedeva trionfante Lemaître. E poteva concludere: lì, nel punto, ci sono le “carte di Dio”!
Il punto, l’inizio, sarà sarcasticamente chiamato da Fred Hoyle, un geniale diffidente, Big Bang. Non era un bang: era un punto che, all’improvviso, iniziò a dilatarsi, dando vita a un’espansione.
Che continua ancora oggi. E, persino, accelera. Il cosmo di Einstein, Hubble e Lemaître, quello del Big Bang, raccontava che l’universo ha una storia. Non è sempre esistito.
E’ nato da un punto che conteneva un’infinita energia che, per qualche ragione ha preso a dilatarsi, a farsi materia e a dare vita ai costituenti dell’universo.
Ovvio che, da allora, una domanda inevitabile cominciasse a inquietare la cosmologia scientifica: quale ragione fisica spiega il Big Bang? A che si deve l’enigmatica dinamica dell’inizio e dell’espansione? Perché il punto, la singolarità, prese improvvisamente a crescere e dilatarsi? Non c’è spiegazione fisica (almeno fino a Krauss e Hawking). Solo ipotesi.
Per la scienza, però, è tornata in campo la domanda che Kant riteneva un’antinomia, metafisica e contraddittoria: “Com’è nato tutto?”, perché c’è qualcosa e non il nulla? La cosmologia scientifica del Big Bang ridà dignità a dilemmi che gli illuministi (e sant’Agostino) avrebbero definito “speculazione”: cos’è, realmente, il Big Bang? Cosa c’era prima del “punto”? Dove porterà l’espansione di Hubble? Con il processo a Galileo la teologia si era distaccata dalla modernità. Con Kant e l’illuminismo aveva, addirittura, divorziato dalla scienza.
Con la fisica del Big Bang, il terzo modello della cosmologia della modernità, domande che si pensavano teologiche, quelle sull'origine e sulla fine, tornano a far capolino nella discussione cosmologica. E proprio nel momento, per dirla con Pasteur, in cui “molta scienza” era entrata, in progressione esponenziale, nella spiegazione dei fenomeni fisici. Relatività e scienza quantistica realizzeranno nella seconda metà del Novecento due imprese impensabili: ricostruiranno, con esattezza scientifica stupefacente, la storia dell’universo, la ricostruzione esatta, fisica e chimica, del film dell’evoluzione cosmica (13,7 miliardi di anni) fino al Big Bang e ai suoi primi istanti di vita; scenderanno nelle abissali profondità dell’atomo per scoprire i costituenti ultimi della materia e, persino, con le stupefacenti macchine del Cern, ricostruendo in laboratorio le impensabili energie del Big Bang. Per guardare dentro e da vicino l’inizio di tutto.
Sorge insomma un paradosso imprevisto dall'ottimismo illuminista: più scienza e fisica entrano nelle spiegazioni dell’universo, più domande emergono, più cresce l’opacità, l’ineffabilità della materia, l’inquietante dissimulazione dell’origine. Quel punto, l’inizio, quella singolarità non si lascia decifrare. Non solo. Più penetriamo gli abissi della materia e le profondità del cosmo, più inciampiamo in misteri disarmanti: conosciamo, ancora approssimativamente, solo il 4 per cento della materia di cui è fatto l’universo; misuriamo la presenza certa di un’energia oscura ma nulla sappiamo di essa (e servirebbe saperlo per declinare ipotesi sul futuro del cosmo); non sappiamo ancora come è emersa effettivamente la vita, ecc. Molta fisica, insomma, ci è ancora velata. Sulle cose significative del Tutto possiamo solo fare ipotesi, congetture, illazioni. Su quelle famose “carte di Dio” sembra si debba dire quello che Churchill pensava della Russia comunista: un mistero che cela un enigma che nasconde un segreto.


La nebulosa Farfalla (foto Nasa/Esa/Hubble Sm4 Ero Team)

Alcuni anni fa, in un libretto stupefacente, “Dio e la scienza”, duettando con i fratelli Bogdanov, astrofisici e istrioni televisivi, un po’ geni e un po’ lestofanti, nipoti dell’omonimo autore otzovista, amico-nemico di Lenin, Jean Guitton, forse il più eminente filosofo cristiano del nostro tempo, metteva a nudo le due lacune che, a suo dire, invalidavano l’ottimismo illuminista e la sua pretesa di realizzare, attraverso l’impresa scientifica, il programma di Nietzsche: far morire Dio.
La prima lacuna è, appunto, il mistero dell’origine, l’inizio del Big Bang. Guitton lo chiama, elegantemente, “vertigine d’irrealtà”: come si è prodotto? Da quali processi fisici ed energetici? Cosa c’era prima del primo istante? E’ il tempo oscuro del Big Bang. Si vaga nel buio.
E’ curioso: grazie alla fisica relativista sappiamo quasi tutto dell’evoluzione dell’universo in 13,7 miliardi di anni. Ma dell’inizio vero sappiamo poco, anzi nulla. La scienza si ferma, sorprendentemente, solo ad un attimo (in senso letterale) dal Bang. Non è veramente riuscita a penetrare l’inizio.
E’ costretta a fermarsi un po’ di tempo prima. Quanto tempo prima? Un attimo. La cui lunghezza e durata ci sono note: 10-43 secondi dopo l’inizio. Un muro. Si chiama “tempo di Planck”. E’ considerato in fisica la più piccola durata di tempo concepibile: miliardesime di miliardesime di miliardesime volte più piccola di un secondo (c’è anche una misura di Planck che riguarda l’estensione:
 10-33  centimetri: la più piccola dimensione concepibile).
Quando si giunge, con la ricostruzione della storia fisica dell’universo a questa distanza dal Bang, tutto si annebbia: la fisica che utilizziamo smette di funzionare, la matematica salta, le equazioni vacillano, le conoscenze fisiche diventano inservibili. Entra in campo la fisica quantistica, che riguarda ogni cosa microscopica, più piccola dell’atomo, con le sue stranezze. Ma in un modo che fa a cazzotti con la fisica relativistica. Che poi sarebbe quella che ci ha consentito di arrivare così vicini al Bang.
A 10-43 secondi dopo il Bang si manifesta un divieto. Una sorta di “censura cosmica” evita alla scienza di proseguire oltre e penetrare il momento vero dell’inizio. E’ il mistero più grande del Big Bang: il tempo di Planck! Non è incredibile? Della storia cosmica di 13,7 miliardi di anni siamo riusciti a ricostruire quasi tutto tranne quel microscopico tempo di 10-43 secondi.
Cosa succede lì? Possiamo solo congetturare
La fisica ipotizza che lì funzioni un mondo diverso da quello che conosciamo: il tempo e lo spazio sono intrecciati tra loro e non sono distinti; le quattro forze che governano l’universo conosciuto (forte, debole, gravitazionale ed elettromagnetica) sono tutt'uno; le dimensioni non sono quattro (altezza, lunghezza, larghezza e tempo) ma infinite. L’universo del tempo di Planck è un vero guazzabuglio. Definito dai fisici una “schiuma” in cui tutto è confuso e indefinito, avvolge ancora la vera conoscenza del Big Bang.
Direte: ma si tratta di una frazione di tempo così minuscola! Com'è possibile che contenga eventi significativi? E invece.
Non dimenticate che, in quella frazione di tempo, gli eventi sono quantistici. Il tempo non è quello macroscopico che conosciamo. Non è ancora distinto dallo spazio, non scorre, non prosegue inesorabile come una freccia, non è lineare come lo misuriamo coi nostri orologi.
Al tempo di Planck, nella frazione 
di 10-43 secondi, attimo ed eternità non sono distinti, così come non lo sono passato, presente e futuro.
Quel tempo minuscolo, insomma, è anche immenso. Può essere davvero successo di tutto. E avendo a disposizione tutto il tempo per succedere. Speculazione? Non tanto. Il tempo di Planck è un problema fisico reale. Entra negli esperimenti quantistici. E’ una misura effettiva. Che funziona nelle prove quantistiche. E che inquieta i fisici: non si accorda con la relatività. Lasciando così la fisica monca. E irrita i cosmologi: eleva un muro di opacità, mistero e ignoranza sulla vera dinamica del Big Bang. E, soprattutto, lascia spazio a possibili, disturbanti ipotesi creazioniste.
Per Guitton, c’è una seconda lacuna della cosmologia scientifica. Lui la chiama il “miracolo matematico” o enigma delle coincidenze. L’universo esibisce una strana particolarità: le sue leggi appaiono perfettamente decifrabili e traducibili per noi. Ma solo grazie a un particolare: l’esistenza in natura di alcune costanti, numeri inspiegabili, adimensionali e immotivati che combinati tra loro ci rendono i costituenti della materia e le forze che li fanno stare insieme.
Insomma esistiamo grazie a quei numeri. Se anche uno di loro fosse solo leggermente diverso dal valore che ha… noi non ci saremmo. Ad esempio: se la “costante di struttura fine” (la misura dell’intensità delle interazioni elettromagnetiche) fosse solo leggermente diversa da 1/137 (un numero primo e senza decimali) la luce non interferirebbe con la materia e il mondo sarebbe opaco e informe; se la massa del protone non fosse esattamente 1.836,153 quella dell’elettrone o se le cariche dei quark (le particelle costitutive di protoni e neutroni) non fossero esattamente speculari e opposte a quelle degli elettroni, gli atomi non si formerebbero; se la costante gravitazionale di Newton non fosse esattamente pari a 6,67384 moltiplicata per 10-11, ogni corpo fuggirebbe nel cielo da ogni altro e non ci sarebbero stelle e pianeti. E così per altri parametri e costanti in natura.
Da dove vengono fuori numeri così coincidenti? Come può essersi verificato questo misterioso tuning? Può essere frutto del caso? Della lotteria di eventi prodotti solo dalla probabilità? Certo che no. La probabilità che una combinazione plurima vincente di tante costanti, sintonizzate tra loro, si sia realizzata per caso, nel “breve” tempo dell’evoluzione cosmica dal Big Bang, equivale a… zero.
Solo un numero infinito di lanci, in un tempo infinito, della pallina della roulette cosmica avrebbe consentito di realizzare combinazioni così precise di numeri. No. Il caso non spiega! Guitton ha argomenti solidi: o si ipotizza un “miracolo matematico” o non abbiamo spiegazioni. Dilemmi urticanti per la cosmologia ateista. 
Come ci si può atteggiare dinanzi a essi? In due modi: alla maniera di Einstein. Se il cosmo presenta ancora zone d’ombra, dilemmi e misteri, è lecito pensare che ciò avviene perché esistono variabili nascoste, ribatteva Einstein a Bohr e agli ortodossi delle “stranezze” quantistiche, e la scienza non è ancora arrivata a scoprirle.
Un ragionevole esempio di sobrietà scientifica. Hawking, Krauss, Greene e Dawkins hanno sposato la tesi opposta: la realtà non presenta variabili nascoste. Il microcosmo è, realmente, controintuitivo. L’evidenza quantistica non si raggiunge con lo sperimentalismo “classico”. Se è coerente con la “stranezza” intima degli assunti quantistici, una teoria può essere dichiarata vera. Opportunamente interpretata, la fisica dei quanti consente ipotesi accettabili per spiegare, insieme, il mistero dell’origine e quello delle coincidenze. La prova dell’inesistenza di Dio è, rassicurano i neoateisti, a portata di mano. Un irragionevole esempio di eccesso intellettuale. Che, forse, prima o poi, porterà a far fioccare premi Nobel secolarizzati.
Due sono le fascinose e stravaganti ipotesi che la cosmologia neoateista ha ideato per produrre la prova. La prima è la fluttuazione quantistica. Che dovrebbe spiegare l’inizio del Big Bang.
Secondo Lawrence Krauss (“L’universo dal nulla”) la fisica quantistica ha svelato il meccanismo per cui possono darsi fenomeni privi di causa: eventi che sorgono, letteralmente, dal nulla. Effettivamente c’è in fisica quantistica un fenomeno accertato: si chiama “pair production”. Afferma che in uno spazio vuoto può manifestarsi, senza causa apparente, una coppia di particelle, prima “virtuali” e poi “reali”, che sembrano emergere dal niente. Si chiama fluttuazione quantistica del vuoto.
Attenzione: del vuoto, non del nulla. Per la fisica nulla e vuoto non sono sinonimi. Il nulla è banalmente il niente. Il vuoto è, invece, un oggetto fisico reale. Non è il niente. E’ un qualcosa. In fisica quantistica il vuoto è, in realtà, un pieno: di campi di forze e di energia, potenziale e latente. E dunque invisibile. Attraverso la fluttuazione quantistica questa energia potenziale si trasforma, per via della formula  
E=mc2 e senza una causa osservabile o un evento scatenante, in energia cinetica di particelle reali.
Dal vuoto è nato qualcosa. Dal vuoto, appunto. Non dal nulla. Nella fase del tempo di Planck questo può essere successo: che dalle fluttuazioni di un vuoto ricchissimo di energia potenziale si sia prodotto qualcosa.
Quella di Krauss, scrive Amir Aczel, è una “meravigliosa bugia”, un trucco ingenuo per motivare la non necessità scientifica di ipotesi creazioniste: il mondo può essere emerso dal niente, dal nulla. E invece no.
L’energia non si crea dal nulla. All'attimo del Big Bang non poteva esserci il nulla. Preesisteva qualcosa: energia potenziale! Dal nulla non nascono fiori. Ma allora siamo al punto di partenza: chi ha messo lì quell'energia? Come si è prodotto quel potenziale? Krauss non ci fa fare passi avanti. Il dilemma dell’origine resta.
La seconda prova, immaginata dalla cosmologia neoateista, è la teoria del multiverso. Essa dovrebbe liquidare, ad avviso dei suoi sostenitori, il dilemma delle coincidenze. Se nel caso della teoria di Krauss, del qualcosa dal nulla, si trattava di una “meravigliosa bugia” qui impattiamo una vera bizzarria metafisica.
Anche in questo caso i cosmologi neoateisti distorcono, forzano e strumentalizzano un’effettiva, ma reale e verificata, stranezza quantistica: la teoria dei “molti cammini”, secondo la definizione di Richard Feynman, uno dei padri più geniali della fisica quantistica. L’esperimento più enigmatico della fisica quantistica, e quello più noto e praticato, è l’esperimento della doppia fenditura. Esso prova il carattere ambivalente della luce: insieme onda e particella. Lanciate un fotone di luce o una particella subatomica verso uno schermo con su incisa una doppia fenditura. Da dove passa la particella? Da quale fenditura? Il risultato dell’esperimento non lascia dubbi: il fotone o la particella mostrano, inequivocabilmente, di essere passati da entrambe le fenditure. Pazzesco. Come ha fatto la particella a scegliere?
Non ha scelto, afferma Feynman: ha semplicemente percorso istantaneamente tutti i cammini a essa consentiti: è passata da entrambe le fenditure e, anche, da nessuna di esse. Tutti i cammini possibili si sono sovrapposti, dice Feynman. Com’è stato possibile? Ipotesi: essendo un’onda, la particella (pensate a un’onda del mare) non è in un punto preciso, ma si distribuisce su uno spazio esteso. Esperisce, così, tutti i cammini che le sono consentiti, in quanto onda, dalle sue misure: lunghezza, frequenza, altezza. E’ così? Non si sa. Ma è una spiegazione. Che fanno i neoateisti?
Estrapolano questa ipotesi del mondo subatomico e delle sue enigmatiche stranezze e la applicano al mondo macroscopico. Traendone una conclusione bizzarra e metafisica: l’universo intero e tutti gli eventi che in esso avvengono si comportano come una singola particella di luce o di materia: messo davanti alla decisione di una scelta, l’equivalente macroscopico della doppia fenditura, non sceglie! Semplicemente: percorre tutti i cammini a disposizione. Come? Biforcandosi, moltiplicandosi, realizzando ogni possibilità a disposizione. A ogni istante le versioni dell’universo si moltiplicano. In un numero infinito.
Ci sono, secondo i teorici del multiverso, infinite versioni reali di ognuno di noi in universi lontani o vicinissimi (compattati in dimensioni sconosciute) che non si toccano. Infinite versioni di noi, reali e coscienti. Pensateci: fosse vero avremmo realizzato la vita eterna.
Ovviamente non abbiamo indizi o segnali di esistenza di tali universi. Essi non sono osservabili in alcun modo. C’è solo da credere.
Che significa il multiverso per il dilemma delle coincidenze? Semplice. Non c’è più dilemma. Esse non sono dovute al caso e, tanto meno, a un miracolo. Noi osserviamo solo le costanti, i numeri, le combinazioni che, nell'infinita produzione del multiverso, si sono realizzate qui consentendoci di esistere. Ma ogni altra versione dei numeri si è realizzata da altre parti. Non c’è tuning e non c’è il caso.
Decisamente un’ipotesi “dispendiosa”, la definisce Samir Aczel. E decisamente più metafisica dell’ipotesi creazionista.

[Tratto da Il Foglio del 29/6/2015]

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sabato 29 giugno 2013

Piano Evolutivo Cosmico

Nonostante tutto
Preferisco credere che operi un
Imperscrutabile
Piano Evolutivo Cosmico
Piuttosto che pensare che tutto
sia solo determinato dal
Caso e dalla Necessità

.:.

Immagine: http://www.astroala.it/images/didattica/profondocielo/m31.jpg


domenica 2 dicembre 2012

La grande stazione cosmica (Le Passeur) (10)

D'accordo con Urantia Gaia pubblichiamo…

La grande stazione cosmica

Publié le 26 septembre 2011 par Le Passeur

Dal traghettatore (Le Passeur).
Che sia con o senza tamburi né trombette, i tempi in corso introducono un intero nuovo ciclo di coscienza che diventa sempre più difficile, agli addormentati, ignorare. Sono consapevole che il processo di parto di questo ciclo possa rimanere oscuro, malgrado ogni sincero tentativo di capire il “che cos’è”, il perché e il come. Per fare un paragone immaginario, che useremo più avanti, possiamo immaginare che siamo adesso in un luogo che assomiglia a una stazione di smistamento cosmico, un po’ come quella che era rappresentata nell’incredibile film di Stanley Kubrik, 2001 l’odissea nello spazio. Siamo già alle prese con le prime influenze del luogo e ci dirigiamo a tutta velocità verso il suo centro, dove l’intensità sarà al suo culmine, nel momento dell’attraversamento.
Innanzitutto, tutto questo attiene alla fisica. Il nostro sistema solare si sposta a grande velocità nello spazio in mezzo alla sua galassia, la Via Lattea, lei stessa è in movimento nel cosmo. Si trova ora in una vasta zona sottomessa ai raggi. L’intensità di questi raggi – oppure il clima ambiente – lo influenza direttamente. Detto in un altro modo, tutti i corpi celesti e la vita che essi portano sono attraversati da nuovi raggi che hanno un’influenza penetrante su ciascuno. E ognuno comincia a emettere altra cosa. Noi umani sul vascello spaziale terra, o Urantia Gaia, siamo colpiti come tutto il resto dalle particelle nelle quali siamo immerse. Lo siamo fisicamente – il nostro DNA si trasforma – e lo siamo spiritualmente.
Siamo giunti a un punto di questa zona dello spazio in cui il clima locale è tale, che nella nostra realtà terrestre e i veli che separano le dimensioni sono diventati molto fini e permeabili. Se si dovesse rappresentare con un’immagine la nostra situazione, sarebbe un po’ come se ci trovassimo in un’immensa hall di stazione la cui apparenza c’era finora familiare, ma in cui iniziamo, a intermittenza, a percepire in un modo sfuggente delle porte che si disegnano nei muri e delle forme che attirano la nostra percezione. Il punto in cui arriviamo permette che, per un tempo determinato, le porte si disegneranno chiaramente e si apriranno sulle dimensioni di cui sono la nostra soglia.
Se ci ricordiamo che la nostra realtà esiste in funzione di una frequenza vibrazionale, capiremo che ogni porta dimensionale sarà aperta su una frequenza vibrazionale che gli è propria e, visto dall’esterno, l’ambiente nella hall diventerà per un tempo un po’ cacofonico, come un’orchestra sinfonica che cerca l’accordo prima di iniziare una nuova opera. Se ora ci ricordiamo pure che ogni essere emette lui stesso una frequenza vibrazionale dominante che gli è propria, e che tutto funziona secondo la legge della risonanza, è lì che prende tutto il suo significato la frase “ognuno andrà dove lo porta la sua vibrazione.”
Durante questo tempo di passaggio nel punto della zona dello spazio che stiamo attraversando, questo tempo relativamente breve in cui le porte saranno ampiamente aperte, la hall della stazione diventerà naturalmente una stazione di smistamento.
Per risonanza vibrazionale, ognuno andrà verso la porta che si aprirà sul mondo che fa per lui. Non è dunque difficile capire che gli unici, che avremmo ragione di non invidiare troppo, sono quelli che funzionano sul serio con delle energie estremamente basse e distruttive. Quelli andranno, in effetti, naturalmente verso dei mondi tuttora oscuri in cui l’apprendistato è in qualche modo rustico, come ce ne sono nella creazione.
Perché preoccuparsi di cosa potrebbe accadere agli altri? Se ciò che fa, per voi per evolvere in questa vita, è vivere in una casa in riva all’acqua, in un appartamento in città o in una capanna di pastore in montagna, vi preoccupereste della vostra scelta con il pretesto che altri andranno a vivere altrove? E’ una paura infondata. Non c’è ostilità e ancora meno giudizio che presiede alla funzione di questa stazione di smistamento. C’è soltanto ciò che corrisponde a chi siete e quale sarà la destinazione proposta.
Andreste a fare dell’immersione subacquea se l’acqua non fosse il vostro elemento? E avreste qualcosa da temere se al suo posto andiate a fare ricamo o una lunga gita? Esiste una gerarchia in tutto ciò? C’è una frustrazione? Se si, è soltanto il vostro ego che ve lo fa credere. Ognuno nella propria vita quotidiana si sforza di fare ciò che è meglio per lui. Ebbene ciò che succederà in questa stazione di smistamento sarà che ognuno seguirà la destinazione che fa per lui. Tutto dunque va bene. Ogni nozione distillata a destra e a sinistra dalle religioni e diversi altri movimenti settari, che lasciano intendere che ci sono degli eletti che saranno salvati alla fine dei tempi, mentre le masse ignoranti andranno a bruciare in un non so quale inferno, non sono nient’altro che abiette menzogne destinate a rinforzare il potere sugli altri mantenendolo con la paura. Dimenticate questa gente e lasciatela andare liberamente, dove la propria vibrazione la porta.
Nei tempi della rivelazione in cui tutto risale in superficie, non cercate la vendetta o l’espressione di una qualunque giustizia da fare. Su un tale cammino vi smarrireste, con quelli che vi piacerebbe vedere castigati. Qualunque siano le verità che l’umanità verrà a sapere durante le rivelazioni, non c’è altra via che quella di non giudicare e di capire che anche se sembra inaccettabile, è anche da questo che l’esperienza della dualità è potuta esistere. La nostra esperienza di vita sulla terra non è stata quella del tipo che vuole evitare tutto, ma quello che ha incontrato, che ha sperimentato e che ha superato. Come detto nell’articolo precedente: “Sono qui di nuovo poiché so ora ciò che sono altrove.”
Ancora una cosa, non è troppo tardi per niente. Com’è stato detto nel corso di molti articoli, ogni cosa si fa al suo ritmo e questo ritmo proprio a ciascuno è il passo più sicuro per una costruzione solida. Nessuno viene mai dimenticato sul bordo della strada, il tempo impiegato per percorrerla non importa.  Oggi stesso, nell’ingranaggio cosmico del momento, lì in questa hall che si trasforma in una stazione di smistamento, ciò che non è stato superato in ciascuno, può ancora esserlo se tale è la volontà dell’essere nella sua essenza e non nel suo ego. Quando appena più lontano sulla traiettoria della nostra terra le sue porte si racchiuderanno, ognuno sarà in ogni modo lì dove tutto è meglio per la propria evoluzione. Il momento dello smistamento è il punto concentrico dell’incontro della pietra e dell’acqua, da cui nascono le onde in espansione sulla superficie. Questo spazio-tempo in cui le anime si allontanano per famiglie da un punto in direzioni diverse ma unite, è in realtà l’inizio di una nuova avventura eccitante. Tutto questo non vi ricorda niente?
Fraternamente,
© Il Traghettatore – 26.09.2011 – Tradotto da Stéphanie - Versione originale francese
> Altri articoli tradotti in italiano
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domenica 7 ottobre 2012

Incarnare il frutto delle nostre stirpi (Le Passeur) (08)


D'accordo con Urantia-Gaia pubblichiamo...

Incarnare il frutto delle nostre stirpi

Dal Traghettatore (Le Passeur).
La coscienza che si risveglia è il frutto più bello nell’uomo dell’influenza del nuovo ciclo cosmico. Sebbene riguardi tutti, senza nessuna eccezione, non è, in alcun caso, vissuto e fecondato allo stesso modo da ognuno di noi. Il risveglio è totalmente in funzione di ciò che è l’essere,  lui stesso è la somma di tutto ciò che ha integrato o no, nel corso delle sue numerose esperienze di vita, durante la storia delle sue incarnazioni nel ciclo terrestre che si sta concludendo. Poco importa la coscienza spirituale che possa ostentare l’essere, la natura delle sue credenze, del suo mestiere, delle sue fonti di interessi, o della sua “intelligenza” secondo quelli che considerano in modo restrittivo l’intelligenza in funzione ad una semplice e ridicola misura del quoziente intellettuale.
Ciò che conta è ciò che è nella vita.
E’ giusto con gli altri?
E’ onesto con se stesso e con gli altri?
E’ chiaro nel suo modo di essere?
Ha fatto lo sforzo di aguzzare la propria coscienza per capire le conseguenze dei suoi atti e delle sue parole?
Quell’uomo lì presenta le caratteristiche di un essere che è stato in grado di evolvere nel corso delle sue incarnazioni, e grazie alla legge di risonanza  vivrà piuttosto con facilità gli aspetti manifestati del grande cambiamento.
Uno scalino ancora più avanti, l’uomo è consapevole della natura influente dei propri pensieri e delle proprie emozioni?
E dunque ha imparato una certa padronanza?
Esprime il cuore perché E’ nel cuore e non perché ha bisogno di compensare ciò che gli è mancato un tempo.
Detto in un altro modo, ha guarito le proprie ferite più profonde e dunque è stato in grado un giorno di guardarle dritto in faccia?
Costui è fra quelli che con la loro presenza e il loro esempio, più che con l’espressione, aiuteranno i precedenti a salire l’ultimo scalino dove consolideranno la propria autonomia. Il passaggio si farà in modo naturale, non perché c’è un giudizio divino, come tante religioni hanno mentito su questo argomento, ma perché ciò che porta in lui lo rende capace di ricevere ed integrare più luce ancora rispetto a quello precedente.
Prendiamo per semplificare la decisione di chiamare “luce” la nuova energia in cui stiamo entrando. Abbiamo vissuto finora con una piccola lampadina di 3 watt per illuminare le nostre vite e da qualche anno l’intensità della luce è aumentata progressivamente fino ai 30 watt attuali. Era in qualche modo un approccio “con le buone” per darci il tempo di abituare i nostri sguardi a più luce e scoprire un po’ della caverna. Certi si sono preparati a ricevere di più essendo consapevoli del cambiamento, avendo alzato la testa per vedere più lontano grazie a questa luce aumentata e sono diventati così consapevoli di ciò che non vedevano fino a lì. Altri hanno mantenuto la testa bassa, gli occhi inchiodati a “raso terra” sulle routine di cui godono o di cui soffrono senza riuscire a rivelare i segni di un cambio salvatore. Questi sono i più numerosi.
Adesso, stiamo per fare un salto luminoso ed è verso “un sole” che stiamo per girare i nostri sguardi. Che lo vogliamo o no, la nuova luce inonderà la terra la cui frequenza vibratoria si sarà alzata e stabilizzata al livello adeguato del nuovo scrigno che ha deciso di essere e di offrirci. E’ il gioiello magnifico del proprio scrigno e siamo gli invitati privilegiati che accoglie. Bisogna capire bene che non è un colpo di bacchetta magica che rivelerà tutto questo. La terra e tutto il sistema solare attraversano una zona del cosmo che è l’oceano in cui tutto è immerso in questa luce. Noi che viaggiamo sul vascello Urantia-Gaia abbiamo dunque approdato le periferie illuminate di questa zona, qualche anno fa, e il salto di cui parlo sarà dell’ordine della luce che scaturisce alla fine di un’eclisse. Si parla né più né meno di una trasmutazione.  Dunque, questa luce sarà qui per tutti e ognuno riceverà ciò che è in grado di assorbire da questa energia colossale, ciò che avrà un po’ la funzione naturale di distribuire le destinazioni secondo ciò che ognuno può assimilare. Si capisce, una buona parte di quelli che non hanno fatto il necessario durante le proprie numerose vite per prepararsi a accogliere tale energia non la sopporteranno. Andranno quindi presto o tardi a  completare la propria esperienza lì dove la propria vibrazione li porta, fino al giorno in cui al loro turno saranno pronti a evolvere col favore di un nuovo ciclo.
Nel frattempo, quelli che vogliono ancora oscurare tutto quaggiù e gli incoscienti che servono i loro interessi, per avidità o per indifferenza, proseguono la distruzione metodica della terra. Non faremo l’inventario, ci vorrebbe una vita, ma mentre in un grande silenzio mediatico la contaminazione nucleare venuta dal Giappone e l’inquinamento petrolifero dal golfo del Messico vanno avanti, una moltitudine di zone di inquinamento e di distruzioni intensive brulicano un po’ dappertutto sopra e sotto la superficie di Gaia.  E’ così da più di un secolo e l’impresa di sabotaggio diventata metodica e crescente in questi ultimi decenni è ora demenziale. Bisogna vedere con lucidità che la maggior parte degli esseri umani se ne disinteressa, dal momento che siano in grado di consumare l’energia necessaria al superfluo che decora le loro esistenze.  E’ un fatto, e ci sono delle conseguenze. Questa incoscienza e questa indifferenza alle leggi di armonia che prevalgono nei mondi evoluti fanno che all’ora in cui una nuova energia di vita sostituisce la vecchia,  l’ante-umanità dovrà in una maniera o nell’altra conoscere un riequilibrio della bilancia. Tutto ciò è affare di equilibrio delle energie in gioco, in nessun caso di morale e ancora meno di castigo. Tutt’al più la morale è in questo senso il riflesso della legge universale tradita.
Ci sono diversi modi di riequilibrare i meccanismi di scambi tra i regni viventi tra cui il pianeta, in quanto entità, non è il minore. L’uomo, già, può diventare consapevole e cambiare attitudine. E’ ciò che sta accadendo, ma purtroppo non per la maggior parte e con un ritmo troppo lento per bastare a che tutto si svolga con dolcezza, prima del grande salto programmato. Gaia invece è lei stessa maestra a bordo e sta manovrando. Tenendo conto dell’ambiente generale e delle enormi eggregore negative accumulate dall’umanità nei suoi strati aerei e sotterranei, le valvole abituali probabilmente non basteranno, ed è molto probabile che dovrà aggiustare le energie in maniera più drastica.
Non ho un’idea ben precisa di quello che sarà, e spero ancora che ciò che fu annunciato molto tempo fa e confermato diverse volte da allora non succederà. C’è urgenza ma sono certo che fino all’ultimo momento, prima che le lancette si posizionano facendo click sui quadranti del grande orologio cosmico, è ancora possibile cambiare anche solo un po’ l’ordine delle cose. Fino alla fine, le linee del tempo possono essere saltate individualmente e collettivamente. Ecco perché bisogna tuttora avere una fede creatrice  in questa possibilità. Vedo troppi esseri in risveglio rallegrarsi di ogni nuova catastrofe naturale in cui vedono il segno del grande finimondo. Non è un’attitudine responsabile, non fa che contribuire alla confusione delle anime che la nutrono e alla paura di quelli che scoprono la situazione senza averne l’illuminazione.
Invece di aspettare il cataclisma maggiore che verrà contando ogni giorno i punti, è senza alcun dubbio più costruttivo girarsi in sé verso il mondo della pace e dell’armonia che si spera vedere sorgere dalla luce, ancorandola in ogni istante del suo quotidiano, attraverso lo sguardo che portiamo su tutto e le mani che ci posiamo con amore. Non basta proclamare ciò che si vuole, bisogna vederlo realizzato e sostenerne con perseveranza l’intenzione. Qualsiasi cosa sia, fate tutto quello che fate amando ciò che fate, e qualcosa d’immenso arriverà in voi e per tutti. Forse non è troppo tardi per addolcire la transizione collettiva.
Le parole veicolate dal “New Age” sono state spesso ingannatrici e non a caso. Si parla sempre di ascensione, ciò che alla fine rimanda sempre all’idea che si scala verso qualcosa di più alto, di più etereo. L’ascensione è soltanto quella della frequenza vibrazionale che si accorda (o si sintonizza) su una dimensione anch’essa più alta in frequenza. In realtà, nell’incarnazione, abbiamo a che fare con una discesa. Ai fianchi degli altri regni viventi di cui è la semplice natura, ogni artigiano della luce in questo mondo è il ripetitore della sostanza di energia che tira dall’alto al basso. Ognuno riceve e emette la propria firma energetica che è il frutto della sua storia e delle sue stirpi stellari che viene a incarnare qui. E’ dall’alto che portiamo in ogni cellula dei nostri corpi e di quello della terra una parte della luce che illuminerà il prossimo ciclo di Gaia e di tutto ciò che porterà in quel momento.
E’ un ancoraggio profondo e solido che si effettua di cui siamo i traghettatori talvolta consapevoli e spesso inconsapevoli. Poco importa il modo con cui l’immaginiamo, possiamo visualizzarlo come vogliamo, ciò che conta è materializzarlo nelle nostre vite e in ogni giorno concretamente, e di smettere di aspettare segni e di divulgare belle idee, delle grandi parole e dei concetti eterei che risonano soltanto nel nostro immaginario e mai nei nostri atti.
Non ho niente contro l’immaginario, al contrario, vedo sempre di più fino a che punto è uno dei modi di espressione favorito dalla propria anima quando prova a comunicarci qualcosa. Ma perfino l’immaginario può ancorarsi e dunque perfettamente incarnarsi nella materia. Verrà un momento in cui ogni cosa sarà percepita dai diversi piani con i quali interferiamo direttamente, e ci modelleremo il nostro posto in coscienza. La vita è dappertutto e riveste  tante forme che è un fuoco d’artificio, le dimensioni che ci circondano sono multipli e la nostra multidimensionalità ne investe una parte tra cui certe sono accessibili fin da oggi. Come i racconti per bambini l’hanno sempre detto, basta credere per vedere…
Fraternamente,
© Il Traghettatore – 04.09.2011 – Tradotto da Stéphanie - Versione originale francese
http://www.urantia-gaia.info > La riproduzione di quest’articolo è autorizzata a condizione di non associarlo a fini commerciali, di rispettare l’integralità del testo e di citare la fonte.


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