domenica 25 marzo 2012

Futuro § Ottimismo, Buona Crescita e Innovazione

“Il futuro è migliore di quanto si pensi”

Così recita il sottotitolo del saggio di Kotler e Diamandis.
Diamandis non ha dubbi che l'accumulazione poderosa di nuove conoscenze ci consentirà di vincere la grandi sfide del nostro futuro: l' inquinamento atmosferico e delle acque; la sovrappopolazione; la scarsità di energia; i bisogni di istruzione e di salute; i diritti umani e le libertà.

«L'umanità - scrive il tecno-ottimista - sta entrando in un periodo di trasformazione radicale in cui le tecnologie hanno il potenziale per migliorare sensibilmente la qualità della vita di ogni uomo, donna e bambino del pianeta».

Wow! Mi scopro a reagire coi riflessi pavloviani dell'europeo, con scetticismo. Ho l'impressione di aver già sentito suonare le fanfare del tecno-ottimismo in altre epoche della mia vita: per esempio al passaggio del millennio, quando mi trasferii a San Francisco all'apice dell' euforia per la New Economy, nel primo boom di Internet e delle sue applicazioni.
Diamandis ha una spiegazione razionale anche per la mia cautela.

«È tutta colpa dell' amigdala - spiega - cioè quella parte del cervello, situata nel lobo temporale, che regola emozioni primarie come la rabbia, l' odio,e soprattutto la paura.È il nostro sistema di pre-allarme per la sopravvivenza, un organo sempre in massima allerta per segnalarci tutto ciò che nell' ambiente circostante può minacciarci. È quasi impossibile liberarci del suo condizionamento».

Ecco perché siamo tendenzialmente pessimisti, inclini a privilegiare le cattive notizie: i nostri progenitori si sarebbero estinti, divorati dalle belve feroci, se avessero privilegiato l'estasi davanti a un bel tramonto anziché l'adrenalina da panico di fronte ai rumori sospetti nella foresta.

Oggi questa nostra programmazione genetica al pessimismo rischia di non farci vedere l'ovvio?
Cioè l' effetto immensamente positivo del progresso tecnologico. Il numero di persone che vivono sotto la soglia della povertà assoluta si è più che dimezzato dagli anni Cinquanta, e di questo passo scenderà a zero nel 2035. Anche la definizione di "povertà assoluta" va guardata da vicino. Oggi il novantacinque per cento degli americani che vivono sotto la soglia della miseria ufficiale dispongono non solo (ovviamente) di acqua corrente ed energia elettrica in casa, ma possiedono anche frigo, tv e internet. Sono tutte comodità che un secolo fa non poteva permettersi neppure il leggendario miliardario Andrew Carnegie, semplicemente perché non erano state ancora inventate.

A volte ci sembra che la tecnologia ci renda schiavi, ma su questo punto dovremmo ascoltare il parere dei giovani arabi o russi che si stanno rivoltando contro gli autoritarismi grazie a un maggiore accesso all'informazione.
Entro il 2020 altri tre miliardi di abitanti del pianeta si saranno aggregati alla nostra comunità di utenti di internet: è tutta «meta-intelligenza collettiva», secondo la definizione di Diamandis, ed è forse questa la materia prima che ci salverà. In parte il boom negli accessi all'informazione è già incanalato verso gli usi più nobili. La Khan Academy, una delle tante iniziative nate grazie ai tecno-filantropi (un esercito sempre più numeroso di cui Bill Gates è solo il nome più noto), oggi viene consultata da due milioni di studenti ogni mese, per l'apprendimento accademico a distanza. Nella biblioteca digitale della Khan Academy ci sono video didattici su materie che spaziano dall'algebra alla biologia. Il settore della medicina "individualizzata" grazie allo sfruttamento delle informazioni genetiche non esisteva neppure un decennio fa; oggi cresce del quindici per cento all' anno. Anche grazie a questi progressi medici, la popolazione degli ultracentenari sta raddoppiando ogni dieci anni.

Sono questi i primi trisnonni che vedranno la loro progenie trasformata in «divinità dell'antica Grecia»?

La decrescita si muove verso Ovest. Il prossimo mese di maggio, infatti, Montreal ospiterà la prima edizione dell’International Conference on Degrowth in the Americas. Una settimana di incontri e conferenze per promuovere il tema del ridimensionamento della produzione e del consumo per preservare le risorse e re-ingegnerizzare una società più equa.

Un concetto per certi versi nuovo negli Stati Uniti, ma da cui anche movimenti “estremi” come Occupy Wall Street si tengono a distanza, forse per paura di alienarsi le simpatie dei sostenitori.

A oggi, e non è un caso, nessuno sponsor si è ancora candidato per l’evento canadese. In Italia, le molte contraddizioni della decrescita sono state evidenziate in questi giorni dal giornalista Antonio Pascale, ospite de “Il club de La Lettura” di Corriere.it.

Pascale, nel suo articolo Gli egoisti della decrescita:
“Decrescita è una definizione di gran moda, la usano un po’ tutti. Anche i piccoli e medi imprenditori, quelli cioè che dovrebbero crescere”.
Nulla da dire sulla necessità di proteggere il pianeta dall’eccesso di consumo, ma dai commenti dei paladini della decrescita emerge la sensazione che quest’ultima si applichi ai consumi degli altri.

Chiamando in causa Keynes, Pascale ricorda - se mai ce ne fosse bisogno - che
una riduzione generalizzata dei consumi finirà col produrre un ristagno degli investimenti”.
Dall’altra parte dell’Oceano, Arianna Huffington, editore di Huffington Post, fa sapere che c’è chi si è “appropriato” del tema della decrescita per farne qualcosa di completamente nuovo.
Come Steven Kotler e Peter Diamantis che hanno scritto  “Abundance”, cioè abbondanza, un saggio che ha fra gli autori quel Diamantis co-fondatore (fra le altre attività) della Singularity University, l’istituzione accademica della Silicon Valley che ha stretto partnership con Nasa, Google e Nokia per educare e ispirare i manager nel rapporto con la tecnologia per vincere le grandi sfide dell’umanità.

Come se non bastasse, Diamantis lavora come consulente di grandi aziende a cui suggerisce come utilizzare la tecnologia e incentivare l’innovazione per accelerare il raggiungimento dei propri obiettivi.
Con la disoccupazione sopra all’8%, abbiamo più energia, più spirito, più esperienza di quanti siano i posti di lavoro disponibili. E molto più tempo a disposizione per mettere queste risorse a profitto”,
prosegue Arianna Huffington e aggiunge:
La vera questione è se i nostri leader continueranno a focalizzarsi su misure di austerity invece di sfruttare il potenziale di energia, idealismo e passione sommerso sotto ai tagli di budget”.

E allora? Il segreto si chiama innovazione - sembra rispondere Pascale nel suo articolo -. Si può fare. L’abbiamo già fatto. Nel 1880, i nostri avi dovevano lavorare sei ore per avere un’ora di luce, adesso basta mezzo secondo”.
Forse, più che parlare di decrescita è ora di riflettere seriamente sulla buona crescitae su cosa si può fare per ottenerla.

L'antica Grecia»? © RIPRODUZIONE RISERVATA - FEDERICO RAMPINI


Riceviamo da Piero e Nuriel e molto volentieri pubblichiamo.

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Visione per il Futuro

Dove c’è una visione per il futuro c’è attenzione al presente

Dove c’è una visione per il futuro c’è cura delle risorse

Dove c’è una visione per il futuro c’è un paese che cresce

Dove c’è una visione per il futuro non ci sono speculazioni

Noi abbiamo una visione per il nostro futuro,

vogliamo ritornare a scegliere ciò che è meglio per tutti noi.

Ci sono dei momenti in cui bisogna impedire che gravi decisioni a favore di pochi distruggano il futuro di molti...

(da http://www.vivipresolana.it/i-valori/visione-per-il-futuro/)


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