Come combattere la criminalità organizzata
‘Mafia, serve una rivolta delle coscienze’
Intervista a Don Luigi Ciotti
di Maria Vittoria De Matteis
Don Ciotti, nella lotta alla mafia Lei disse che è “necessaria una rivolta delle coscienze” e che “non si può delegare a forze dell’ordine, magistrati o segmenti della società civile”. Come possono, quotidianamente, formarsi nelle persone ‘coscienze antimafia’?Attraverso la conoscenza, l’educazione, l’informazione. Nino Caponnetto, il magistrato che dopo l’uccisione di Rocco Chinnici guidò il pool antimafia di Palermo, diceva che «la mafia teme più la scuola della giustizia. L’istruzione taglia l’erba sotto i piedi della cultura mafiosa». È il sapere insomma che “sveglia” le coscienze, mentre ignoranza e indifferenza sono un terreno fertile per il diffondersi non solo delle mafie, ma di tutte le forme di ingiustizia, illegalità e abuso che le favoriscono. Ecco il perché dei percorsi che le oltre 1.600 associazioni aderenti a Libera a livello nazionale – e internazionale, attraverso la rete europea Flare – organizzano nelle scuole e nei centri giovanili. Ecco l’importanza delle collaborazioni instaurate con numerose facoltà universitarie per approfondire i temi del contrasto al crimine organizzato e della cittadinanza responsabile. Ecco, ancora, l’investimento nella ricerca e negli strumenti d’informazione. Le mafie hanno radici culturali profonde che sono le più difficili da spezzare, perché affondano nell’ignoranza, nella paura e spesso nella rassegnazione di tanta gente. Rompere quelle radici e mettere le persone in condizione di diventare cittadini responsabili, consapevoli dei propri diritti e doveri, è la vera scommessa. Il cambiamento infatti non ha bisogno solo di leggi e scelte politiche coraggiose, ma deve cominciare da comportamenti più attenti da parte di ognuno di noi. Per questo, più che di “coscienza antimafia”, parlerei di una “coscienza civile e responsabile” da rafforzare nel nostro paese. In una società capace di vivere pienamente e concretamente i principi della democrazia le mafie non avrebbero più spazio.
“Questa crisi economica non va sottovalutata perché la mafia può intervenire creando un finto sviluppo e dando finte garanzie” disse riferendosi alla situazione italiana. In quali termini?Le mafie non conoscono crisi. Anzi, è soprattutto nei momenti di crisi che si rafforza il sistema di “accumulazione mafiosa”. L’ha ricordato anche il Governatore Draghi in un recente convegno organizzato da Libera all’Università Statale di Milano: nei periodi di difficoltà le imprese sono più facilmente aggredibili dalla criminalità organizzata. In frangenti come questo è alto il rischio che le mafie si propongano come “banche” per le aziende in crisi, fino spesso a prenderne il controllo. E tutto questo alimenta il riciclaggio e il loro livello di infiltrazione nell’economia legale. Per capire fino in fondo il problema occorre però dare una lettura più ampia della crisi stessa, che è prima di tutto una crisi etica e politica, una crisi dei diritti. È la crisi di una società segnata da troppi individualismi, dall’indifferenza verso il bene comune e verso le leggi chiamate a tutelarlo. Il cambiamento non può allora passare solo attraverso correttivi “tecnici”: si tratta di restituire una dimensione etica alle relazioni economiche e sociali. Senza diritti e responsabilità condivise, lo sviluppo economico non potrà mai diventare progresso sociale.
Aiuto concreto, condivisione e responsabilità è il guadagno di chi visita, studia, collabora ed è ospite in estate dei terreni confiscati alle mafie e gestiti dalle cooperative. Anche così i giovani si sentono protagonisti di un cambiamento sociale?Certo. I giovani hanno energie, desideri e speranze che chiedono solo di potersi tradurre in impegno concreto. L’esperienza di lavoro sui beni confiscati alle mafie aiuta i giovani a scoprire il senso “vero” della responsabilità e a viverla pienamente: nella fatica quotidiana, nell’interesse a conoscere e approfondire, nella capacità di collaborare con gli altri, perché solo insieme si può dare efficacia e forza all’impegno. La parola “vacanza” ha la stessa radice latina di “vacuum”, “vuoto”, e il verbo da cui deriva, “vacare”, significa appunto essere vuoto, sgombro, mancante di qualche cosa. Chi sceglie di partecipare ai campi di E!state liberi vuole che le sue non siano “solo” vacanze. Vuole un’estate tutt’altro che vuota, ma anzi riempita di responsabilità, consapevolezza, impegno. Un’estate colma di vita e di speranza, vera “pienezza” dell’anno, che al generoso frutto dei campi aggiunga un raccolto di legalità e di giustizia.
Cultura della legalità, rafforzamento dell’economia sostenibile, buon utilizzo dei beni confiscati alla malavita organizzata: rafforzano lo spirito cooperativo e creano le condizioni per sostenere un modo di fare impresa diverso, di qualità e pulito. Costruire ‘buone pratiche’ può essere una nuova cultura imprenditoriale competitiva?Sicuramente. Esiste una parte dell’imprenditoria che ha già colto questo messaggio, e con generosità e competenza si è messa a disposizione dei nostri percorsi di riutilizzo ed uso sociale dei beni sottratti alla criminalità. È il caso ad esempio delle sigle degli agricoltori che collaborano con Libera e Libera Terra, o di tante realtà importanti del mondo della cooperazione. Il loro è un contributo fondamentale perché, soprattutto in certe zone, il rischio più grande per chi vuole lavorare in modo onesto è l’isolamento. Costruire reti significa diventare più incisivi e più forti, anche contro le possibili influenze mafiose, le intimidazioni e i boicottaggi. Per questo è importante allargare la dimensione della consapevolezza e della responsabilità, dimostrare che, unendo le forze sane di un territorio, è possibile costruire circuiti economici puliti, che creano benessere e sviluppo per tutti e costruiscono quella fiducia necessaria ad attirare altri progetti, altre opportunità e risorse.
Don Ciotti, nella lotta alla mafia Lei disse che è “necessaria una rivolta delle coscienze” e che “non si può delegare a forze dell’ordine, magistrati o segmenti della società civile”. Come possono, quotidianamente, formarsi nelle persone ‘coscienze antimafia’?Attraverso la conoscenza, l’educazione, l’informazione. Nino Caponnetto, il magistrato che dopo l’uccisione di Rocco Chinnici guidò il pool antimafia di Palermo, diceva che «la mafia teme più la scuola della giustizia. L’istruzione taglia l’erba sotto i piedi della cultura mafiosa». È il sapere insomma che “sveglia” le coscienze, mentre ignoranza e indifferenza sono un terreno fertile per il diffondersi non solo delle mafie, ma di tutte le forme di ingiustizia, illegalità e abuso che le favoriscono. Ecco il perché dei percorsi che le oltre 1.600 associazioni aderenti a Libera a livello nazionale – e internazionale, attraverso la rete europea Flare – organizzano nelle scuole e nei centri giovanili. Ecco l’importanza delle collaborazioni instaurate con numerose facoltà universitarie per approfondire i temi del contrasto al crimine organizzato e della cittadinanza responsabile. Ecco, ancora, l’investimento nella ricerca e negli strumenti d’informazione. Le mafie hanno radici culturali profonde che sono le più difficili da spezzare, perché affondano nell’ignoranza, nella paura e spesso nella rassegnazione di tanta gente. Rompere quelle radici e mettere le persone in condizione di diventare cittadini responsabili, consapevoli dei propri diritti e doveri, è la vera scommessa. Il cambiamento infatti non ha bisogno solo di leggi e scelte politiche coraggiose, ma deve cominciare da comportamenti più attenti da parte di ognuno di noi. Per questo, più che di “coscienza antimafia”, parlerei di una “coscienza civile e responsabile” da rafforzare nel nostro paese. In una società capace di vivere pienamente e concretamente i principi della democrazia le mafie non avrebbero più spazio.
“Questa crisi economica non va sottovalutata perché la mafia può intervenire creando un finto sviluppo e dando finte garanzie” disse riferendosi alla situazione italiana. In quali termini?Le mafie non conoscono crisi. Anzi, è soprattutto nei momenti di crisi che si rafforza il sistema di “accumulazione mafiosa”. L’ha ricordato anche il Governatore Draghi in un recente convegno organizzato da Libera all’Università Statale di Milano: nei periodi di difficoltà le imprese sono più facilmente aggredibili dalla criminalità organizzata. In frangenti come questo è alto il rischio che le mafie si propongano come “banche” per le aziende in crisi, fino spesso a prenderne il controllo. E tutto questo alimenta il riciclaggio e il loro livello di infiltrazione nell’economia legale. Per capire fino in fondo il problema occorre però dare una lettura più ampia della crisi stessa, che è prima di tutto una crisi etica e politica, una crisi dei diritti. È la crisi di una società segnata da troppi individualismi, dall’indifferenza verso il bene comune e verso le leggi chiamate a tutelarlo. Il cambiamento non può allora passare solo attraverso correttivi “tecnici”: si tratta di restituire una dimensione etica alle relazioni economiche e sociali. Senza diritti e responsabilità condivise, lo sviluppo economico non potrà mai diventare progresso sociale.
Aiuto concreto, condivisione e responsabilità è il guadagno di chi visita, studia, collabora ed è ospite in estate dei terreni confiscati alle mafie e gestiti dalle cooperative. Anche così i giovani si sentono protagonisti di un cambiamento sociale?Certo. I giovani hanno energie, desideri e speranze che chiedono solo di potersi tradurre in impegno concreto. L’esperienza di lavoro sui beni confiscati alle mafie aiuta i giovani a scoprire il senso “vero” della responsabilità e a viverla pienamente: nella fatica quotidiana, nell’interesse a conoscere e approfondire, nella capacità di collaborare con gli altri, perché solo insieme si può dare efficacia e forza all’impegno. La parola “vacanza” ha la stessa radice latina di “vacuum”, “vuoto”, e il verbo da cui deriva, “vacare”, significa appunto essere vuoto, sgombro, mancante di qualche cosa. Chi sceglie di partecipare ai campi di E!state liberi vuole che le sue non siano “solo” vacanze. Vuole un’estate tutt’altro che vuota, ma anzi riempita di responsabilità, consapevolezza, impegno. Un’estate colma di vita e di speranza, vera “pienezza” dell’anno, che al generoso frutto dei campi aggiunga un raccolto di legalità e di giustizia.
Cultura della legalità, rafforzamento dell’economia sostenibile, buon utilizzo dei beni confiscati alla malavita organizzata: rafforzano lo spirito cooperativo e creano le condizioni per sostenere un modo di fare impresa diverso, di qualità e pulito. Costruire ‘buone pratiche’ può essere una nuova cultura imprenditoriale competitiva?Sicuramente. Esiste una parte dell’imprenditoria che ha già colto questo messaggio, e con generosità e competenza si è messa a disposizione dei nostri percorsi di riutilizzo ed uso sociale dei beni sottratti alla criminalità. È il caso ad esempio delle sigle degli agricoltori che collaborano con Libera e Libera Terra, o di tante realtà importanti del mondo della cooperazione. Il loro è un contributo fondamentale perché, soprattutto in certe zone, il rischio più grande per chi vuole lavorare in modo onesto è l’isolamento. Costruire reti significa diventare più incisivi e più forti, anche contro le possibili influenze mafiose, le intimidazioni e i boicottaggi. Per questo è importante allargare la dimensione della consapevolezza e della responsabilità, dimostrare che, unendo le forze sane di un territorio, è possibile costruire circuiti economici puliti, che creano benessere e sviluppo per tutti e costruiscono quella fiducia necessaria ad attirare altri progetti, altre opportunità e risorse.
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