Stimoli per lo Sviluppo della Coscienza Umana. Cultura: Arte, Scienza, Religione. Corpo, Mente, Anima, Spirito. Inconscio, Supercosciente, Transpersonale. Psicosintesi, Psicoenergetica, PsicoQuantistica. Etica. Blog BioPsicoSpirituale di Salvatore Caruso Motta. .:. Agenzia WolFox .
domenica 6 gennaio 2013
Essere in questo mondo, non è essere di questo mondo (Le Passeur) (12)
lunedì 4 giugno 2012
L’aspetto spirituale dell'Austerità
Bollettino 2012 N° 2
La gioia più grande emana dall’austerità.
- Serie Agni Yoga
L’austerità economica può essere una “benedizione mascherata”.
Se consideriamo il sentiero della rinuncia auto-imposta alla ricchezza materiale per scopi spirituali, possiamo trovare lezioni importanti che aiuteranno l’umanità a evitare gli estremi del lusso e della povertà che attualmente affliggono il mondo.
La storia dimostra che tempi di austerità possono riuscire a trasformare popoli e nazioni. Per esempio Sparta, la città-stato dell'antica Grecia, è diventata famosa per la bravura militare dei suoi cittadini attraverso il loro stile di vita austero. Dal nome di tale città, la parola “spartano” si è evoluta ed è ancora oggi usata per denotare la frugalità e l'auto-negazione. Ironicamente, è proprio la Grecia sta oggi vivendo alcune tra le più gravi difficoltà economiche e che viene sottoposta a “programmi di austerità”, ma lo sono anche molti altri paesi oberati dai debiti.
Poiché questa contingenza economica sta portando sacrifici a così tante persone, austerità è una parola che pochi vedrebbero in luce positiva, associandola principalmente con lo squallore economico, la perdita dello standard di vita cui si era abituati, e tutto senza che si profili alcun obiettivo di compensazione. Ma c'è un altro tipo di austerità che, se volontariamente applicato, ha un valore incomparabile nel perseguire l'obiettivo spirituale. Naturalmente, questa è ben magra consolazione per coloro che sono attualmente privati di mezzi per vivere dignitosamente, ma l'importante differenza è che l'austerità spirituale è applicata per libera scelta – in questo caso non è dunque un'imposizione sgradita. Qui non si vuole indicare la strada dell'ascesi o del praticante raja yoga a tutti coloro che stanno soffrendo dell'attuale crisi economica mondiale, ma è interessante riflettere sulla pratica dell'austerità nella spiritualità per vedere se può esserci almeno qualche ricompensa spirituale per chi ne è colpito.
“Praticare l'austerità” in sanscrito si definisce “Tapasya”, e per mezzo di esso lo yogi lavora per liberare la propria mente dai desideri mondani, ripulendo uno spazio all'interno dei quale la secolare accumulazione di forze che lo tengono avvinto al mondo fisico viene “bruciato”, consentendo alla coscienza di salire senza impedimenti verso l'obiettivo spirituale prefigurato. Tapasya letteralmente significa bruciare o surriscaldare, diventare, come recita un'affermazione spirituale, ”un punto di fuoco sacrificale focalizzato all'interno dell‟ardente volontà di Dio”. Il sentiero dello yogi può essere troppo estremo per la maggior parte delle persone, ma un certo controllo o limitazione dei sensi e degli appetiti materiali è essenziale per creare lo spazio interiore necessario a esplorare la propria vera identità. I ritiri spirituali stanno diventando sempre più forme popolari per sviluppare Tapasya, spesso provvedendo il silenzio e il digiuno nel proprio regime. Praticare l'austerità prevede una scelta cosciente di sopportare alcuni privazioni senza lamenti, attaccamento o avversione. Fondamentale è lo stato della mente quando si decide di sottoporsi a questa osservanza.
Fino a quando non si abbraccerà coscientemente e non si percorrerà gioiosamente questo sentiero di austerità spirituale, le coppie di opposti continueranno a somministrarci dure ma eque lezioni. Perché il cambiamento sociale e, in definitiva, l'evoluzione si verificano attraverso le calamità e le crisi, se non riescono attraverso la scelta consapevole. Quindi è meglio imparare le lezioni della dualità e scegliere quanto prima la via di mezzo, e poi, una volta scelta coscientemente, la gioia potrà accompagnare l'azione del rilascio dal fardello delle cose materiali. Le attuali misure di austerità quindi hanno del potenziale positivo nel ridurre l'eccessivo consumismo e nel guidare la gente a pensare più creativamente al futuro.
Ci sono molti esempi di persone e gruppi che stanno indicando la via in quest'area. Il Voluntary Simplicity Movement fondato da Duane Elgin, ad esempio, chiama l'umanità a smetterla di vivere con il pilota automatico e a effettuare deliberatamente scelte di cambiamento della vita. Questo implica liberarci dalle attività non essenziali che permeano la vita moderna, così da rendere possibile il vivere secondo i nostri più importanti obiettivi e valori. Le priorità della nostra cultura consumistica e orientata al lavoro spesso vanno in direzione opposta a ciò che ci arricchiste e ci ispira. Le vite “semplificate”, dicono, spesso sono esaltate dalle scelte di ridurre i consumi, e di volgersi ad attività che hanno un effetto positivo sui rapporti, la vita familiare, il servizio e l'ambiente.
Non è troppo idealistico che molte persone oggi siano profondamente preoccupate del benessere degli altri sul pianeta in un modo che non si era mai avuto prima. Per soddisfare i bisogni che comporta questo nuovo riconoscimento in evoluzione del vivere in un “unico mondo”, è essenziale che i valori e le qualità spirituali come giustizia, compassione e fratellanza non siano più soltanto astrazioni, ma si trasformino nella trama del tessuto della vita di tutti i giorni.
L'interiore e l'esteriore, il mondo soggettivo e quello oggettivo devono essere collegati a formare un tutto – rapporti umani, sistemi economici, sociali ed ecologici – in modo che tutto quello che si manifesta nel mondo esterno del vivere quotidiano sia diretto coscientemente da un apprezzamento soggettivo della completezza, dell'unicità dello spirito umano e della condivisione nella Vita Una.
Da questo è possibile comprendere che la benevolenza e l'austerità spirituale sono un'unica e sola cosa. Per i più ricchi nel mondo, coloro che hanno educazione, vocazioni e abilità, le azioni benevolenti stanno diventando sempre più comuni, come testimoniano i tanti atti di generosa donazione e servizio, che piantano i semi perché emerga un modo di vita più disciplinato, altruista e soddisfacente. Per alcuni di questi donatori e filantropi questo dare forse non significa sacrificio personale, e forse è solo una percentuale del reddito, che non incide realmente sulla qualità della vita. Tuttavia, l'attuale tendenza mostra che molti di coloro che danno si stanno personalmente coinvolgendo nella distribuzione del loro denaro o delle loro abilità, e stanno scoprendo i primi barlumi della gioia divampante che caratterizza il sentiero della vera austerità.
Man mano che quest'attitudine si intensifica in una vita governata dall'energia della buona volontà e della compassione, soffrendo in termini di perdita personale e negazione, automaticamente decade per essere sostituita da un impegno positivo con il mondo e l'identificazione con l'anima di tutti.
L'obiettivo da raggiungere supera tutto il resto, e a caratterizzare la coscienza arriva un perfezionamento e una semplificazione della vita personale per vivere per il bene degli altri e di tutto ciò che vive sul pianeta. La coscienza di una tale persona di buona volontà è quindi saldamente trasformata nel fuoco di Tapasya, poiché essa ha messo un piede, anche se involontariamente, sul sentiero del vero yogi.
- http://www.lucistrust.org/it/service_activities/world_goodwill
domenica 3 giugno 2012
Al di là dell’illusione si aprono i veli (Le Passeur) (04)
Al di là dell’illusione si aprono i veli
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martedì 1 maggio 2012
Wesak 2012
Sappiamo che tutta l’energia del 2012 ci sta accompagnando fedelmente a rompere tutte le nostre vecchie cristallizzazioni, che, sia sul piano individuale che su quello dell’Umanità intera, appartengono al nostro passato e rischiano di costituire delle zone d’ombra per il nostro futuro.
Fonte: www.coscienzaetica.it/:
mercoledì 11 aprile 2012
Perché un'associazione spirituale viva (di Massimo Scaligero)
Quasi mezzo secolo fa, nel 1963, veniva data alle stampe una delle opere più intense e luminose di Massimo Scaligero: Dell’Amore Immortale.
Nata da una profonda esperienza personale e interiore, l’opera è dedicata all’Amore spirituale e a tutti coloro che consapevolmente o inconsciamente vi anelano, e contiene due appendici di enorme importanza per comprendere il significato e la grandezza dell’opera del Maestro:
- La fonte di questo insegnamento e
- Perché un’associazione spirituale viva.
Se nella prima vengono indicati ai discepoli i rischi dell’intellettualismo e della ‘sistemazione dialettica’ della Via spirituale - che non è sapere, anche se passa attraverso la mediazione del sapere, ma è movimento interiore dell’anima umana individuale che si desta - nella seconda, riportata integralmente qui di seguito, viene messo in guardia chiunque voglia intraprendere la via dell’indagine spirituale insieme ad altri ricercatori, sui pericoli e gli inganni in agguato in ogni forma di associazionismo spirituale o presunto tale.
Un testo nato da intime e dolorose esperienze personali, ancor oggi attualissimo. Un prezioso decalogo per chi riconosca che un lavoro comune fondato sulla fedeltà allo Spirito e sulla fraternità verso i propri compagni di percorso, non può che essere “l’esperimento di una relazione umana tra esseri che già unisca una sintonia secondo il superumano”.
Prefazione di Piero Cammerinesi
PERCHÉ UN’ASSOCIAZIONE SPIRITUALE VIVA
da Dell’Amore Immortale
di Massimo Scaligero
Perché un’associazione scientifico-spirituale viva, le occorre ogni giorno la materia prima che ne giustifichi l’esistenza: lo spirito. Quando questo venga meno, l’associazione può sussistere solo in quanto qualcosa che non è lo spirito ne prende il posto, tuttavia continuando a operare come fosse lo spirito. Anzi, allora appunto opera con la sicurezza propria a tutto ciò che si fonda sulla propria esteriore organizzazione.
L’associazione è l’esperimento di una relazione umana tra esseri che già unisca una sintonia secondo il superumano. Poiché l’associazione consegue al riconoscimento concorde di un’ascesi, proprio per questo non può essere il presupposto dell’attività ascetica.
L’organizzazione non può prevalere sull’idea. Il modo di organizzarsi non deve condizionare il lavoro spirituale, non deve essere ciò che suscita le coesioni o i contrasti spirituali. Il modo di organizzarsi fa parte dell’attività spirituale, nella misura in cui si attui come ricerca della forma esteriore, e non come ciò che possa indicare o determinare i valori. Compito difficile, richiedendo la presenza del conoscere di cui ci si ritiene portatori per il fatto dell’associarsi: onde ininterrottamente la modalità esteriore venga distinta dal contenuto interiore.
Le coesioni e i contrasti, infatti, dandosi come moti dell’anima, non possono che riferirsi ai temi della conoscenza e alle forme dell’ascesi: non dovrebbero mai impegnare lo spirito e condurlo a tensioni inferiori. Ma se questo avvenga, avviene per essere conosciuto, e conosciuto per essere superato, per virtù di slanci più profondi, che sono momenti ulteriori dell’ascesi che si persegue.
La modalità organizzativa in quanto tale esige soltanto soluzioni logiche, in ordine a intese che siano forme della basale intesa interiore. Se la modalità organizzativa suscita contrasti, non va commesso l’errore di credere che il motivo sia appunto il modo dell’organizzarsi, ma occorre avvertire che nell’ordine spirituale qualcosa non va, e soltanto il riveduto rapporto con esso può illuminare il senso delle divergenze. Le quali dovrebbero essere contemplate come segno dell’ulteriore lavoro spirituale, non come ciò che deve divenire valore spirituale: non come ciò che deve determinare movimento ulteriore dell’associazione.
Ma è chiaro che un simile rapportare il fatto al pensiero intuitivo - che è l’insegnamento della Filosofia della Libertà - può essere il compito di orientatori secondo lo spirito. E non sempre gli organizzatori, i propagatori e i dialettici sono coloro in cui lo spirito esprime il suo potere di orientamento.
Si tratta del fatto associativo più difficile, perché non può avere basi nel mondo che esiste, ma in quello che verrà, ossia fuori del mondo che già esiste. Basi che vanno ogni giorno ricreate, essendo puramente interiori; mentre le associazioni ordinarie sono possibili su basi che sono il passato dell’umanità, la società quale già è, il mondo già fatto, la necessità esistenziale, la natura.
Un’associazione spirituale è un organismo invisibile che si proietta sul piano visibile come forza risolutrice dei contrasti propri alla relazione egoica: contrasti che sono previsti, anzi necessari come materia dell’opera unificatrice, e come sostanza dinamica dell’azione associativa.
Ma avviene sempre che la relazione egoica prevalga, e imiti lo spirituale, per sussistere in quanto stato di fatto egoico in veste spirituale: che è l’unificazione astratta, organizzativa o accademica, propria alle associazioni profane. Ciò si verifica per l’affievolimento delle coscienze, in quanto l’insegnamento originario venga via via trasformato in formule, in regole, in sentenze, in nozioni particolari, di cui si fanno propinatrici persone che furono vicine al “maestro” e che assumono la funzione di maestri riguardo ai nuovi venuti, trasmettendo qualcosa che vorrebbe valere come un insegnamento più riservato e più efficace di cui si presumono depositari: con ciò distraendo il discepolo dal contatto con il vero insegnamento: che può vivere soltanto in quanto divenga esperienza, e come tale produca la continuità inestinguibile.
Ciò che può essere insegnato deve produrre tale continuità: non può essere accademica filiazione, bensì il fiorire di un ramo dell’albero sempre verde.
L’insegnamento originario non patisce organizzazione scolastica o accademica, che non sia mediazione di continuo riconosciuta, e perciò o superata o estinta: di continuo ricreata dall’intimo come un ideare inesauribile. Onde l’organizzazione abbia l’esistenza unicamente giustificata dalla presenza di ciò che deve essere organizzato.
Allorché l’organizzazione presume impersonare l’idea, per cui la sistemazione e la formulazione esteriore tendono a valere nella loro astratta determinazione come il segno tangibile dell’idea, questa è stata smarrita, e un altro contenuto opera al suo luogo. Si agisce riguardo alla dottrina originaria secondo il “realismo” proprio al sapere attuale, a cui sono sufficienti la sistemazione logica e l’astratto apprendimento perché le sue verità siano trasmesse, essendo “cose”, non idee viventi.
L’associazione spirituale si inizia per lo spirito e, a un dato momento, prevalendo in essa gli organizzatori, diviene inavvertitamente condizione allo spirito. O si è in essa o non si è nello spirito, come se lo spirito fosse luogo, accademia, situazione esteriore. È l’ideale di coloro che identificano lo spirito con un fare spirituale, come se vi fosse un fare che potesse essere vero fuori dallo spirito.
In un organismo spirituale, l’idea in quanto vivente, ossia in quanto forza formatrice, giustifica la forma: altrimenti la forma è già alterazione dello spirituale, proprio perché forma ortodossa, fedele ai dettami custoditi come principi, come tradizione; in cui non la libertà determina il lavoro associativo, ma la legge, che dovrebbe riguardare solo il modo associativo. La legge, che ha sempre la facies della moralità, non la moralità.
Il mondo esteriore ha bisogno di leggi, regole, istituzioni: sono quelle leggi che, invecchiando mentre l’uomo cammina, costituiscono la forza dei “farisei” di ogni tempo, e il motivo della lotta ideale dei pochi che in ogni epoca tendono a rinnovarle, pur obbedendo ad esse.
Diversa è la situazione di un’associazione spirituale, dato che la sua regola è per un incontro umano che rifletta l’incontro interiore: non contempla la mera convivenza esteriore.
Essa è un evento sovrasensibile a cui si intende dare supporto umano. Vi confluiscono due forze: uno “spontaneo” impulso a incontrarsi, e la determinazione cosciente nello sperimentare lungo il tempo l’incontro. A questa esperienza si tenta dare organizzazione esteriore: giusta, necessaria in quanto sia sempre il convergere delle due forze accennate.
A differenza che nell’associazione ordinaria, nella quale il principio o la regola dell’associarsi vengono dedotti dal fatto associativo, nell’associazione spirituale questo è la conseguenza di un lavoro interiore e, riguardo a ciò che presenta di contingente e di umano, diviene materia di un cosciente sperimentare. In tal senso esso può essere regolato da uno statuto di volta in volta rinnovabile, e le cui idee sono il segno della relazione morale conseguita. È tuttavia un regolamento che riguarda unicamente le modalità dell’associarsi, fuori della pretesa che esso valga a determinare il significato o il valore del lavoro spirituale.
La società essendo anzitutto una “fratellanza invisibile”, non è detto che la società visibile la incarni veramente, essendo questa una meta, non un punto di partenza. Non dovrebbe commettersi l’errore di credere che la società sia vera solo per il fatto che esiste: il suo esistere è appunto il limite che l’idea, in quanto viva presenza, risolve. Altrimenti si cade nell’astrattezza della moderna sociologia, per la quale il dato di fatto è il principio dell’indagine, ignorando l’attività interiore che pone il dato di fatto, e consente l’indagine: onde la realtà sociale è ridotta al suo più pedestre livello, ossia a meno di ciò che essa stessa è come esperienza sensibile.
Non dovrebbe essere commesso l’errore di credere vera la società esistente, vera potendo essere soltanto quella che si fa e dovrà farsi. Non può essere vera quella la cui organicità sia reale in quanto conforme allo statuto, per cui chi è in ordine con lo statuto è in ordine anche spiritualmente.
Un’associazione spirituale non può che essere accordo di anime secondo l’esigenza della libertà attuata come momento vivente del pensiero. Ma anche in tal caso l’accordo non è qualcosa di già fatto, bensì da farsi. L’aspirazione alla libertà è un evento che va attuandosi: non è un fatto, o una cosa che si abbia una volta per tutte: è la creazione sempre nuova, perché ogni volta rivelante il suo segreto.
Principio per la cui inosservanza anche i migliori si perdono, anche i migliori divengono meccanizzatori dello spirituale.
L’associarsi è un tendere a coltivare lo spirito di comunità, in quanto si sia individui singolarmente operanti per lo spirito. La cooperazione individuale è la vita dell’associazione: così la fraternità coltivata nell’esperienza della comunità diventa potenza dell’individualità, perché è la prova obiettiva dell’egoismo. L’essere insieme con gli altri e dimenticare se stessi, attuando ciò non per diminuzione di coscienza di sé bensì per suo ampliamento, è la più alta educazione dell’“io”: dato che ordinariamente l’essere insieme di gruppi o crocchi o associazioni, è sempre inevitabilmente per il denominatore comune inferiore. Sempre ciò che v’è di più basso li unisce.
Il pericolo è perciò l’inversione del reale processo unitivo, ossia il ricadere nell’“anima di gruppo”: quella che caratterizza le associazioni profane e i partiti: nei quali occorre la rinuncia alla libertà interiore perché si dia la partecipazione degli individui, e in tal senso il loro accordo. (I partiti e le associazioni profane, su un piano di ingenuo realismo o di esteriore primitivismo, sia pure intellettualmente brillanti, preparano oscuramente un impulso alla comunità, mediante la cooperazione di esseri non ancora realmente pronti all’esperienza cosciente dell’individualità e della libertà: impulso la cui interna positività può essere assunta concretamente dallo “Spirito del tempo” ( “l’Antico dei giorni” della Bhagavad Gitâ - ove questo possa operare attraverso i preparatori delle vere comunità).
Onde seria è la responsabilità dell’associazione spirituale che venga meno all’impegno per cui è sorta, in quanto non fornisce al mondo che si va organizzando in gruppi, in associazioni, in comunità, il modello che gli urge: anzi, ne imiti inconsapevolmente l’interno modo di associarsi: politico, diplomatico, fatto di abili combinazioni di coesioni e di consensi.
Il movimento esoterico deve essere la condizione del movimento associativo. Quando coloro che presumono dirigerlo non sono qualificati ad attuare un simile rapporto, è inevitabile che il contrasto interno si verifichi nella forma di contrasto umano.
La ragione per cui un’associazione spirituale possa avere contrasti interni andrebbe riconosciuta come la conseguenza dell’intendimento dei suoi componenti di superare tutto ciò che possa presentarsi come contrasto dovuto al fatto dell’associarsi.
Il contrasto è sempre il segno di ciò che deve essere conosciuto, e che si chiedeva di conoscere come ciò che va superato: esso non può che essere risolto da soluzioni esteriori come separazioni o alleanze: forme di una crisi che non si sa cogliere nel mondo delle idee. Crisi di metodo, o della formazione interiore, crisi della giusta ispirazione, o della comunione con l’insegnamento originario.
Ma le soluzioni esteriori sembrano superare la crisi, la quale permane sotto lo strato degli accomodamenti, delle dichiarazioni di fraternità, delle riprese accademiche, delle conferenze, delle manifestazioni ridondanti di fasto attivistico-organizzativo e di spirituale esibizione.
Quando si ritrova l’accordo che è il fittizio accordo, perché fondato non sull’intesa spirituale ritrovata attraverso il sacrificio e la conoscenza, bensì su accomodanti compromessi, ossia su coesioni che sembrano interiori ma sono mondane, su accostamenti umani che non sono segni di incontro spirituale ma di egoico interesse: un simile accordo sarebbe meglio che non ci fosse.
È l’accomodamento della natura umana, assetata di soddisfazione spirituale, bramosa di incensare e di essere incensata: l’accordarsi della natura, mediante le forme dialettiche capaci di rivestirne le tendenze, con ciò che dal basso domina il mondo attuale. È l’accordo secondo convenienza.
Quando la “conformizzazione” è in atto, e la volontà individuale automatizzata dall’insegnamento accademico, i soci tengono allo statuto - a quello già esistente o a quello da riformare - come a ciò che è più importante: per poter dipendere da esso, per essere in una regola a cui conformare l’organizzazione che, in quanto insieme di membri, viene considerata organismo spirituale. Sempre per la tentazione di fissare lo spirito come una cosa che possa tenersi in mano e non abbia a sfuggire, e sia riferibile a un luogo, a una sede, a un gruppo, a un conferenziere che porga le verità come oggetti palpabili e conservabili.
La materia della scienza spirituale viene allora scambiata per l’idea che in tale materia si esprime come nella contingente sua forma: il sapere viene preso per il conoscere. Non si è teso a vivere nel moto di pensiero che si è proiettato in quella forma: impegno che non va richiesto ai principianti e ai meno provveduti, ma certamente a coloro che presumono dirigere l’associazione.
Ora avviene che proprio i meno provveduti riguardo a tale esigenza, in quanto più provveduti del “realismo” o senso organizzativo della cosa, o della materia scambiata per l’idea, i più provveduti di quel patente sapere che persuade gli ingenui o i primitivi, epperò del talento pratico e dialettico richiesto dal profano modo di associarsi del mondo attuale, dov’è richiesto tutto fuorché una gerarchia dei valori: avviene che proprio costoro prendano le redini del movimento.
Quando i dirigenti di una presunta associazione spirituale tengono alla loro funzione di dirigenti e ad avere le fila del movimento, e giungono perfino ad adoperarsi per conseguire ciò, e inoltre si impegnano a provvedere a tutte le manifestazioni esteriori e accademiche che convincano riguardo alla verità o alla necessità del loro insegnamento, cercando di smorzare le voci discordi e di documentare di volta in volta l’immancabile buona riuscita delle manifestazioni, secondo uno stile politico ormai generalmente invalso: è chiaro che il movimento che essi dirigono non è più movimento spirituale ma qualcosa in cui è in atto l’alterazione del contenuto originario, in una forma più seria che quella materialistica, svolgendosi sotto l’insegna dello spirito. Nella veste del sovramateriale, esso è lo stesso movimento dialettico del materialismo: che suscita sentimenti di fede, non atti di pensiero; emozioni personali, non idee; visionarismo, non visione; nozioni e argomentazioni, non conoscenza: la conoscenza non potendosi disgiungere dalla libertà.
È il surrogato dello spirito che, affermato, propagato e voluto con la facile volontà con cui si tende alle cose fisiche, dona anche forze. Ma sono forze che potenziano l’ego. Forze con le quali si acquisisce autorità sui nuovi discepoli, ai quali si insegna la libertà dialettica, ma si toglie la libertà, perché li si vincola con una serie di norme, sentenze, doveri, rivelazioni, formule di un’ortodossia avuta in retaggio e fissata una volta per tutte, per giudicare chi sia o non sia nella cittadella dello spirito.
Donde uno stato inconsapevole di presunzione nei riguardi degli altri, nei riguardi di dottrine o correnti che non si è avuto neppure la correttezza di conoscere: e una mania di convertire il prossimo in quanto si presume essere portatori di ciò che può migliorarlo. Mentre solo il nostro miglioramento, se è vero, può migliorarlo.
Nell’associazione spirituale, il mondo dei semplici, degli umili o degli sprovveduti - quello che va ordinariamente a costituire la massa di manovra dei politicanti di tutte le correnti - può essere aiutato soltanto da coloro che abbiano il coraggio della fedeltà all’idea originaria e perciò attingano all’inesauribile.
Perché il bene è l’idea che si attua e il male l’idea che non si attua. Il male è il fatto che vuole operare in luogo dello spirito, ed apparire il bene afferrabile: come cosa. Che sarà sempre illusoriamente afferrata.
Il male è tutto ciò che come fatto, istituzione, organizzazione e natura, opera in luogo dell’idea originaria, in quanto il suo essere fatto si traduce immediatamente in valore interiore per via di forze che di esso consentono all’uomo soltanto l’apparire sensibile. Mentre l’apparire è il limite di un movimento ab interiore, che lo spirito dovrebbe riconoscere come proprio: non il limite che condiziona lo spirito.
Un’associazione spirituale che creda di operare spiritualmente in quanto spaziale e temporale fatto associativo, è già un’associazione contro lo spirito. Essa non può fare lo spirito, bensì lo spirito fare di essa qualcosa. Non possono essere gli organizzatori esteriori dell’associazione i produttori dello spirito che giustifichi l’organizzazione, ma solo esseri che coltivino l’iniziazione, con ciò essendo i veri organizzatori: non condizionati né dall’appartenere all’associazione né dal non appartenervi: soprattutto non affetti dalla brama di essere dirigenti dell’associazione.
L’associazione deve avere il suo corpo, il suo organamento, la sua vita esteriore: ma l’associazione che si coltiva nell’invisibile, non quella per la quale la determinazione visibile sia divenuta ragion d’essere.
In verità, lo spirito non soffre obbligazioni, o schemi umani: esso è come “il vento che non si sa dove vada né d’onde spiri”: per cui là dove la norma e la legge non gli chiudano il varco, ma siano la norma e la legge che esso ogni volta esige e crea, esso è presente per una consequenzialità estremamente semplice. Là dove trova ostruzione, esso non potendo passare, cerca altre vie.
Non avendo passaggi obbligati, il suo sentiero è quello dell’infinita libertà.
Il male è l’idea che non si attua, il bene l’idea che si attua. Il male è l’idea che si finge attuata: il fatto che si scambia per l’idea, e il relativo modo di pensare e operare di cui tale scambio ha bisogno: cioè l’attivismo, che sostituisce l’attività del pensiero.
Onde il gruppo, o l’associazione, ritorna il gruppo o l’associazione non afferrabile realiter: esso si ricostituisce con coloro che permangono fedeli all’idea primamente intuita. Esso può anche affiorare come gruppo visibile che fuori dell’accademia svolge la sua opera, non definendosi, non tagliando né facendo ponti, non cercando alleanze né contrasti: lasciando liberi nella loro decisione coloro che hanno bisogno di segni esteriori per conoscere termini o confini dello spirito.
Il gruppo o i gruppi si riformano secondo incontri dell’anima e comunioni individuali: si riaffermano anche come organismi esteriori, per virtù del loro ritrovare la forma invisibile. Essi sono l’associazione spirituale che, per esistere, non ha bisogno della determinazione esteriore: ma perciò la sua determinazione esteriore può essere la forma visibile dello spirito: onde l’associarsi non sia il modo di sfuggire lo spirito. Perché soltanto dove lo spirito non viene sfuggito è la fraternità.
L’associarsi, come fatto esteriore, è già un moto di fuga dallo spirito da cui sorge: che dallo spirito deve essere ripercorso perché sia effettivamente il suo movimento. Onde sia il moto della fraternità da cui muove, non la finzione della fraternità, in cui immediatamente cade. Che per ora è il livello in cui la fraternità sta lottando per sbocciare nel mondo.
Massimo Scaligero
.:.
[Riceviamo da Vittorio e volentieri pubblichiamo]
sabato 24 marzo 2012
Siamo Tutti in Prigione
L'illusione, che attualmente avvolge l'umanità in una fitta nebbia, nasconde alla moltitudine degli individui la visione dei muri e delle sbarre dell'enorme prigione in cui vive credendo di essere libera.
La prigione è il sistema socio-politico-economico-finanziario.
Le mura del carcere, le celle e le sbarre, sono fatti di consumismo, competizione, egoismo, sfruttamento e individualismo. In una parola: "materialismo".
Il 90% della popolazione mondiale è imprigionata fra quelle mura ed è tenuta in quella situazione di cattività dal 10% di individui che sono i carcerieri, e che detengono l'85% della ricchezza del pianeta.
Il paradosso è che la gente incarcerata crede di essere libera e si scontra contro quelli che sono nella stessa prigione, nell'illusione di ritagliarsi uno spazio proprio, un piccolo recinto di pseudo-potere. Ma non sa che quello spazio ottenuto a discapito dell'altro è solo una briciola nel cortile dell'ora d'aria all'interno del carcere.
Rivendicazioni operaie o di categoria, proteste e proposte di aggiustamento della condizione di lavoro ed esistenziale fanno parte di quello sforzo, ma sono tutte mirate solo a stare un po' meglio in prigione. Ciò è comprensibile poiché è l'effetto dell'istintivo spirito di adattamento di ogni essere umano che, anche in gruppo organizzato, cerca di ottenere miglioramenti della condizione di vita. Ma tutto ciò serve soltanto a mantenere lo stato di schiavitù, l'un contro l'altro, in una guerra tra poveri o prigionieri.
Quello a cui stiamo assistendo in questo periodo, non solo a livello nazionale, bensì mondiale, è l'apparente sforzo di attutire gli effetti dello squilibrio economico-finanziario per salvare il sistema (di imprigionamento) mediante un sacrificio di massa. È come se ai carcerati fosse imposto di rinunciare all'ora d'aria e ai pasti per sostenere l'apparato carcerario che li imprigiona. In realtà la dinamica che è in atto mira a compiere un ennesimo giro di vite per restringere la libertà e l'attività dei popoli.
Vista dalla prospettiva dei carcerieri è una precisa operazione per prosciugare quel poco di dignità e sostentamento che ancora anima i prigionieri. Vista dalla prospettiva dei pochi che si sono liberati è un criminale piano di annientamento del potere creativo dell'umanità, ottenuto mediante l'abbrutimento e la barbarie.
Ma, chi sono i "carcerieri" e chi sono i "liberi"?I carcerieri sono, senza alcun dubbio, quelli che hanno progettato il piano di costrizione e costruito il carcere fondato su un sistema di controllo, camuffato da apparente benessere, denominato "scambio di ricchezza". Ciò che, in realtà, viene scambiata non è la ricchezza ma la scarsità. Una scarsità sapientemente mantenuta un poco al di sopra del livello di guardia, quel tanto da consentire una perenne lotta di sopravvivenza tra i carcerati senza provocarne la rivolta.
Carceriere è il sistema bancario, quello che ha stabilito che lo scambio è attuato mediante il denaro che esso stesso immette e centellina. Quel sistema che, sul debito, ha creato l'impero di potere per cui, impoverendo le masse, le controlla.
Ora la domanda sorge spontanea: perché l'umanità carcerata sacrifica la propria dignità nell'illusione di ottenere un miglioramento di condizione che, se avverrà, sarà comunque, all'interno del carcere?
Perché non mette a frutto le poche risorse che le restano per progettare un piano di fuga, di liberazione di massa? Non sarebbe più logico, proficuo ed evolutivo?
A questo punto occorre introdurre i "liberi".I "liberi" sono ex carcerati che hanno elaborato un piano di evasione e, individualmente, sono fuggiti dal carcere. Per compiere tutto il percorso hanno dovuto prima risvegliarsi e divenire coscienti della condizione di prigionia, poi intravedere oltre le sbarre la vera realtà, quella al di là della sofferenza e della schiavitù di tutte le forme di seduzione materiale.
Una volta evasi hanno progettato un "piano di fuga" per poter poi vivere in una terra di nessuno, ai margini del sistema (carcere).
Loro sono finalmente liberi e coscienti che quella libertà non è fine a se stessa, ma necessaria al piano di liberazione di massa, affinché quella terra di nessuno diventi la Nuova Terra per gli uomini di buona volontà.
I liberi sono, così, non solo i testimoni del fatto che liberarsi è possibile, ma anche i pionieri che aiuteranno tutti gli altri prigionieri a farlo. Sono loro a conoscere la via di liberazione perché l'hanno costruita con le loro mani e hanno elaborato un piano infallibile.
Si sono riuniti e, anche se agiscono apparentemente sparsi, hanno deciso di infiltrarsi di nuovo nel carcere (avendo sempre disponibile la via di fuga), e, all'interno di esso, istruire i prigionieri, loro fratelli, in modo da attrezzarli non per compiere la fuga, ma per demolire il carcere stesso.
Gli strumenti di liberazione sono quelli indicati dalla propria saggezza.
1) Primo fra tutti non cadere nel tranello della tentazione.
I prigionieri, infatti, sono costantemente tentati dalle seducenti forme che i carcerieri proiettano sull'illusorio schermo del cinema carcerario.Immagini di benessere, opulenza, prestigio, fama, lusso ma, soprattutto, di una infinità di oggetti luccicanti che abbagliano i carcerati come gli specchietti abbagliano le allodole.La tentazione è la madre di tutte le seduzioni. Mette i prigionieri nella condizione di desiderare sempre qualche cosa di più nell'illusione di migliorare la propria esistenza, mentre, in realtà, li induce a fraintendere il possesso di cose come crescita di sé e del sistema carcere. Ma l'accumulo di cose non è crescita né tantomeno benessere.
La crescita è soprattutto interiore. Crescere dentro, in consapevolezza, significa mutare il comportamento esteriore e scegliere quei pensieri, sentimenti e azioni che produrranno un effetto benefico nelle relazioni umane e, quindi, anche nello scambio di beni.
2) Secondo, non cadere nel trabocchetto della distribuzione della cosiddetta ricchezza.
I carcerieri, dopo aver proiettato il film, lanciano nella mischia gli oggetti luccicanti in modo che i detenuti si accapiglino per possederli. Ma quei poveretti non sanno che quegli oggetti non sono la ricchezza, bensì un pallido riflesso di latta scambiato per oro.
La vera ricchezza è interiore. Un uomo interiormente ricco dei valori dell'onestà, della cooperazione, della fratellanza, non sarà mai povero e non diverrà mai schiavo o prigioniero. Ciò che deve essere distribuito è l'amore per il fratello, per la terra, l'ambiente e la vita tutta. Distribuendo amore si distribuisce la vera ricchezza e si pongono le basi per il regno del benessere e dell'abbondanza.3) Terzo, non credere alla menzogna della separatività.
Nella prigione ognuno è tenuto separato perché tenda a desiderare qualche cosa solo per sé. Convincendolo che così si distinguerà dagli altri e potrà divenire più importante, più potente, più ricco. Di fatto il carceriere sa che, tenendo isolati i prigionieri, li renderà soli e impotenti. L'essere umano, invece, non è fatto per vivere da solo. Egli ha un ancestrale slancio verso l'aggregazione e l'unione. Sa, nel suo profondo, che "l'unione fa la forza" e che, solo insieme agli altri, può liberare la potenza creativa che è celata dentro di sé come scintilla di quel divino che pervade tutta l'esistenza.
Uniti dalla forza dell'amore incondizionato che si manifesta come perfetta comprensione dell'intima relazione di tutte le creature, gli individui che si riconosceranno in una sola anima, riusciranno a disintegrare le mura, le celle e le sbarre del carcere e, insieme, salvando anche i carcerieri, procederanno liberi da condizionamenti e illusioni per ristabilire il piano di fratellanza.
Coscienti di quel proposito d'amore che ad ogni causa fa corrispondere un appropriato effetto, sapranno costruire, con la giusta causa, una società finalmente in pace. Senza più barriere di classe, di razza e di pensiero edificheranno la civiltà del bene comune e del reciproco aiuto, riconoscendo il valore e la dignità di tutti.
Articolo di: Edoardo Conte
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