venerdì 9 luglio 2010

Tragicom § Il Mistero dell'Altipiano


Il lago scomparso. Chi ha tolto il tappo? Non ci posso credere.


Prima settimana di luglio, caldo torrido. Programmiamo una gita in montagna per una bella passeggiata tonificante. Partiamo domenica mattina presto (7.30) per viaggiare con il fresco.
Il viaggio è ottimo: il traffico è scorrevole (partenza intelligente!): ma non dicevamo che sarebbe stato meglio non fare le passeggiate la domenica?! Ma questa è l’ultima domenica per la fioritura degli altipiani di Castelluccio di Norcia! Ci fermiamo a fare la prima colazione in un bar pasticceria che è una sciccheria: mini babà alla crema, mini tiramisù, caffè di alta marca. Partiamo carichi ed euforici.
Dopo due ore di strada, ci fermiamo per la seconda colazione in un bar lungo le belle mura di Norcia: pizza e prosciutto! Bene. Stiamo a posto.
L’ultima tappa è in salita con bellissimi tornanti panoramici sulla valle.
Arriviamo al Rifugio Perugia (m. 1.500 circa).
Lasciamo la macchina, inforchiamo gli zaini e cominciamo la passeggiata in montagna.
Incontriamo subito un “anziano signore” con un cesto pieno di funghi che ha trovato nei prati vicini. Ci da consigli per la passeggiata: è affabile e gentile.
La salita è ripida ma diventa presto quasi pianeggiante. Saliamo un po’ ma non vediamo il Pian Grande. Ci spostiamo dal sentiero e ci muoviamo in mezzo ai prati per vedere meglio Pian Grande. C’è foschia e i campi sono attraversati da alcuni trattori che cominciano la trebbiatura. Restiamo un po’ delusi. Il terreno è in leggera pendenza, tutto ricoperto di erba e da tanti tipi di fiori diversi ma niente di eccezionale.



La salita è ripida ma diventa presto quasi pianeggiante. Saliamo un po’ ma non vediamo il Pian Grande. Ci spostiamo dal sentiero e ci muoviamo in mezzo ai prati per vedere meglio Pian Grande. C’è foschia e i campi sono attraversati da alcuni trattori che cominciano la trebbiatura. Restiamo un po’ delusi. Il terreno è in leggera pendenza, tutto ricoperto di erba e da tanti tipi di fiori diversi ma niente di eccezionale.





Più avanti vediamo un piccolo monticello di massi tra cui spuntano alcuni arbusti e qualche alberello. Sembra un buon posto dove fermarsi all’ombra. Il panorama è migliore. Si indovinano in fondo alla valle dei campi rossi e gialli. E’ bello stare seduti su dei sassi levigati, ricoperti di erba morbida e appoggiare le spalle a una roccia, al fresco dell’ombra, con un leggero venticello e guardare lontano. Pausa meditativa.
Fra le rocce c’è qualche rosa canina con dei fiori e fra l’erba ci sono piccoli cardi spinosi: stiamo attenti a non pungerci.
Dopo la piccola meditazione dall’alto… decidiamo di andare verso l’altro versante della valle che è ricoperto di boschi a macchia, sembrano quasi finti.
Riscendiamo e prendiamo la strada che passa fra i boschi. Sono faggi bellissimi, pluricentenari e creano delle cupole di verde e di fresco. A dire il vero non fa caldo: si sta bene.
Alcune macchine sono ferme ai lati della strada, hanno tirato fuori tavolinetti e sedioline e stanno mangiando a un metro della propria auto. La gente non si allontano dal proprio mezzo: è come disabituata alla natura. Chi si allontana un po’ stende il plaid e apre il tavolino sotto i tralicci della luce o i pali della piccola funivia. Non ci si muove neanche un po’. Abbiamo pensieri molto critici!
Camminiamo tra i boschi e dalle aperture vediamo meglio Pian Grande: al centro si vede chiaramente ciò che chiamano l’Inghiottitoio...



Sopra una grande piastrella è scritta la storia del posto.
In quella valle c’era una volta un lago che poi è sparito.
Sui monti sibillini esistono tanti miti e leggende: di negromanti, maghi, fate e quella famosissima della Sibilla (che da il nome a questi monti). Il mistero e la magia aleggiano…
Sorridendo immaginiamo che qualcuno deve aver tolto il tappo in fondo all’Inghiottitoio e l’acqua è andata tutta via: così è sparito un lago e si è formata una bellissima vallata fertile, sempre verde e fiorita.
Le fenditure carsiche dell’Inghiottitoio sono morbide e sinuose, ricoperte di erba come velluto.



Riprendiamo il cammino e decidiamo di fermarci su una piccola collina che sembra affacciarsi su un’altra valle: è così! La valle è più piccola e, anche questa, avvolta da una lieve foschia. Qualche colore viola si scorge in lontananza.
Sotto Castelluccio ci sono dei bellissimi campi fioriti, forse lasciati ancora per i turisti.
Le persone li attraversano per fotografarli: campi rossi di papaveri, gialli (non sappiamo di cosa) viola di genziana, fucsia di erica, colori stupendi, ma abbiamo perso un po’ di entusiasmo.



Sarà la fuga precipitosa, sarà il cambiamento non voluto del programma o sarà che c’è molta, troppa gente in giro. Fa caldo e stare in fondo ad una valle non è la stessa cosa che stare sul crinale di un monte. L’atmosfera è più pesante, più greve. In alcuni punti sembra di essere a Rimini con le file degli ombrelloni in mezzo all’erba! Troppi camper, troppe macchine lungo la strada, Ci si ferma per il traffico... Ci vengono pensieri ipercritici!
Decidiamo di andare via e di provare a mangiare qualcosa a Castelluccio. Sono le 13.30.
Forse ci sarà folla e così è, ma più del previsto.
Fuggiamo, prendendo la via del ritorno dal lato nord verso Visso.
Lungo la strada troviamo una trattoria, entriamo per prova. Ma dopo 5 minuti che stiamo seduti e non arriva nessuno, ci alziamo e decidiamo di mangiare la frutta in un prato.
A-ristendiamo il plaid sotto gli alberi e finiamo la frutta. Per dessert grissini con la nutella che qui sembrano meravigliosi.
Ci stendiamo e ripensiamo, sorridendo, alla pioggia improvvisa sulla collinetta. Ci rilassiamo.
Apriamo gli occhi e vediamo che il cielo è diventato scuro scuro.
Non ci posso credere.
Non-ci-posso-credere!
Non-ci-pos-so-cre-de-re!!!
Sentiamo dei tuoni.
Questa volta il sorriso è un po’ amaro.
Ri-avvolgiamo scrupolosamente il plaid seguendo le pieghe già segnate (forse vogliamo dare ordine agli eventi che sembrano così accidentali!); riprendiamo gli zaini e torniamo in macchina, appena in tempo per le prime gocce di pioggia...
Non ci posso credere!
Non ci posso credere!!
Non ci posso credere!!!
Continuiamo a ripetere. Ma per fortuna ridiamo.
E pensiamo di scrivere e raccontare la giornata.
Dove finisce l’Inghiottitoio?
Perché non abbiamo potuto passeggiare e riposare come volevamo?
La via del ritorno si dimostrerà più bella di quella di Norcia.
Ci fermiamo a prendere un caffè a Castel Sant’Angelo sul Nera. E’ uno strano piccolo castello con le mura che si arrampicano per i monti fino a una torre di avvistamento. E questo, chissà perché, ci fa tornare sorridenti.
Bellissima la strada lungo il Nera. L’acqua del fiume non è che verrà dall’Inghiottitoio?
Allevamenti di anguille e trote. La strada è sinuosa come un’anguilla e il traffico è scorrevole.
Cerchiamo delle spiegazione (non scientifiche) sulla pioggia:
Ci siamo trovati dentro una bolla spazio-temporale dove pioveva o è la nuvola di Fracchia?
La via del ritorno è piacevole e leggera. Siamo soddisfatti anche se il programma non è andato proprio come volevamo. Non fa caldo, ri-piove vicino Perugia e ridiamo ancora pensando alle previsioni e chissà se ha piovuto pure a Città della Pieve, ma arrivando ci accorgiamo che la bolla deve essere finita perché il tempo è come l’avevamo lasciato: caldo e umido…



Pensiamo ai momenti perfetti e ci chiediamo perché durano poco?
Risposta (ironica ma non troppo): ma perché sono “momenti”, non giorni perfetti o settimane perfette o mesi perfetti o anni perfetti. Noi parliamo sempre di “momenti perfetti” proprio perché perfetto può esser proprio solo un momento!
L’uomo ha bisogno di raccontarsi.
Si dice che noi siamo, in fondo, ciò che raccontiamo.
Le storie che raccontiamo, tendono a essere ricordate e ciò contribuisce a creare la nostra identità, la nostra sensazione di esistere, di persistere.
Di durare nel tempo e nello spazio… (anche dentro una bolla!).
Il racconto di noi potrà durare dopo di noi.
E’ vero: noi tendiamo a idealizzare, a mitizzare la realtà attraverso il racconto.
Non tutti i particolari, i vissuti sono esattamente come li raccontiamo. Il racconto è lineare. La vita, l’esperienze sono circolari, proteiformi.
Ciò che raccontiamo è ordinato, è fissato; non è fluido, variabile, ciclico, inconscio, inesprimibile.
Le parole non possono esprimere tutto ciò che proviamo, che viviamo.
Chi ci riesce meglio è definito poeta, scrittore o altro.
Le parole limitano, ingabbiano, danno un ordine che non è detto che ci sia.
Questo ho cercato di esprimere attraverso il post “Parole in libertà”.
Il mezzo è il messaggio diceva McLuhan. E ciò che scriviamo è diverso da ciò che raccontiamo a voce. Con il racconto orale possiamo aggiungere, variare, tornare indietro, interpretare.
La parola scritta resta li ferma e fissata nel tempo (verba volant, scripta manent). L'espressività dipende molto da chi legge.
Certo i post di oggi si possono cambiare ma chi rilegge un post già letto?



L’umanità può avere tanto più una identità comune quante più storie comuni avrà da raccontare. Ecco perché sarà necessario che l’umanità trovi, sviluppi una cultura condivisa (unità nella diversità) e ancor più un linguaggio comune, perché l’unità di linguaggio contribuisce a creare una identità comune e questo è ciò che occorre adesso per lo sviluppo evolutivo dell’umanità.
(Con la collaborazione di Sibilla!)
Foto di Paola Costanza

2 commenti:

  1. :) A me piace pensare che quando le cose non vanno come pensavamo che sarebbero andate è perchè l'universo ci ricorda di accogliere qualsiasi cosa venga e non avere aspettative. E spesso una deviazione porta verso inaspettate sorprese.

    Non sei stato tu a crescermi dicendomi sempre: "Per non avere delusioni nella vita non bisogna farsi illusioni (o aspettative)?"

    RispondiElimina
  2. Illusioni e aspettative no di certo, ma un piccolo programma di una passeggiata non ci sembrava (al momento) che potesse poi dimostrarsi un'aspettativa illusoria. La difficoltà sta proprio nel saper distinguere ciò che è possibile (probabile) e ciò che non è possibile (poco probabile) e quindi illusorio. Dall'esperienza e dallo studio impariamo a distinguere...
    Ma non si finisce mai d'imparare.

    RispondiElimina

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