sabato 23 luglio 2016

Possedere se stessi (Roberto Assagioli)

POSSEDERE SE STESSI – IL DOMINIO DEGLI ELEMENTI CHE COMPONGONO LA PERSONALITA’

All’opera di scoperta di tutto quanto si agita in noi seguono necessariamente il dominio e la gestione delle differenti istanze della psiche. In altri termini noi possiamo decidere di non essere dominati da tutto quello con cui il nostro io s’identifica; noi possiamo dominare, dirigere e utilizzare tutto quello con cui c’identifichiamo. Ogni volta che un contenuto entra nel campo di coscienza noi possiamo decidere se subirlo oppure usarlo. Se dico “Io sono triste” divento perciò stesso triste. Mi identifico, o al contrario posso prendere atto che della tristezza è entrata nel campo di coscienza e decidere cosa farne. A questo scopo l’esercizio di disidentificazione è uno strumento di impareggiabile efficacia. Possiamo definire la disidentificazione come il distacco, consapevolmente effettuato, da vissuti, emozioni, parti, ruoli, pensieri, ideologie e così via. In altri termini si tratta di lasciar cadere un certo habitus mentale che costituiva la nostra precedente identità, proprio come un vestito vecchio, per indossarne uno nuovo e del tutto differente, si tratterà di un abito fatto su misura da noi stessi per quel momento esistenziale e maggiormente adeguato alle circostanze. Possiamo definirla anche come un’attitudine volontariamente scelta atta a liberarci da emozioni, desideri, immagini, ruoli eccetera dei quali altrimenti potremmo diventare “schiavi”. La disidentificazione, in termini semplici, distingue l’essere dall’avere: ciò che si ha da ciò che si é. Essa conduce a due importanti risultati: a) l’osservazione consapevole di un qualunque contenuto che si presenti alla coscienza, sia esso un’emozione, un pensiero, o una formazione più complessa com’è appunto una parte, detta anche subpersonalità, fa sì che l’individuo non ne sia travolto, o agito come si dice in termini psicologici, ma al contrario possa gestirlo; b) la presa di distanze da tali contenuti è già sufficiente, spesso, a togliere loro la forza d’urto sulla coscienza stessa, pensiamo per esempio all’effetto che la rabbia produce sull’essere umano. In effetti, si nota come già l’atto di osservare produce una diminuzione, una perdita di forza dell’identificazione. Tale presa di distanza, o distacco che dir si voglia, inoltre, è allo stesso tempo sia una conseguenza dell’esercizio che una premessa importante per poter osservare, e porta inevitabilmente alla scoperta dell’Io quale Centro unificatore e all’osservazione distaccata dei mutevoli contenuti della coscienza. La disidentificazione ci permette di relativizzare quello che tendiamo, per un processo identificativo inconscio, ad assolutizzare. Alla disidentificazione segue di necessità l’autoidentificazione con la quale s’intende l’identificazione consapevole col Centro che abbiamo definito IO. Essa è il momento in cui, dopo esserci disidentificati dai vari contenuti di cui abbiamo parlato sopra, emerge il “centro di pura autocoscienza e di volontà”. L’autoidentificazione è la fase del processo complessivo che sposta l’identificazione da un contenuto, per sua natura mutevole e relativo, all’Io – Centro di coscienza, stabile, fisso, uguale a se stesso, dallo strumento al possessore dello strumento stesso, dall’avere all’essere. Trasformazione di se stessi e sintesi dei vari aspetti (in altri termini formazione o ricostruzione della personalità intorno al nuovo Centro). L’importante processo della disidentificazione dalle dinamiche interne e d’autoidentificazione nell’Io è il punto centrale della psicosintesi di Assagioli e non solo, essendo questo un metodo conosciuto, sotto altri termini, in molte scuole di pensiero e religiose occidentali e orientali. Le dinamiche psicologiche ci muovono all’azione e al perseguimento dei nostri scopi, in una parola costituiscono il nostro carattere e determinano il comportamento. Sono energie reali, poiché sappiamo che è reale ciò che agisce, ciò che produce effetti. Nessuno, infatti, può mettere in dubbio che la rabbia, il desiderio, l’innamoramento, la volontà e così via, ci spingono all’azione e producono degli effetti, esattamente come l’elettricità, il calore, le onde elettromagnetiche e via dicendo. Detto questo, ripetiamo ancora una volta che nell’essere umano esiste una molteplicità di tendenze, d’energie differenti, solo in parte armonizzate e spesso in conflitto. Possiamo a buona ragione affermare che spesso siamo dei veri e propri “campi di battaglia”, dove ogni tendenza presente in noi cerca di manifestarsi e di raggiungere i suoi fini, in contrasto e spesso anche contro la nostra stessa volontà. In altri termini, ogni singola parte di noi ha una sua volontà e tende ad esprimersi, malgrado noi. Potremmo fare milioni di esempi, ma ci basta ricordare tutte le volte che siamo tristi o arrabbiati senza sapere perché, o insoddisfatti senza che apparentemente non ci manchi nulla. Noi però possiamo dirigere e controllare tutte queste forze che si agitano in noi con l’uso consapevole e intelligente della volontà e l’utilizzo di tecniche adatte. Possiamo così riassumere il processo che dalla presa di coscienza porta alla trasformazione delle dinamiche psichiche: sono consapevole di essere arrabbiato, il solo sforzo di conoscermi porta ad osservarmi osservandomi mi distacco, o disidentifico, dalla rabbia e la osservo da una certa distanza il solo fatto di osservarmi, inoltre, smorza la forza della mia rabbia, vale a dire che mi rende capace di dominarmi, ma posso fare di più: a) posso anche comprendere cosa e perché mi ha fatto arrabbiare b) infine, decido come utilizzare l’energia della rabbia. Posso per l’appunto trasformarla. Nella trasformazione le energie sono utilizzate per scopi differenti e liberamente scelti rispetto a quelli verso i quali s’indirizzerebbero spontaneamente. Basta un esempio per convincerci che questo è possibile. Riprendiamo in esame la rabbia, non si può negare che un individuo arrabbiato possiede un’energia tremenda che può creare molti danni. Una prima trasformazione volontaria consiste nel dirigerla ed utilizzarla per scopi utili o innocui, sfogando l’eccesso d’energia in un’attività fisica, e qui la scelta è molto ampia. Potremmo usare l’energia della rabbia anche in modo indiretto e sostitutivo, simbolico direi, scrivendo per esempio una lettera alla persona che ci ha fatto arrabbiare nella quale esprimiamo liberamente il nostro vissuto, senza però spedirla. Dello stesso genere è il cosiddetto “appagamento sostitutivo” che produce una sorta di catarsi o purificazione delle passioni. Lo troviamo già nell’antica Grecia nell’identificazione degli spettatori con i personaggi e le situazioni delle tragedie e delle commedie, e al giorno d’oggi nel tifo per le squadre di calcio, nella visione di film che coinvolgono lo spettatore e in qualche modo scaricano le pulsioni aggressive, almeno in alcuni casi, mentre in altri le stimolano e possono indurre alcuni a mettere in atto ciò che vedono. Questo apre un vasto campo di dibattito e ricerca di cui non possiamo occuparci qui. Possiamo elevare il livello d’utilizzo delle energie aggressive ad esempio discutendo, sia direttamente con l’avversario (sia esso politico, intellettuale, professionale, eccetera), sia indirettamente attraverso la satira politica, le barzellette, la comicità, che costituiscono uno sfogo almeno entro certi limiti, ma purtroppo possono produrre altri danni. Come quello indesiderabile di mettere in ridicolo l’altro o distruggergli la reputazione, o l’immagine, che sono poi la stessa cosa. Un modo più innocuo è il gioco competitivo che però utilizza la mente, come gli scacchi o giochi simili. Come si vede, esistono molte possibilità di trasformazione, si tratta di scegliere quella più consona a noi, al nostro temperamento, alle circostanze e così via. Di queste e di molto altro si tratta nell’articolo La trasformazione delle energie psichiche. Siamo giunti, per concludere, all’ultimo punto del percorso della Psicosintesi che è La realizzazione del Se.

Roberto Assagioli

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