L’empatia non è un concetto per i soli addetti ai lavori, ma arricchisce la nostra esperienza ed umanità. Empatia intesa come elemento fondativo della relazione con gli altri e con il mondo.
Analizziamo l’evoluzione del concetto di empatia.
Ne cominciano a parlare gli autori romantici tedeschi del XIX secolo, quali Herder e Novalis, per descrivere l’esperienza di fusione dell’anima con la natura, esperienza, dunque, dove esiste una sensibilità soggettiva e una realtà oggettiva, ma è il filosofo e psicologo tedesco Theodor Lipps che, nel saggio del 1906 “Empatia e godimento estetico”, la definisce come una funzione psicologica fondamentale per l’esperienza estetica. Oggi Lipps è ricordato come il padre della prima teoria scientifica sul concetto di “Einfühlung” (letteralmente “immedesimazione”, “sentire dentro”), sebbene il termine sia stato coniato da Robert Vischer nel 1873.
Nel pensiero di Lipps, l’empatia è la percezione delle proprie forze vitali, delle proprie energie, in un oggetto sensibile. L’empatia implica la fondamentale solidarietà dell’individuo con l’universo, in quanto ciò con cui io empatizzo è la vita, dove per vita si intende “forza, lavoro interno, tendere a realizzare”. L’esempio più eclatante dell’oggetto, nato per essere percepito “empaticamente” viene individuato nell’opera d’arte. Lipps studiava in particolare le illusioni ottiche di distorsione. Basandosi su un’idea dello psicologo americano R. H. Woodworth, suggerì che l’osservatore tende ad identificarsi con parti della scena (ad esempio i pilastri di un edificio) e ne resta emozionalmente coinvolto; ne consegue che la percezione visiva risulta distorta in modo simile a quello in base al quale una emozione può arrivare a distorcere un giudizio intellettuale. Le cariatidi dei templi greci (sculture che rappresentano una figura femminile, utilizzate come elemento di sostegno al posto di una colonna) rendono bene l’idea: ci identifichiamo con i pilastri, perché possediamo una dimensione che è quella appropriata a sopportare i pesi sovrastanti, in senso letterale e metaforico?
Con Lipps inizia l’estensione del discorso sull’empatia dall’estetica alla comunicazione intersoggettiva, quindi, non solo come le persone fanno esperienza di oggetti inanimati ma pure come essi comprendono gli stati mentali di altre persone, basandosi su un processo di “imitazione interna”. Sigmund Freud, grande ammiratore di Lipps, in una lettera a Fliess, ammette:
“Trovo che l’essenza dei miei stati interiori sia chiaramente esposta in Lipps, forse meglio di quanto io stesso sia in grado di fare”.
La tematica dell’empatia acquisisce una spiegazione in chiave fenomenologica grazie all’opera di Edith Stein, esposta nella tesi di dottorato in filosofia all’Università di Friburgo, dal titolo “Sul problema dell’empatia” (1916). La riflessione della Stein, allieva di Husserl, si avvale dell’insegnamento del metodo di analisi husserliano che consente di delineare le caratteristiche del soggetto umano a partire dalla sua intersoggettività. Con Husserl l’empatia
“...viene a costituire la via per mezzo della quale il soggetto sperimenta l’esistenza di soggetti altri - diversi da lui, ma facenti parte del mondo circostante - ed è contemporaneamente portato a superare la visione del suo mondo soggettivo per giungere alla visione del mondo oggettivo”.
Husserl si occupò per tutta la vita dell’empatia, definendola “una parola sbagliata e un penoso enigma” (Logica formale e trascendentale, 1929).
Edith Stein cercherà affrontare l’enigma, trasformandolo in un “problema”, come
“la piccola porta attraverso la quale si gioca una sfida più grande: prendere coscienza dell’alterità incancellabile che vi è tra soggetto e natura e tra soggetti diversi ma al tempo stesso individuare le condizioni di possibilità di rapporto e comunicazione tra questi poli”.
Riconoscere il problema dell’empatia significa rendersi conto di che cosa fa, sente e vuole l’altro.
“L’empatia” scrive la Stein “è l'atto paradossale attraverso cui la realtà di un altro, di ciò che non siamo, non abbiamo ancora vissuto o che non vivremo mai e che ci sposta altrove, nell’ignoto, diventa elemento dell’esperienza più intima cioè quella del sentire insieme che produce ampliamento ed espansione verso ciò che è oltre, imprevisto”.
Edith Stein riferisce un episodio personale:
“Un amico viene da me e mi racconta che ha perduto suo fratello e io mi rendo conto del suo dolore. Che cosa è questo rendersi conto? Non mi interessa qui capire su che cosa si fonda il suo dolore o da che cosa io lo deduco. Non per quali vie io arrivo a questo rendersi conto, ma che cosa è in se stesso, questo è ciò che vorrei sapere”.
E’ sconvolgente che Edith Stein, la più significativa pensatrice sul fenomeno dell’empatia, sia stata deportata in un campo di concentramento, a causa della sua origine ebraica, ed uccisa in una camera a gas, in spregio a qualsiasi forma di accesso all’alterità, al sentire ed al soffrire dell’altro.
Proprio sui temi proposti dalla Stein, in particolare sulla radice biologico-organica dell’esperienza empatica si sta concentrando l’indagine scientifica, dopo l’impulso dato dalla scoperta dei neuroni “specchio”, alla ricerca dei meccanismi neurobiologici di rispecchiamento e risonanza che permettano di accoppiare ciò che vedo e sento in prima persona a ciò che vedo e sento nell’altro, rendendo possibile la condivisione di esperienze, credenze, scopi e stati interni. E’ un ambito ancora tutto da esplorare a livello neurobiologico in quanto chiama in causa una complessa architettura neuronale.
Tuttavia, da un punto di vista psicologico, già si può avanzare qualche riflessione. Come sottolineava Heinz Kohut, teorico della psicologia del sé, il bisogno di empatia non è una opzione, ma un bisogno primario, un nutrimento psicologico, generato dalla paura di autoesclusione dal mondo.
E’ auspicabile dunque che lo straordinario fiorire delle ricerche scientifiche sui meccanismi dell’empatia che sta avvenendo negli ultimi anni, in un momento storico caratterizzato da crisi economica e grande sofferenza sociale, trovino sufficiente ricaduta nel mondo reale, conducendo ad un allargamento del campo di coscienza individuale che includa tutti gli esseri viventi, come esseri che fanno parte, a pieno diritto, di un mondo comune.
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