Quasi mezzo secolo fa, nel 1963, veniva data alle stampe una delle opere più intense e luminose di Massimo Scaligero: Dell’Amore Immortale.
Nata da una profonda esperienza personale e interiore, l’opera è dedicata all’Amore spirituale e a tutti coloro che consapevolmente o inconsciamente vi anelano, e contiene due appendici di enorme importanza per comprendere il significato e la grandezza dell’opera del Maestro:
- La fonte di questo insegnamento e
- Perché un’associazione spirituale viva.
Se nella prima vengono indicati ai discepoli i rischi dell’intellettualismo e della ‘sistemazione dialettica’ della Via spirituale - che non è sapere, anche se passa attraverso la mediazione del sapere, ma è movimento interiore dell’anima umana individuale che si desta - nella seconda, riportata integralmente qui di seguito, viene messo in guardia chiunque voglia intraprendere la via dell’indagine spirituale insieme ad altri ricercatori, sui pericoli e gli inganni in agguato in ogni forma di associazionismo spirituale o presunto tale.
Un testo nato da intime e dolorose esperienze personali, ancor oggi attualissimo. Un prezioso decalogo per chi riconosca che un lavoro comune fondato sulla fedeltà allo Spirito e sulla fraternità verso i propri compagni di percorso, non può che essere “l’esperimento di una relazione umana tra esseri che già unisca una sintonia secondo il superumano”.
Prefazione di Piero Cammerinesi
PERCHÉ UN’ASSOCIAZIONE SPIRITUALE VIVA
da Dell’Amore Immortale
di Massimo Scaligero
Perché un’associazione scientifico-spirituale viva, le occorre ogni giorno la materia prima che ne giustifichi l’esistenza: lo spirito. Quando questo venga meno, l’associazione può sussistere solo in quanto qualcosa che non è lo spirito ne prende il posto, tuttavia continuando a operare come fosse lo spirito. Anzi, allora appunto opera con la sicurezza propria a tutto ciò che si fonda sulla propria esteriore organizzazione.
L’associazione è l’esperimento di una relazione umana tra esseri che già unisca una sintonia secondo il superumano. Poiché l’associazione consegue al riconoscimento concorde di un’ascesi, proprio per questo non può essere il presupposto dell’attività ascetica.
L’organizzazione non può prevalere sull’idea. Il modo di organizzarsi non deve condizionare il lavoro spirituale, non deve essere ciò che suscita le coesioni o i contrasti spirituali. Il modo di organizzarsi fa parte dell’attività spirituale, nella misura in cui si attui come ricerca della forma esteriore, e non come ciò che possa indicare o determinare i valori. Compito difficile, richiedendo la presenza del conoscere di cui ci si ritiene portatori per il fatto dell’associarsi: onde ininterrottamente la modalità esteriore venga distinta dal contenuto interiore.
Le coesioni e i contrasti, infatti, dandosi come moti dell’anima, non possono che riferirsi ai temi della conoscenza e alle forme dell’ascesi: non dovrebbero mai impegnare lo spirito e condurlo a tensioni inferiori. Ma se questo avvenga, avviene per essere conosciuto, e conosciuto per essere superato, per virtù di slanci più profondi, che sono momenti ulteriori dell’ascesi che si persegue.
La modalità organizzativa in quanto tale esige soltanto soluzioni logiche, in ordine a intese che siano forme della basale intesa interiore. Se la modalità organizzativa suscita contrasti, non va commesso l’errore di credere che il motivo sia appunto il modo dell’organizzarsi, ma occorre avvertire che nell’ordine spirituale qualcosa non va, e soltanto il riveduto rapporto con esso può illuminare il senso delle divergenze. Le quali dovrebbero essere contemplate come segno dell’ulteriore lavoro spirituale, non come ciò che deve divenire valore spirituale: non come ciò che deve determinare movimento ulteriore dell’associazione.
Ma è chiaro che un simile rapportare il fatto al pensiero intuitivo - che è l’insegnamento della Filosofia della Libertà - può essere il compito di orientatori secondo lo spirito. E non sempre gli organizzatori, i propagatori e i dialettici sono coloro in cui lo spirito esprime il suo potere di orientamento.
Si tratta del fatto associativo più difficile, perché non può avere basi nel mondo che esiste, ma in quello che verrà, ossia fuori del mondo che già esiste. Basi che vanno ogni giorno ricreate, essendo puramente interiori; mentre le associazioni ordinarie sono possibili su basi che sono il passato dell’umanità, la società quale già è, il mondo già fatto, la necessità esistenziale, la natura.
Un’associazione spirituale è un organismo invisibile che si proietta sul piano visibile come forza risolutrice dei contrasti propri alla relazione egoica: contrasti che sono previsti, anzi necessari come materia dell’opera unificatrice, e come sostanza dinamica dell’azione associativa.
Ma avviene sempre che la relazione egoica prevalga, e imiti lo spirituale, per sussistere in quanto stato di fatto egoico in veste spirituale: che è l’unificazione astratta, organizzativa o accademica, propria alle associazioni profane. Ciò si verifica per l’affievolimento delle coscienze, in quanto l’insegnamento originario venga via via trasformato in formule, in regole, in sentenze, in nozioni particolari, di cui si fanno propinatrici persone che furono vicine al “maestro” e che assumono la funzione di maestri riguardo ai nuovi venuti, trasmettendo qualcosa che vorrebbe valere come un insegnamento più riservato e più efficace di cui si presumono depositari: con ciò distraendo il discepolo dal contatto con il vero insegnamento: che può vivere soltanto in quanto divenga esperienza, e come tale produca la continuità inestinguibile.
Ciò che può essere insegnato deve produrre tale continuità: non può essere accademica filiazione, bensì il fiorire di un ramo dell’albero sempre verde.
L’insegnamento originario non patisce organizzazione scolastica o accademica, che non sia mediazione di continuo riconosciuta, e perciò o superata o estinta: di continuo ricreata dall’intimo come un ideare inesauribile. Onde l’organizzazione abbia l’esistenza unicamente giustificata dalla presenza di ciò che deve essere organizzato.
Allorché l’organizzazione presume impersonare l’idea, per cui la sistemazione e la formulazione esteriore tendono a valere nella loro astratta determinazione come il segno tangibile dell’idea, questa è stata smarrita, e un altro contenuto opera al suo luogo. Si agisce riguardo alla dottrina originaria secondo il “realismo” proprio al sapere attuale, a cui sono sufficienti la sistemazione logica e l’astratto apprendimento perché le sue verità siano trasmesse, essendo “cose”, non idee viventi.
L’associazione spirituale si inizia per lo spirito e, a un dato momento, prevalendo in essa gli organizzatori, diviene inavvertitamente condizione allo spirito. O si è in essa o non si è nello spirito, come se lo spirito fosse luogo, accademia, situazione esteriore. È l’ideale di coloro che identificano lo spirito con un fare spirituale, come se vi fosse un fare che potesse essere vero fuori dallo spirito.
In un organismo spirituale, l’idea in quanto vivente, ossia in quanto forza formatrice, giustifica la forma: altrimenti la forma è già alterazione dello spirituale, proprio perché forma ortodossa, fedele ai dettami custoditi come principi, come tradizione; in cui non la libertà determina il lavoro associativo, ma la legge, che dovrebbe riguardare solo il modo associativo. La legge, che ha sempre la facies della moralità, non la moralità.
Il mondo esteriore ha bisogno di leggi, regole, istituzioni: sono quelle leggi che, invecchiando mentre l’uomo cammina, costituiscono la forza dei “farisei” di ogni tempo, e il motivo della lotta ideale dei pochi che in ogni epoca tendono a rinnovarle, pur obbedendo ad esse.
Diversa è la situazione di un’associazione spirituale, dato che la sua regola è per un incontro umano che rifletta l’incontro interiore: non contempla la mera convivenza esteriore.
Essa è un evento sovrasensibile a cui si intende dare supporto umano. Vi confluiscono due forze: uno “spontaneo” impulso a incontrarsi, e la determinazione cosciente nello sperimentare lungo il tempo l’incontro. A questa esperienza si tenta dare organizzazione esteriore: giusta, necessaria in quanto sia sempre il convergere delle due forze accennate.
A differenza che nell’associazione ordinaria, nella quale il principio o la regola dell’associarsi vengono dedotti dal fatto associativo, nell’associazione spirituale questo è la conseguenza di un lavoro interiore e, riguardo a ciò che presenta di contingente e di umano, diviene materia di un cosciente sperimentare. In tal senso esso può essere regolato da uno statuto di volta in volta rinnovabile, e le cui idee sono il segno della relazione morale conseguita. È tuttavia un regolamento che riguarda unicamente le modalità dell’associarsi, fuori della pretesa che esso valga a determinare il significato o il valore del lavoro spirituale.
La società essendo anzitutto una “fratellanza invisibile”, non è detto che la società visibile la incarni veramente, essendo questa una meta, non un punto di partenza. Non dovrebbe commettersi l’errore di credere che la società sia vera solo per il fatto che esiste: il suo esistere è appunto il limite che l’idea, in quanto viva presenza, risolve. Altrimenti si cade nell’astrattezza della moderna sociologia, per la quale il dato di fatto è il principio dell’indagine, ignorando l’attività interiore che pone il dato di fatto, e consente l’indagine: onde la realtà sociale è ridotta al suo più pedestre livello, ossia a meno di ciò che essa stessa è come esperienza sensibile.
Non dovrebbe essere commesso l’errore di credere vera la società esistente, vera potendo essere soltanto quella che si fa e dovrà farsi. Non può essere vera quella la cui organicità sia reale in quanto conforme allo statuto, per cui chi è in ordine con lo statuto è in ordine anche spiritualmente.
Un’associazione spirituale non può che essere accordo di anime secondo l’esigenza della libertà attuata come momento vivente del pensiero. Ma anche in tal caso l’accordo non è qualcosa di già fatto, bensì da farsi. L’aspirazione alla libertà è un evento che va attuandosi: non è un fatto, o una cosa che si abbia una volta per tutte: è la creazione sempre nuova, perché ogni volta rivelante il suo segreto.
Principio per la cui inosservanza anche i migliori si perdono, anche i migliori divengono meccanizzatori dello spirituale.
L’associarsi è un tendere a coltivare lo spirito di comunità, in quanto si sia individui singolarmente operanti per lo spirito. La cooperazione individuale è la vita dell’associazione: così la fraternità coltivata nell’esperienza della comunità diventa potenza dell’individualità, perché è la prova obiettiva dell’egoismo. L’essere insieme con gli altri e dimenticare se stessi, attuando ciò non per diminuzione di coscienza di sé bensì per suo ampliamento, è la più alta educazione dell’“io”: dato che ordinariamente l’essere insieme di gruppi o crocchi o associazioni, è sempre inevitabilmente per il denominatore comune inferiore. Sempre ciò che v’è di più basso li unisce.
Il pericolo è perciò l’inversione del reale processo unitivo, ossia il ricadere nell’“anima di gruppo”: quella che caratterizza le associazioni profane e i partiti: nei quali occorre la rinuncia alla libertà interiore perché si dia la partecipazione degli individui, e in tal senso il loro accordo. (I partiti e le associazioni profane, su un piano di ingenuo realismo o di esteriore primitivismo, sia pure intellettualmente brillanti, preparano oscuramente un impulso alla comunità, mediante la cooperazione di esseri non ancora realmente pronti all’esperienza cosciente dell’individualità e della libertà: impulso la cui interna positività può essere assunta concretamente dallo “Spirito del tempo” ( “l’Antico dei giorni” della Bhagavad Gitâ - ove questo possa operare attraverso i preparatori delle vere comunità).
Onde seria è la responsabilità dell’associazione spirituale che venga meno all’impegno per cui è sorta, in quanto non fornisce al mondo che si va organizzando in gruppi, in associazioni, in comunità, il modello che gli urge: anzi, ne imiti inconsapevolmente l’interno modo di associarsi: politico, diplomatico, fatto di abili combinazioni di coesioni e di consensi.
Il movimento esoterico deve essere la condizione del movimento associativo. Quando coloro che presumono dirigerlo non sono qualificati ad attuare un simile rapporto, è inevitabile che il contrasto interno si verifichi nella forma di contrasto umano.
La ragione per cui un’associazione spirituale possa avere contrasti interni andrebbe riconosciuta come la conseguenza dell’intendimento dei suoi componenti di superare tutto ciò che possa presentarsi come contrasto dovuto al fatto dell’associarsi.
Il contrasto è sempre il segno di ciò che deve essere conosciuto, e che si chiedeva di conoscere come ciò che va superato: esso non può che essere risolto da soluzioni esteriori come separazioni o alleanze: forme di una crisi che non si sa cogliere nel mondo delle idee. Crisi di metodo, o della formazione interiore, crisi della giusta ispirazione, o della comunione con l’insegnamento originario.
Ma le soluzioni esteriori sembrano superare la crisi, la quale permane sotto lo strato degli accomodamenti, delle dichiarazioni di fraternità, delle riprese accademiche, delle conferenze, delle manifestazioni ridondanti di fasto attivistico-organizzativo e di spirituale esibizione.
Quando si ritrova l’accordo che è il fittizio accordo, perché fondato non sull’intesa spirituale ritrovata attraverso il sacrificio e la conoscenza, bensì su accomodanti compromessi, ossia su coesioni che sembrano interiori ma sono mondane, su accostamenti umani che non sono segni di incontro spirituale ma di egoico interesse: un simile accordo sarebbe meglio che non ci fosse.
È l’accomodamento della natura umana, assetata di soddisfazione spirituale, bramosa di incensare e di essere incensata: l’accordarsi della natura, mediante le forme dialettiche capaci di rivestirne le tendenze, con ciò che dal basso domina il mondo attuale. È l’accordo secondo convenienza.
Quando la “conformizzazione” è in atto, e la volontà individuale automatizzata dall’insegnamento accademico, i soci tengono allo statuto - a quello già esistente o a quello da riformare - come a ciò che è più importante: per poter dipendere da esso, per essere in una regola a cui conformare l’organizzazione che, in quanto insieme di membri, viene considerata organismo spirituale. Sempre per la tentazione di fissare lo spirito come una cosa che possa tenersi in mano e non abbia a sfuggire, e sia riferibile a un luogo, a una sede, a un gruppo, a un conferenziere che porga le verità come oggetti palpabili e conservabili.
La materia della scienza spirituale viene allora scambiata per l’idea che in tale materia si esprime come nella contingente sua forma: il sapere viene preso per il conoscere. Non si è teso a vivere nel moto di pensiero che si è proiettato in quella forma: impegno che non va richiesto ai principianti e ai meno provveduti, ma certamente a coloro che presumono dirigere l’associazione.
Ora avviene che proprio i meno provveduti riguardo a tale esigenza, in quanto più provveduti del “realismo” o senso organizzativo della cosa, o della materia scambiata per l’idea, i più provveduti di quel patente sapere che persuade gli ingenui o i primitivi, epperò del talento pratico e dialettico richiesto dal profano modo di associarsi del mondo attuale, dov’è richiesto tutto fuorché una gerarchia dei valori: avviene che proprio costoro prendano le redini del movimento.
Quando i dirigenti di una presunta associazione spirituale tengono alla loro funzione di dirigenti e ad avere le fila del movimento, e giungono perfino ad adoperarsi per conseguire ciò, e inoltre si impegnano a provvedere a tutte le manifestazioni esteriori e accademiche che convincano riguardo alla verità o alla necessità del loro insegnamento, cercando di smorzare le voci discordi e di documentare di volta in volta l’immancabile buona riuscita delle manifestazioni, secondo uno stile politico ormai generalmente invalso: è chiaro che il movimento che essi dirigono non è più movimento spirituale ma qualcosa in cui è in atto l’alterazione del contenuto originario, in una forma più seria che quella materialistica, svolgendosi sotto l’insegna dello spirito. Nella veste del sovramateriale, esso è lo stesso movimento dialettico del materialismo: che suscita sentimenti di fede, non atti di pensiero; emozioni personali, non idee; visionarismo, non visione; nozioni e argomentazioni, non conoscenza: la conoscenza non potendosi disgiungere dalla libertà.
È il surrogato dello spirito che, affermato, propagato e voluto con la facile volontà con cui si tende alle cose fisiche, dona anche forze. Ma sono forze che potenziano l’ego. Forze con le quali si acquisisce autorità sui nuovi discepoli, ai quali si insegna la libertà dialettica, ma si toglie la libertà, perché li si vincola con una serie di norme, sentenze, doveri, rivelazioni, formule di un’ortodossia avuta in retaggio e fissata una volta per tutte, per giudicare chi sia o non sia nella cittadella dello spirito.
Donde uno stato inconsapevole di presunzione nei riguardi degli altri, nei riguardi di dottrine o correnti che non si è avuto neppure la correttezza di conoscere: e una mania di convertire il prossimo in quanto si presume essere portatori di ciò che può migliorarlo. Mentre solo il nostro miglioramento, se è vero, può migliorarlo.
Nell’associazione spirituale, il mondo dei semplici, degli umili o degli sprovveduti - quello che va ordinariamente a costituire la massa di manovra dei politicanti di tutte le correnti - può essere aiutato soltanto da coloro che abbiano il coraggio della fedeltà all’idea originaria e perciò attingano all’inesauribile.
Perché il bene è l’idea che si attua e il male l’idea che non si attua. Il male è il fatto che vuole operare in luogo dello spirito, ed apparire il bene afferrabile: come cosa. Che sarà sempre illusoriamente afferrata.
Il male è tutto ciò che come fatto, istituzione, organizzazione e natura, opera in luogo dell’idea originaria, in quanto il suo essere fatto si traduce immediatamente in valore interiore per via di forze che di esso consentono all’uomo soltanto l’apparire sensibile. Mentre l’apparire è il limite di un movimento ab interiore, che lo spirito dovrebbe riconoscere come proprio: non il limite che condiziona lo spirito.
Un’associazione spirituale che creda di operare spiritualmente in quanto spaziale e temporale fatto associativo, è già un’associazione contro lo spirito. Essa non può fare lo spirito, bensì lo spirito fare di essa qualcosa. Non possono essere gli organizzatori esteriori dell’associazione i produttori dello spirito che giustifichi l’organizzazione, ma solo esseri che coltivino l’iniziazione, con ciò essendo i veri organizzatori: non condizionati né dall’appartenere all’associazione né dal non appartenervi: soprattutto non affetti dalla brama di essere dirigenti dell’associazione.
L’associazione deve avere il suo corpo, il suo organamento, la sua vita esteriore: ma l’associazione che si coltiva nell’invisibile, non quella per la quale la determinazione visibile sia divenuta ragion d’essere.
In verità, lo spirito non soffre obbligazioni, o schemi umani: esso è come “il vento che non si sa dove vada né d’onde spiri”: per cui là dove la norma e la legge non gli chiudano il varco, ma siano la norma e la legge che esso ogni volta esige e crea, esso è presente per una consequenzialità estremamente semplice. Là dove trova ostruzione, esso non potendo passare, cerca altre vie.
Non avendo passaggi obbligati, il suo sentiero è quello dell’infinita libertà.
Il male è l’idea che non si attua, il bene l’idea che si attua. Il male è l’idea che si finge attuata: il fatto che si scambia per l’idea, e il relativo modo di pensare e operare di cui tale scambio ha bisogno: cioè l’attivismo, che sostituisce l’attività del pensiero.
Onde il gruppo, o l’associazione, ritorna il gruppo o l’associazione non afferrabile realiter: esso si ricostituisce con coloro che permangono fedeli all’idea primamente intuita. Esso può anche affiorare come gruppo visibile che fuori dell’accademia svolge la sua opera, non definendosi, non tagliando né facendo ponti, non cercando alleanze né contrasti: lasciando liberi nella loro decisione coloro che hanno bisogno di segni esteriori per conoscere termini o confini dello spirito.
Il gruppo o i gruppi si riformano secondo incontri dell’anima e comunioni individuali: si riaffermano anche come organismi esteriori, per virtù del loro ritrovare la forma invisibile. Essi sono l’associazione spirituale che, per esistere, non ha bisogno della determinazione esteriore: ma perciò la sua determinazione esteriore può essere la forma visibile dello spirito: onde l’associarsi non sia il modo di sfuggire lo spirito. Perché soltanto dove lo spirito non viene sfuggito è la fraternità.
L’associarsi, come fatto esteriore, è già un moto di fuga dallo spirito da cui sorge: che dallo spirito deve essere ripercorso perché sia effettivamente il suo movimento. Onde sia il moto della fraternità da cui muove, non la finzione della fraternità, in cui immediatamente cade. Che per ora è il livello in cui la fraternità sta lottando per sbocciare nel mondo.
Massimo Scaligero
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[Riceviamo da Vittorio e volentieri pubblichiamo]
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