mercoledì 18 luglio 2012

Intelligenza collettiva: Perché collaborare conviene

005822398 03f50bbf 5c30 4103 baa7 53d68c7f1c29Ci sono due modi per reagire ai problemi. Il primo è chiudersi. Il secondo è aprirsi.
Quando due anni fa un gruppo di pescatori gli raccontarono le drammatiche condizioni del golfo del Messico per la perdita senza fine della petroliera Deepwater Horizon, Cesar Harada decise che solo uno era il modo giusto. Così lasciò il suo posto al Mit di Boston, si trasferì a New Orleans e si mise a progettare una barca-robot in grado di navigare tra le chiazze come un serpente portandosi via il petrolio. E lo ha fatto aprendosi: ha pubblicato il suo piano online, ha chiesto consiglio in Rete su come migliorarlo e, adesso che funziona, il progetto Protei è su internet a disposizione di chiunque voglia replicarlo. "Dobbiamo condividere la informazioni" ha spiegato Harada, "sostituire la competizione con la collaborazione".

Questa cosa ha un nome preciso: si chiama open source (in questo caso hardware open source), e open è la parola magica. Vuol dire aperto. "Il mondo si sta aprendo" esulta Don Tapscott che questo trend lo aveva previsto alcuni anni fa. Erano i tempi di Wikinomics, un suo libro che ebbe un notevole successo. La storia chiave era quella del banchiere che si era comprato una miniera d'oro in Canada. Il problema era che non sapeva dove fosse l'oro e i suoi geologi non riuscivano ad aiutarlo. Allora ebbe una folgorazione: forse qualcun altro, pensò, è in grado di dirmi quello che i miei geologi non sanno. E così pubblico in Rete le carte geologiche della miniera e mise in palio mezzo milione di dollari per chi fosse riuscito a dirgli dove cercare l'oro. Parteciparono in tanti da tutto il mondo, e vinse una società di computer grafica che sviluppò un modello 3D per navigare il sottosuolo. Risultato: Rob McEwen ha trovato oro per un valore di 3,4 miliardi di dollari.

"I social media non sono un modo per perdere tempo in Rete ma uno strumento di produzione sociale, un nuovo modo di creare valore ed innovare" ha detto Tapscott aprendo l'ultima edizione di TEDGlobal, a Edinburgo, dedicata proprio al tema della Radical Openness, ovvero all'essere radicalmente aperti. Come lo stesso TED, appunto, che è stata per più di vent'anni una conferenza per ricchi americani ed è diventata una fabbrica mondiale di cultura. Come? Aprendosi. "Nel 2006 abbiamo iniziato a pubblicare in Rete i video delle conferenze" ricorda Bruno Giussani, il giornalista italosvizzero che cura TEDGlobal, "dal 2009 abbiamo iniziato a regalare il nostro brand, i nostri metodi, il nostro format. E abbiamo scoperto che più ti apri e più ricevi in cambio".

Il tema dell'apertura attraversa ormai tutti i settori della nostra vita, dalla politica all'economica, dalla scienza alla scuola. Quando si aggiunge l'aggettivo open davanti ad un sostantivo, quasi sempre si forma una nuova parola che vuol dire tre cose: trasparenza, partecipazione, collaborazione. Il fenomeno sta dilagando per tre ragioni, secondo Tapscott: la prima è la Rete che ha creato una piattaforma globale di condivisione delle informazioni; la seconda sono i nativi digitali, che hanno un rapporto naturale e immediato con le nuove tecnologie, "non hanno paura dei computer in Rete come noi sessantenni non avevamo paura del frigorifero"; la terza è la crisi economica che spinge tanti a cercare nuovi modi di creare valore, collaborando.

È un movimento che parte dal basso come dimostrano i tantissimi esempi di "consumo collaborativo" citati da Rachel Botsman nel suo studio sulla nuova economia: da Airbnb, che è diventato un network planetario per offrire e trovare letti in affitto, a TaskRabbit, dove chiunque può proporsi per fare un lavoretto come montare i mobili dell'Ikea. "Stiamo passando dal social network al social service" avverte la Botsman, "un mondo in cui la reputazione sarà la vera moneta di ciascuno".

Ma questa rivoluzione sta contagiando anche i governi (quasi un centinaio di paesi hanno aderito lo scorso settembre alla Open Government Partnership voluta da Stati Uniti e Brasile) e le istituzioni come la Banca Mondiale che sotto la guida di Sanjay Pradhan ha avviato la pubblicazione di tutti i dati sugli aiuti umanitari con strumenti di visualizzazione e feedback in tempo reale: "Io lo chiamo Open Aid" dice Pradhan, "e in questo modo non solo siamo pubblicamente responsabili di come impieghiamo i soldi, ma riusciamo a fare interventi più mirati".

Naturalmente anche nella "società aperta" ci sono lati oscuri. Proprio al TED, l'attivista tedesco Malte Spitz ha raccontato di aver ottenuto, con infiniti sforzi, tutti i dati che la sua compagnia telefonica ha registrato sul suo conto in sei mesi. Ne sono venute fuori 38500 righe di codice con tutta la sua vita, compresi gli spostamenti. "Se ci fosse stata questa tecnologia nel 1989, il muro di Berlino non sarebbe mai caduto" ha concluso. E il politologo bulgaro Ivan Krastev ha aggiunto: "Quando c'è troppa luce c'è sempre un'ombra molto lunga". Ma è troppo tardi per tornare indietro, esulta Tapscott, il genio della società aperta ormai è uscito dalla lampada. E alcune prospettive sono davvero interessanti: "Pensate a cosa accadrebbe se dopo settant'anni cambiassimo finalmente le procedure per il consenso informato in campo medico" si chiede John Wilbanks, "permettendo ai ricercatori di avere accesso a tutti i nostri dati fatto salvo l'anonimato. Potremmo finalmente battere tutte le malattie". In realtà la trasparenza e l'accesso ai dati non sempre sono sufficienti ad avere un mondo migliore. Negli anni '50 la ricercatrice Alice Stewart, a Oxford, scoprì che il cancro nei bambini era fortemente correlato ai raggi X fatti dalla mamma durante la gravidanza. Quella scoperta era in contrasto con il pensiero dominante e venne ignorata per venticinque anni. "I dati c'erano, tutti potevano consultarli, un bambino a settimana moriva di cancro, ma nessuno voleva saperlo" ricorda l'imprenditrice Margaret Heffernan.

"L'apertura da sola non cambia il mondo fin quando non abbiamo la capacità e il coraggio morale di usarla. È l'inizio della storia, non la fine".   

Fonte: http://thepolloweb.blogspot.com


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